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Camilla (1976) Storia di una sceneggiato

La Resistenza e il lungo dopoguerra

III. 2 «Non sono mai stata tanto celebre»: il 1976, l'anno stregato

III.2.1 Camilla (1976) Storia di una sceneggiato

Domenica 18 aprile 1978, il giorno di Pasqua, Rete 1 trasmette la prima puntata dello sceneggiato Camilla, girato in quattro parti e liberamente ispirato al romanzo Un

inverno freddissimo:

Succede che un regista della televisione, il signor Gambarotta (!) è venuto a propormi di fare una sceneggiatura dell'Inverno freddissimo, e poiché ciò dipende dall'amico Angelo Romanò, penso che la cosa possa andare in porto. Il titolo sarebbe altro e per la sceneggiatura verrebbe sviluppato qualche episodio marginale, cioè sarebbe un libero trattamento del romanzo257.

L'operazione vede coinvolto uno dei più importanti autori della televisione italiana, il regista Sandro Bolchi, responsabile di celebri trasposizioni di classici letterari sul piccolo schermo.

Nelle intenzioni dei primi dirigenti della RAI, lo sceneggiato è costruito come momento di intrattenimento e di promozione culturale, uno strumento che permette di sostituire presso il grande pubblico le letture obbligatorie dei monumenti della letteratura mondiale. A partire dall'inizio degli anni Sessanta Sandro Bolchi è uno dei protagonisti di questa tendenza, ideatore di messe in scena televisive che hanno segnato l'immaginario di una generazione: nel 1963 Il mulino del po di Riccardo Bacchelli; nel 1964 I miserabili da Victor Hugo; nel 1967 Manzoni con I promessi sposi; nel 1968 Le

mie prigioni di Silvio Pellico; nel 1969 I fratelli Karamazov e nel 1972 I demoni da

Dostoevskij; nel 1973 una biografia di Puccini; nel 1974 Anna Karenina di Tolstoj258.

257 Roma 16 aprile 1974

Quando è chiamato a realizzare la sua versione di Un inverno freddissimo Bolchi conferma la squadra di uno dei suoi ultimi successi: Eleonora (1973), sceneggiato di ambientazione storica dedicato alle vicende dei poeti scapigliati nella Milano del XIX secolo. Del precedente lavoro mantiene la protagonista Giulietta Masina per il ruolo di Camilla e lo sceneggiatore Tullio Pinelli. Torinese di formazione antifascista, dopo la guerra Pinelli si trasferisce a Roma dove collabora con registi come Rossellini, Germi e Monicelli, fino all'incontro con Fellini di cui diventerà lo sceneggiatore di riferimento (Luci del varietà, Lo sceicco bianco, La strada, I vitelloni, Le notti di Cabiria, La dolce

vita, 8½ ).

Nel 1974, a soggetto ultimato, Cialente segue i lavori sul testo esprimendo immediatamente delle riserve rispetto al tono dell'adattamento, la resa della storia e le possibili deformazioni politiche dei contenuti:

Sono stata una sera a cena […] con l'Angelo Romanò, il quale ha contestato il mio giudizio negativo sul soggetto tratto dall'Inverno freddissimo (opera del Tullio Pinelli, che ha molto lavorato con Fellini) e pretende che lo sceneggiato avrà un enorme, enorme successo […] e mi ha pregata di incontrarmi con gl'illustri signori della T.V. - Sono stata infatti non molti giorni fa, una mattina, a conversare con i suddetti (mi sembrava una riunione di ministri!) ed avevo preparato per l'occasione un garbatissimo foglio nel quale avevo scritto le mie garbate osservazioni; poiché, come già le dissi, il romanzo l'hanno trasformato nel solito bel fumettone buono per la tele. Sono stati, devo dire, tutti molto gentili e comprensivi, ma non hanno potuto fare a meno di pormi di fronte alla necessità di trasformare la “pagina letteraria” (e a questo proposito mi hanno coperta di fiori in quanto autrice di “pagine letterarie”, ma anche questo era scontato!) in “scene” o “spettacolo” - perché attraverso le scene e lo spettacolare si può avvincere e convincere il pubblico.

Me l'aspettavo, naturalmente, quindi ho finito per accettare, fermo restando un solo punto, cioè che non voglio per nessuna ragione nessun accenno a un anti- comunismo o a opposti estremismi, per quanto l'epoca della narrazione sia antecedente a questi ultimi – ma non si sa mai! A questo proposito mi preparo a scrivere una lettera (garbatissima) al Pinelli, al quale chiederò pure di rispondermi259.

Posta di fronte alla «necessità» di vedere la sua opera profondamente modificata, Cialente osserva a distanza l'inizio della produzione, mentre dalla primavera del 1975 i giornali cominciano ad annunciare al pubblico il ritorno di Masina in tv260. L'attenzione

è catalizzata dal nome dell'attrice e da quella del regista, che racconta il suo desiderio di

p. 41

259 Lettera di Fausta Cialente, Roma, 8 novembre 1974, Archivio Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,

Milano, Corrispondenza con gli autori. Fausta Cialente

260 Per la Masina in tv un'altra borghese, «La Stampa», 7 aprile 1975, p. 6; Ettore Mo, La Masina in

portare sui teleschermi una stagione importante della vita italiana, almeno per quanti, come me, hanno superato i 50 anni: mi riferisco al primo inverno del dopoguerra milanese, 1945-46. In questo sceneggiato in quattro puntate, metterò le nostre speranze, i personaggi di quegli anni, il “Piccolo” teatro, l'albergo dei poveri, la “Scala” di Toscanini e il sapore di un tempo che sembra ormai lontanissimo261.

Nella breve serie di articoli che preparano la prossima trasmissione dello sceneggiato manca, in un primo momento, qualsiasi riferimento all'autrice del romanzo, negli stessi mesi presente in tutte le librerie con le belle ristampe di Mondadori. In una lettera al «Corriere della sera» Cialente non nasconde un sentito fastidio per questo silenzio:

Nel Corriere del 25 luglio u.s. nella rubrica «Spettacoli», al termine di un elogioso articolo su Gian Carlo Dettori262 che ha chiuso i suoi interventi televisivi «Voi ed

io»263, a proposito dei suoi futuri impegni leggo che sarà il protagonista accanto a

Giulietta Masina dello sceneggiato Camilla, regista Sandro Bolchi. Ora, accade che è la terza o quarta volta che negli annunci su giornali e riviste di questa famosa

Camilla, sempre nell'interpretazione della Giulietta Masina, non viene fatto il mio

nome; mentre Camilla non è nata sotto un cavolo, il soggetto è tratto dal mio romanzo «Un inverno freddissimo» (Feltrinelli 1966) giunto quell'anno stesso in finale al Premio Strega. Se gli attori sono importanti – e lo sono, difatti, giacché se possono dare felice risalto a uno sceneggiato, accade pure che sovente l'affondino e lo facciano naufragare – mi sembra nondimeno che un po' d'importanza dovrebbe esser lasciata anche all'autore o autrice dell'opera264.

Nonostante la presa di distanza dall'evoluzione della sceneggiatura265 e la delusione per

il trattamento mediatico della vicenda, Cialente non trascura gli effetti positivi che

Camilla si prepara ad esercitare sulla vendita del libro. Nel decimo e ultimo anno dalla

prima edizione, quindi al limite di scadenza del contratto, Feltrinelli non perde l'occasione di riproporre un Un inverno freddissimo nella collana economica gli «Astri», già destinazione della seconda edizione di Ballata levantina (1968). In una lettera all'Ufficio contratti l'autrice si interessa di tiratura e promozione del romanzo:

[…] mi risulta che l'edizione “Astri” dell'Inverno freddissimo è di 10.196 copie, e mi sono fatta confermare per telefono questa cifra. Sono un po' sorpresa perché avevo capito, da precedenti conversazioni per telefono con la Dr. Morino, che le copie non sarebbero state tante. Vorrei sapere che cosa vi ha spinto a questa decisione e se prevedete un buon andamento della vendita del volume; in questo caso, data l'entità

261 Ernesto Baldo, “Inverno freddissimo” per Giulietta Masina, «La Stampa», 8 luglio 1975, p. 7

262 Nello sceneggiato interpreterà il ruolo di Enzo, l'italiano d'Egitto che abita la soffitta accanto alla

protagonista, personaggio ereditato da Ballata levantina.

263 Carlo Galimberti, La voce che ha turbato mamma Rai, «Corriere della sera», 25 luglio 1975, p. 11

264 Fausta Cialente, Ci siamo dimenticati di Fausta Cialente, «Corriere della sera, 7 agosto 1975, p. 5

265 Più tardi dichiarerà: «io non ho voluto partecipare alla sceneggiatura perché credo che mi sarei

scontrata con ragioni di produzione, col problema di dover fare comunque “spettacolo”...». (Rosetta Loy, Il lungo inverno di Camilla, cit., p. 60)

della percentuale che mi toccherebbe, non le sembra legittimo che io chieda un modesto anticipo? Il signor Bruno Gambarotta, della televisione, consiglia di mettere il libro in vendita al momento in cui cominciano le trasmissioni che dovrebbero, salvo ritardi, iniziare il 28 Marzo; e sarebbe opportuno, credo, aggiungere al volume una fascetta col titolo del film, cioè Camilla266 .

La messa in onda della prima puntata, rimandata a domenica 18 aprile, segna l'inizio di una polemica che coinvolge l'autrice del romanzo, il regista, gli attori, diversi critici, quotidiani e periodici specializzati. All'origine del caso Camilla sono le evidenti deviazioni rispetto all'opera originale, che sollecitano l'interesse dei cronisti e provocano reazioni opposte fra i protagonisti e i commentatori. Molte sono le variazioni volute da Pinelli e Bolchi nella costruzione dei 243 minuti di Camilla, tuttavia il dibattito del 1976 si concentrerà quasi esclusivamente su due aspetti fondamentali, che riguardano la struttura del racconto e la nuova versione del personaggio protagonista.

Emblematico è il titolo scelto da Adolfo Chiesa per il suo articolo su «Paese Sera» del 17 aprile 1976, che apre il dibattito sullo sceneggiato: In tv Camilla perde gli amanti267.

Una delle più vistose innovazioni dello sceneggiato rispetto al romanzo è infatti la scelta di eliminare completamente tutti gli episodi che fanno riferimento alle pulsioni erotiche e alle esperienze sessuali della protagonista. Abbandonata dal marito da molti anni, la Camilla di Un inverno freddissimo è una donna matura ma piena di sensualità, perfettamente consapevole dei suoi desideri, padrona del suo corpo e della sua sessualità. Durante la guerra si concede una notte d'amore con un soldato alleato che nasconde nella sua casa di campagna. Nell'inverno del 1947, quando lascia nuovamente Milano per assistere la madre malata, cede al discreto ma insistente corteggiamento del Rosso, il ricco vicino di casa. All'arrivo della primavera Camilla ha perso la figlia maggiore, morta tragicamente, ha rifiutato il ritorno del marito, ha visto gli abitanti della soffitta trovare nuove sistemazioni e i due figli più giovani prendere strade diverse (a Roma per studiare teatro Guido, decisa a vivere con il padre e la sorellastra la più giovane Lalla). Rimasta sola, decide di ritirarsi nuovamente in campagna e dedicarsi alla gestione della sua piccola proprietà, rassicurata dalla presenza del Rosso nella

266Lettera di Fausta Cialente a Maria Luisa Rotondi (Ufficio Contratti Giangiacomo Feltrinelli), Roma,

21 febbraio 1976, Archivio Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano, Corrispondenza con gli autori. Fausta Cialente

duplice funzione di consigliere esperto e amante:

Da anni lo conosceva come un uomo piuttosto silenzioso, forse per mancanza d’idee o perché di una sensibilità relativa o sepolta, ma la sua discrezione, la sua misura nel parlare avevano finito per agire su di lei più dell’attrazione sensuale che l’aveva fatta soccombere una volta – e come le sembrava lontana, adesso, e irreale la loro passeggiata nei boschi! L’attrazione persisteva, nondimeno, non era soltanto il desiderio di mantenere una specie di cameratismo, fra loro due, con quel gran parlare d’interessi comuni (la terra, le stagioni, e il Rosso diventava quasi loquace, allora), col suo chiedergli aiuto e consigli per tutto quanto si proponeva di fare: i germogli che sentiva spuntarle dentro annunciavano ben altro, e non voleva nasconderselo che le sue notti e i suoi giorni, lei sola nella vecchia casa di campagna, avrebbero oscillato fra la tentazione e l’offerta268.

La tentazione sessuale è vissuta dal personaggio come espressione naturale della sua identità, non è il risultato di una vendetta ai danni del marito, né di un rifiuto del ruolo di madre, che resta il carattere determinante del personaggio. L'esperienza carnale non fa che completare il profilo di una donna complessa, piena di contraddizioni e di debolezze, di determinazione e di paure, ma che non si sottrae mai ad un confronto diretto con se stessa.

La sceneggiatura di Pinelli elimina completamente l'episodio del soldato e riduce la figura del Rosso ad un impacciato e sbiadito medico di campagna, Franco, personaggio quasi paterno che ricopre la protagonista di un affetto incondizionato e rigorosamente platonico. Di fronte alle sue timide espansioni, Camilla esibisce una fedeltà assoluta al marito (che dichiara di amare a dispetto di tutto) e una completa devozione alla sua missione materna. Lo evidenzia anche il «Radiocorriere», che nell'edizione settimanale del 18 aprile dedica a Camilla la copertina e un lungo servizio interno, completo di una breve scheda biografica dedicata a Cialente (Chi è l'autrice del romanzo269):

A leggere il copione ti viene in mente quello che sino a qualche tempo fa era considerato il prototipo della madre italiana: una creatura stinta, gli occhi arrossati dalle veglie notturne, tutta altruismo e spirito di sacrificio. Insomma quell'angelo del focolare cantato da poeti e romanzieri del secolo scorso, esaltato sui libri di lettura fino a poco tempo fa. Cioè fino a quando cominciò a profilarsi il dubbio che un angelo così, a doverlo sopportare dalla prima infanzia, potesse provocare turbe definitive nei destinatari di tanta abnegazione. […] Camilla vuol riproporre il problema in chiave televisiva. Nel libro, i tre figli reagiscono diversamente alle cure della madre-chioccia. Alba, la più bella e idolatrata […], si mostra […] la più scontrosa e insofferente: e morirà vittima della propria ribellione. Guido si rifugia in un mondo intellettuale, da cui la madre è esclusa, sicché può andarsene per la sua strada. Lalla, la minore, dopo aver accettato allegramente la situazione, sceglierà alla

268 Fausta Cialente, Un inverno freddissimo, Milano, Feltrinelli, 1966, p. 286

fine di vivere col padre, da cui Camilla è separata. Così, dopo aver dato tutto, Camilla si ritrova senza niente. È la giusta conclusione per questo genere di madri270?

Nelle stesse pagine viene chiesto a Giulietta Masina di rispondere alla domanda finale. L'attrice dichiara un'ammirazione apparentemente acritica nei confronti del personaggio interpretato, di cui ammira le doti di «sconfinato altruismo, continua disponibilità, abnegazione, generosità senza limiti. […] Io amo questo tipo di donna, sparsa in tutte le case e in tutte le strade del nostro Paese e che è la gran fortuna dell'Italia271».

Il dibattito intorno a Camilla continua ad essere alimentato dalla redazione di «Paese Sera», che dedica a Cialente una lunga intervista. La scrittrice, lontana dai toni di aperto rifiuto delle sue lettere private, sceglie una posizione di moderato e tollerante distacco:

Tutto è molto strano e inatteso per un autore quando s'incontra in una sua opera trasferita in immagini; e credo si debba, sino a un certo limite, sottostare alle decisioni e all'interpretazione degli sceneggiatori e dei registi, che probabilmente hanno spesso ragione, costretti come sono a “far spettacolo”. Certo, molto della poesia, del succo intimo dei personaggi e dell'ambiente va fatalmente perduto; molte cose sottili o fumose svaniscono; l'atmosfera è un'altra, quando c'è; i personaggi sono differentemente evocati, direi che si materializzano in una dimensione diversa. Ma devo convenire che in “Camilla” tutto è stato fatto con intelligenza e rispetto, e di questo sono grata ai responsabili272.

È in questa occasione che Cialente mette a fuoco un'altra questione essenziale nel confronto fra il romanzo e lo sceneggiato: la decisiva marginalizzazione, nella versione televisiva, dell'elemento climatico:

Sono rimasta un po' stupita nel vedere che nella sceneggiatura la presenza costante dell'inverno è quasi cancellata, o meglio nascosta dal titolo “Camilla”; mentre senza il rigore di quell'inverno molti degli avvenimenti che coinvolgono i personaggi, a cominciare da Alba, non avrebbero lo svolgimento che hanno nel mio racconto273.

Un inverno freddissimo è interamente costruito sul claustrofobico rispetto dell'unità di

tempo e di luogo: tutta la vicenda è costretta fra le mura della soffitta, nei mesi che vanno dal novembre del 1946 alla primavera del 1947. Gli avvenimenti precedenti sono recuperati per brevi cenni memoriali che non interrompono la continuità di un presente interamente dominato dalla sfida quotidiana contro il freddo dell'inverno, isotopia fondante della narrazione e del suo impianto simbolico. La focalizzazione del racconto è

270 Ivi, pp. 24-25 271 Ivi, p. 27

272 Fausta Cialente, La mia Camilla è un'altra donna, cit., p. 4 273 Ibid.

tutta sui mesi invernali mentre ogni altro episodio o figura viene recuperata dal ricordo dei personaggi, che risultano così sospesi fra un passato di lacerazioni e perdite e un futuro completamente incerto.

Come suggerisce il cambiamento di titolo, l'opera televisiva di Bolchi rivoluziona la scansione temporale della storia rinunciando all'ambientazione invernale delle vicende e affidando la tenuta del racconto interamente alla protagonista. Tutta la prima puntata è interamente occupata dagli eventi che vanno dall'aprile all'estate del 1945, molto ampliati e sviluppati rispetto al romanzo. Ne risulta completamente riscritta, ad esempio, la figura del nipote Nicola, destinato a morire per una ferita riportata negli ultimi giorni della lotta partigiana, non prima di aver affidato alla zia Camilla la sua fidanzata incinta, Regina. Se nel romanzo Nicola è ridotto ad un'ombra lontana, rievocata in maniera quasi indistinta dagli altri personaggi, nello sceneggiato è una figura centrale nell'avvio della storia, cui viene dedicato un discreto minutaggio e diverse scene importanti (quella di apertura durante un'operazione di guerriglia partigiana, la prima scena nella soffitta milanese appena occupata, l'ultimo colloquio con Camilla in ospedale). A seguire, sono messi in scena i mesi della primavera (seconda puntata) e dell'estate (terza puntata) del 1946, per raggiungere il novembre 1946 (punto di avvio del romanzo) solo nell'ultima domenica di trasmissione. La scelta della sceneggiatura garantisce maggiore varietà di toni e di situazioni, semplifica il discorso narrativo e permette di inserire una serie di episodi e di riferimenti alla storia contemporanea e alla vita milanese immediatamente familiari per il pubblico del 1976: dalla campagna per il referendum alle prove di Strehler nel Piccolo Teatro, dalle strade pattugliate dai soldati americani alla messa in scena del Maliardo di Carlo Dapporto. Il rapporto fra i personaggi e la storia è, per Cialente, completamente risolto sul piano dell'impreparazione e del disorientamento morale, programmaticamente mediato dall'isolamento del gelo invernale e per lo più emancipato da precisi riferimenti alla cronaca o al costume. Opposta risulta la strategia di Bolchi e Pinelli, che fanno di questi quadri storici la forza del loro prodotto, con la precisa volontà di rendere lo sfondo della storia facilmente riconoscibile e interpretabile per i telespettatori, mettendo in scena la Milano del 1945-46 attraverso la rassegna dei suoi miti collettivi. Tuttavia, per la

spettatrice Natalia Ginzburg, l'operazione manca il suo obiettivo:

Come è noto, la televisione assai raramente dà atmosfere. Qui, gli odori e le atmosfere dell'epoca si sono studiati di darli, in mille modi, e con mille dettagli. Ma quella particolare atmosfera del dopoguerra, ben viva nel romanzo e che tutti ben ricordiamo, qui noi prendiamo nota che hanno cercato di evocarla, e tuttavia non c'è274.

Ciò che nel romanzo è metaforicamente rievocato nelle condizioni meteorologiche- esistenziali del gelo, nello sceneggiato è esposto in maniera diretta, eliminando quindi il filtro simbolico del freddissimo inverno e semplificando la tipizzazione dei personaggi e dei loro comportamenti. Viene così a mancare la coerenza di una struttura in cui tutto torna e ripiega sullo stesso nucleo tematico: nel romanzo il freddo è definizione del clima e dell'animo dei sopravvissuti, ma è anche la condizione materiale che mette in moto la trama. La diciottenne Alba è “fredda” come la generazione a cui appartiene (cresciuta sotto il regime, troppo giovane per partecipare alla Resistenza, del tutto indifferente ai cambiamenti culturali e sociali del paese, preoccupata di riconquistare un benessere materiale che la emancipi dai disagi della coabitazione), ma a farla scappare verso il suo destino di morte è tanto la sua totale mancanza di empatia con il mondo che la circonda quanto la rigidità delle temperature nella soffitta. Nello sceneggiato la giovane Jenny Tamburi interpreta un'adolescente che, nei suoi abiti leggeri e colorati, risulta solo capricciosa e frivola, colpevole di aver rinnegato quel caldo nido che è la soffitta nella ricostruzione dello studio televisivo, assediata dal sole più che dalla neve e connotata di tutti i valori positivi del rifugio familiare.

Nelle stessa intervista su «Paese Sera» (25 aprile 1976), Cialente ritorna sul personaggio di Camilla:

Giulietta Masina è una straordinaria Camilla e fa sentire fin dalle prime immagini e battute che il personaggio le è congeniale e lo ha interpretato con pieno e affettuoso convincimento, così ansiosa e materna, straordinariamente protettiva, non solo verso i figli. Nondimeno qui sta forse – e non ne ha di certo colpa la brava attrice ch'è la