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Tematiche e contenuti Scrittura, sostituzione, sdoppiamento

Il romanzo di formazione

I.1 Natalia Scrittura e invenzione dell'io

I.1.2 Tematiche e contenuti Scrittura, sostituzione, sdoppiamento

A fronte di un racconto ampio e stilisticamente complesso, la figura totalizzante di Natalia emerge sugli equilibri strutturali e tematici del testo arrivando a determinarne ogni aspetto. Il duplice sistema discorsivo che alimenta la storia trova il suo centro nella protagonista, capace di dominare sul piano della realtà come principale agente dell'intreccio e su quello dell'invenzione come responsabile di una scrittura che determina il corso dell'enunciazione principale.

Un simile personaggio è costruito sulla rielaborazione di una serie di motivi autobiografici, secondo modalità creativa che inaugura un lungo dialogo (destinato a ripetersi in ogni romanzo) fra Cialente e le sue creature letterarie. Come l'autrice, Natalia è figlia di un ufficiale, si confronta con un fratello più grande, segue la famiglia in una continuo girovagare per le province italiane, trascorre un'infanzia da sradicata nel segno del cambiamento perpetuo e dell'assolta instabilità.

Oltre l'evidenza di questi elementi, ricorrenti anche nelle opere successive e nelle dichiarazione dell'autrice, c'è un altro dato meno esposto, e meno noto. Nel grande affresco storico e memoriale delle Quattro ragazze Wieselberger la bambina Fausta compone lunghe lettere per il cugino Fabio, giovane direttore d'orchestra impegnato all'estero negli anni che precedono la Prima guerra mondiale:

Avevo preso a scrivergli lunghe lettere piene di sciocchezze che può inventare una ragazzina di undici o dodici anni, e fui assai turbata quando seppi che le leggeva ai suoi compagni di viaggio e di tournée […]. Si divertivano alle mie spalle, quindi, lui e i suoi compagni di viaggio. «State un po' a sentire quel che scrive la mia cuginetta» egli annunciava cavando di tasca un'ultima lettera, e tutti ridevano, sembra, ma io mi sentii sminuita e ridicola nella parte di “cuginetta” […]. Continuai a scrivergli, tuttavia, e fu inevitabile che nelle mie lettere cominciasse a serpeggiare e lampeggiare la vanità di esprimere un comico o un maligno più studiati. Cercavo, insomma, di sorprendere oltre che divertire, di piacere ad ogni modo, e sentivo d'entrare in una nuova dimensione, a parte quella che mi faceva essere “la cucina preferita”. A Renato [il fratello] non scrivevo mai, invece; ci vedevamo abbastanza spesso e con lui non avrei potuto gabellare per buone le stupidaggini che scrivevo, o meglio inventavo per Fabio38.

Il ricordo di Cialente si interroga implicitamente sul rapporto fra scrittura privata e consapevole esibizione del racconto letterario (determinata dalla presenza dei lettori),

fra condivisione della realtà (con il fratello) e possibilità di sostituirla con un'invenzione retoricamente e formalmente rielaborata (nei modi «studiati» del «comico» e del «maligno»). L'incontro fra i due esercizi opposti della parola svela l'accesso ad una «nuova dimensione»: la confusione della propria identità fra il ruolo di «cugina preferita» e quel mestiere di scrivere che sembra nutrirsi di stratagemmi e bugie. Una confusione e uno sdoppiamento che, più ancora delle coincidenze biografiche fra Fausta e Natalia, fornisce una prospettiva di indagine del testo e delle sue ragioni formali e strutturali.

Il carattere peculiare di Natalia è, infatti, un'inclinazione incontrollabile verso la rielaborazione fantastica e l'alterazione della realtà, un dato che si esprime nella sua condizione molteplice, materialmente esposta, fin dalla prima apparizione, nella necessità del movimento:

Indicò la bambina che le era sfuggita di mano e si avventurava lungo il corridoio. […] La bambina si divertiva nella casa vuota e camminava a piccoli passi leggeri per ingannare l'eco. Vide un balcone aperto in fondo al corridoio. Corse ad affacciarsi39.

Il dinamismo di Natalia è stabilito e ribadito nel corso del romanzo in opposizione alla figura immobile e immutabile di Silvia, definita come rovescio negativo della protagonista:

– Sono nata la vigilia di Natale, in Piemonte. La neve era alta un metro intorno alla casa. Papà è ufficiale di artiglieria. Abbiamo viaggiato molto.

– Io mi chiamo Silvia ed ho sempre vissuto qua. – Rise. – In questo giardino. Non mi annoio. È così. –40

Ella si era attenuata e raccolta alla luce del tramonto, come un fiore che si chiude la notte, i gomiti su le ginocchia e il volto nelle mani, confusa e impenetrabile nella veste oscura, tanto che a Natalia parve di non poter distinguere né di aver mai veduto quelle forme sciolte nel movimento. Era immobile e taceva41.

La discordanza fra staticità e movimento è articolata secondo una prospettiva spaziale che raccoglie in un interno domestico, ambiente privato e isolato dagli agenti esterni, la fissità virginale e mortifera di Silvia, mentre disperde in un orizzonte esterno di perpetuo nomadismo l'infanzia di Natalia:

39 Ead., Natalia, Roma, Sapientia. Edizioni dei Dieci, 1930, pp. 7-8. 40 Ivi, p. 10.

Nelle voci dei forestieri vibrava l'eco della confusione che li aveva menati per il mondo, alla ventura. La bambina nata in una pausa (la neve intorno alla casa) sentiva che su le donne aleggiava come una stanca e distratta meraviglia per la vita che pulsava fuori dalla loro casa piena di lutti42.

Silvia ascolta e sorride. Non ha mai pensato che si possa vivere così. I suoi giorni erano tutti eguali.

In buona fede, Natalia ha veduto delle albe violette dei crepuscoli verdi. Vicino a lei Silvia non avrebbe veduto niente. Natalia ha la memoria vertiginosa e il suo giovane passato è multicolore43.

L'identità di Natalia è segnata dalla mancanza iniziale di un'appartenenza e di un orientamento spaziale, sostituito dalla molteplicità dell'esperienza e della scrittura. In assenza di un'immagine consolidata del proprio ruolo e della propria personalità, il personaggio esercita una continua invenzione di sé attraverso l'esercizio della fantasia e della narrazione. Le proprietà psicologiche e morali della protagonista determinano così la struttura del racconto: il percorso di formazione di Natalia non è affidato ad una narrazione univoca e lineare in quanto su di lei non hanno potuto agire i codici di comportamento tradizionali e il consueto itinerario di affermazione individuale. La conquista dell'età adulta non è iscritta nella sua natura (che la vorrebbe sempre girovaga e bambina, diversa) ma è il risultato di un lungo lavoro di scoperta e di intonazione della propria voce. Privata della possibilità di condividere il linguaggio della realtà, Natalia ha costruito il proprio codice espressivo attraverso un procedimento di rovesciamento e alterazione del desiderio. In questo senso, la ragazza è un ritratto emblematico dell'artista, capace di instaurare con il mondo un rapporto creativo e trasformativo radicato nell'impossibilità di rinunciare al carattere ipersensibile ed esposto dell'infanzia. È una donna che scrive e scrivendo ripone nella sua parola attese di visibilità e di riconoscimento, tentativo di affermare l'autorappresentazione del corpo e dell'immaginario44.

Non è, tuttavia, l'unico autore del testo: alla sua scrittura si contrappone quella del corrispondente maschile, il poeta e storico Valdemaro. Personaggio lasciato ai margini dell'intreccio (se non nel finale, dove contribuisce al ricongiungimento di Natalia e

42 Ivi, p. 15. 43 Ivi, p. 151.

44 Cfr., Marina Zancan, Le autrici. Questioni di scrittura, questioni di lettura, in Alberto Asor Rosa (a

Malaspina), risolto nella sua funzione di identità speculare alla protagonista, soffre lo stesso stato di estraneità rispetto al reale e alle sue leggi. In maniera emblematica, le due figure si confrontano nella penultima sequenza del romanzo, quando è Valdemaro a riconoscere Natalia al ritorno dal suo anno di esilio volontario. Un incontro immediatamente connotato dalla superiore proprietà verbale dei due personaggi, identificati dalle loro parole alternative alla comunicazione quotidiana:

«Era colmo di parole straordinarie. Anche lei non poteva dire che qualche cosa di veramente straordinario»45.

Egli non aveva mai pensato che vi fossero al mondo delle crude parole come quelle che diceva Natalia: egli le sceglieva, per i suoi versi, mentre lei non si dava pensiero di sceglierle, le diceva tutte e sembrava che conoscesse soltanto le più terribili46.

Rispetto alla protagonista Valdemaro fa un uso nettamente diverso delle proprie capacità espressive, praticando una scrittura speculativa che diventa chiave di accesso per una serie di visioni fantastiche, orrorifiche e allucinate, dotate di valore profetico-simbolico e non attivo-trasformativo. Mentre Natalia scrive lettere per modificare, mediante la deformazione del presente, il corso degli eventi futuri, Valdemaro è impegnato in ricostruzioni storiche ed esercitazioni poetiche che rappresentano la sua continua resa alla fascinazione del passato (incarnato nell'ossessione per la figura di Galla Placidia), nel tentativo di colmare la repulsione del presente: l'amore non corrisposto per Teodora, moglie del suo superiore e amante di Jacopo, l'insuccesso letterario, la solitudine, il vuoto narcisismo intellettuale («egli non cedeva alla vanità ferita e voleva guardare soltanto negli occhi del suo dolore. Si vedeva nobile e infelice e si ammirava con tenerezza»47). Così, in un testo composto nel 1927, Cialente realizza un ribaltamento

radicale dei paradigmi di genere, attribuendo ad una figura maschile i caratteri di astrattezza sentimentale, esasperata immaginazione, incapacità di gestire i contenuti intellettuali, e riservando invece alla componente femminile gli strumenti dell'ironia, della manipolazione delle emozioni e della percezione del contrario.

La coesistenza delle funzioni di personaggio e scrittore, agente e autore dell'azione,

45 Fausta Cialente, Natalia, cit., p. 304. La stessa espressione ricorre nei pensieri di Natalia, nel

momento del primo abbraccio con Silvia (p. 110): «– Ecco, se ora dovessi raccontare questo, lo racconterei con parole straordinarie. – ».

46 Ivi, p. 308. 47 Ivi, p. 61.

stabilisce la doppia natura di Natalia, una circostanza che la porta a vivere la realtà due volte secondo due codici differenti: quello dell'esperienza oggettiva e quello della manipolazione creativa. Cialente costruisce l'intero romanzo come un accumulo di sdoppiamenti che si moltiplicano ad ogni livello del testo: doppio è il personaggio, il suo rapporto con il corpo e la sessualità, doppia la realtà, la storia e la scrittura che ne racconta gli eventi.

Il gioco della duplicazione inizia con il tempo dell'infanzia, dimensione che si alimenta di rimandi memoriali e fantastici:

– Sei la bambina che abiterà qui? –

Non sapeva se avrebbe abitato là, ma come lo desiderava violentemente, da un minuto, rispose – Sì. –

La fanciulla lasciò cadere le forbici. – Vuoi vedere il giardino? Vieni. –

Si ritrovarono su la casa buia e antica che scendeva nel portico, passarono sotto gli archi tenendosi per mano, entrarono nel giardino […].48

Appoggiata al muro del balcone aperto guardava il giardino affogato nella notte e riconosceva i colori dal profumo che ne saliva (il viola tenero del glicine, il verde grigio della salvia) […]. Era contenta. Suo padre e sua madre sarebbero venuti ad abitare quella casa forse un anno, forse due. Riudiva la voce di Silvia.

– Chi sei? –

– Sei la bambina che abiterà qui? –

– Vuoi vedere il giardino? – E tenendosi per mano rifacevano insieme la strada incantevole.49

In fondo al pozzo gorgogliava una polla. […] Le sue mani di adolescente, magre e scure, posate su le ginocchia nodose, erano tristi. […] La guardava splendere con rassegnazione e la sentiva respirare dolcemente da tutta la carne, indifferente e serena come un fanciullo che sta per assopirsi. […] Un ciuffetto d'erba cresciuto a l'ombra del sedile si affacciava di sotto l'orlo e innalzava, salvo, un fiorello bianco50.

Il suo era un ritorno a traverso la voce di Silvia. Guardava incantata i suoi capelli di un biondo pesante e denso. Fece un piccolo sforzo, uscì da quella voce come si abbandona la strada maestra e andrò per un viottolo suo al banco del pozzo..

(La primavera intiepidiva l'aria e in fondo al pozzo gorgogliava la voce dell'acqua. Rivedeva le sue mani adolescenti posate sulle ginocchia e Silvia che respirava, indifferente e serena come un fanciullo che sta per dormire. Un fiore bianco che dormiva all'orlo della sua gonna aperta. Ella voltava la faccia improvvisamente e Natalia la vedeva così bella che ne aveva il cuore ferito)51.

La tensione verso un infinito ritorno all'«incanto» dell'infanzia è il primo segnale

48 Ivi, pp. 9-10. 49 Ivi, p. 16. 50 Ivi, pp. 12-13. 51 Ivi, pp. 91-92.

dell'inadeguatezza di Natalia rispetto ad un normale e progressivo cammino di crescita, anomalia che, nel corso del romanzo, continua ad essere segnalata dal tema del doppio. In questo senso, emblematica è la sequenza del parto che risulta, come tantissimi episodi del romanzo, perfettamente duplicata: mentre Natalia soffre il travaglio nella camera nuziale, una capra «si era sgravata di due capretti, uno bianco e l'altro macchiato»52. Ma

il bambino della protagonista è «nato-morto, venuto al mondo senza voce, ad occhi chiusi […] già sepolto, freddo, inazzurrato dalla morte, e la madre che non l'aveva ancora veduto non l'avrebbe veduto mai più»53. Ignara della sorte del figlio, il giorno

seguente Natalia confonde il pianto dei capretti con il richiamo del neonato:

– L'ho sentito gridare questa notte, una volta. […] Ecco, sentite? –

Un pianto querulo, incessante giungeva là a traverso le porte chiuse. L'aria tremava leggermente e le guance di Natalia diventavano rosa.

– Ha fame, per questo grida e cerca la mamma. Non voglio che pianga. –

Alzandosi ella mostrava i seni gonfi che le facevano male. Giovanna irritata andava e veniva, apriva tutti gli usci e le finestre come se andasse in cerca del pianto acuto che pure s'allontanava.

– Ah! – esclamò ad un tratto Malaspina, pallido – Sono i capretti. –

Dalla finestra aperta videro la capra che se ne andava lungo il prato e i capretti le saltellavano al fianco, le mordevano le grosse mammelle, poi fermi, alzavano il muso e belavano al sole. I campi di grano erano gialli, verdi quelli di granturco, i cavoli erano celestini e le barbabietole quasi nere. Passò una grande nuvola e fece ombra su la terra colorata che la buona capra andava esplorando per i suoi capretti. Natalia li guardò che s'allontanavano poi s'adagiò nel letto e non disse niente54.

La dinamica dello sdoppiamento nasconde l'incapacità della protagonista nel decodificare il linguaggio del mondo e sancisce la sua estraneità rispetto alle leggi (sociali e naturali) che la vorrebbero donna fertile e madre. Dopo l'amore per un'altra donna, la morte del figlio determina l'alterità di Natalia, esclusa dalla conquista di un'identità stabile e definitiva.

La stessa condanna alla molteplicità è ripetuta nella percezione delle figure maschili che la avvicinano. Nei mesi in cui la ragazza è in fuga, lontana dalla famiglia, Valdemaro inizia a sognare una Natalia immaginaria, che diventa sua amante e lo accompagna nei suoi solitari viaggi in Europa. La proiezione della donna scomparsa si materializza nell'incontro finale fra i due personaggi, ennesima occasione in cui l'azione della

52 Ivi, p. 247. 53 Ivi, pp. 254-255. 54 Ivi, pp. 255-256.

protagonista è associata ad uno stato di confusione fra realtà e fantasia:

Ma fu solamente quando entrò nella sua camera e vi si chiuse che Valdemaro trovò Natalia seduta in angolo. […] Le domandò che cosa era venuta a cercare e Natalia rispose:

– Nessuno mi vuole. –

Egli non osò dirle che certamente Malaspina l'avrebbe «voluta». Anzi desiderò che egli non la volesse, come gli altri. Seduto sopra il letto rimase a guardarla e gli entrarono nel sogno – poi che si addormentò – le sue scarpette da viaggio di lucertola, il cappotto bigio, la catenella d'oro, sottile, che reggeva su la pelle nuda una crocetta di ametiste55.

– Nessuno mi vuole. – sospirò Natalia.

Valdemaro la guardò esterrefatto. Poi allungò una mano, prese un guanto e lo fece ricadere.

Non era un sogno, aveva proprio toccato un guanto56.

Al termine di questa lunga catena di duplicazioni, l'insita dicotomia di Natalia trova il suo vertice nell'ultima sequenza, focalizzata sullo sguardo di Malaspina che ha appena ritrovato la moglie nella squallida camera d'albergo. Le pagine finali del romanzo stabiliscono l'avvenuta trasformazione del personaggio, diventato «un'altra Natalia, più bella», creatura che appartiene insieme alla realtà (la camera dove si trovano gli sposi) e alla scrittura (la stessa camera che era nata dalle menzogne della ragazza), alla vita e al sogno:

La luce che pioveva sopra la testa di Natalia le asciugava i capelli bagnati e scuri che ridiventavano biondi ed ella se ne stava contro il letto, ferma, ignorante del colore che mutava su di lei e della bellezza che Malaspina ora le vedeva, cresciuta smisuratamente durante il tempo misterioso dell'assenza, tanto cresciuta da potergli sembrare un'altra Natalia, più bella, ma che per fortuna somigliava ancora alla Natalia di prima.

Un'altra. Coordinare.

Tenendosi la fronte con le mani egli parlò. Avrebbe voluto dire molte cose: le parole sotto lo specchio, parole d'amore e preziosissime, ella le aveva dette per lui e questo lo obbligava a pensare che Natalia doveva essere un'altra. La donna di prima non le aveva dette mai né era capace di dirle, povera donna. Perdonare in silenzio. Bene, egli lo poteva fare. Ma doveva sapere la nuova Natalia, che somigliava tanto all'altra, meno bella, come egli non si sentisse affatto diminuito dall'indulgenza e dall'amore, anzi tutto questo dava a lui una bellezza nuova, fisica e morale, completa.

[…] Stringendola forte nelle sue braccia egli stava per dire: – Andiamo via. – E fu distratto dalla bocca di Natalia che non era più come prima, acerba: rossa aveva maturato durante l'assenza57.

Il completamento della crescita individuale corrisponde non un a processo graduale ma

55 Ivi, p. 298. 56 Ivi, p. 315. 57 Ivi, pp. 335-337.

ad un «misterioso» fenomeno di sparizione e apparizione, un nuovo riconoscimento che si esprime attraverso lo stesso linguaggio arboreo («acerba: rossa aveva maturato») usato per descrivere le due bambine nel giardino (Parte I).

E' solo l'ultima di una serie di illusioni e giochi di sostituzione con cui la protagonista riesce ad imporre la sua presenza, a inventare e alterare la propria identità sfruttando le disfasie e le deformità del mondo. La natura duplice del personaggio, che corrisponde all'incapacità di trattare in maniera univoca l'oggettività condivisa, coincide con la possibilità di percepire lo scarto esistente fra la verità delle cose e il valore che gli viene comunemente attribuito58, fra la coscienza individuale e la rappresentazione sociale, fra

l'affermazione identitaria del soggetto e le norme tradizionalmente prescritte. Si tratta di una disposizione critica che determina il valore del personaggio candidandolo come erede delle principali acquisizioni del romanzo contemporaneo. In quanto creatura post- pirandelliana e post-sveviana, Natalia pratica una scrittura ironica che dichiara «quel che dovrebbe essere fingendo di credere che esso sia precisamente ciò che è»59 e opera una

«corrosione sarcastica [...] dei fondamenti obiettivi del reale e della conoscenza, che restano tali, ma come un puro scheletro di nozioni e di percezioni, di cui invece, con ossessiva insistenza, si rovesciano sistematicamente il senso, la portata e gli effetti»60.

Tuttavia, accanto alla lucida registrazione della componente ridicola nelle proprie azioni («Ah; se non era che aveva tanto sofferto ella avrebbe potuto dire: è una storia comica»61), il personaggio cialentiano frequenta con altrettanta disinvoltura la

dimensione bontempelliana del sogno e del sortilegio, lasciando agire nel proprio immaginario gli oggetti e le immagini che la circondano e alterando le proporzioni della realtà in catene di corrispondenze fantastiche. Una simile predisposizione, tuttavia, è

58 Esemplare, in questo senso, la sua riflessione sulla purezza: «La purezza primitiva, incosciente, le

sembrava una magnifica invenzione letteraria già che il risveglio dell'intelligenza è il primo segno d'impurità. Il suo risveglio datava d'un giorno assai lontano e le sembrava perciò, onestamente, di non essere mai stata pura secondo la morale e la religione. Che cos'era, in fondo la purezza, non lo sapeva. Se era «ciò che non ha miscuglio» ella si era mescolata a troppe cose e i giardini della malizia l'avevano conosciuta assai meno che adolescente. [...] la purezza [...] le stava addosso come una campana di vetro sopra i fiori di celluloide dipinta. Non sapeva trovare nuove parole per dirgli che non aveva fatto niente per averla e niente per perderla e le ciondolava al collo come un amuleto inutile», Fausta Cialente, Natalia, cit., pp. 52-54

59 Henri Bergson, Il riso, saggio sul significato del comico, Roma, Laterza 2001, p. 110

60 Aberto Asor Rosa, La storia del "romanzo italiano"? Naturalmente, una storia "anomala", in Il

romanzo, a cura di Franco Moretti, vol. III, Storia e geografia, Torino, Einaudi, 2002, p. 281

ancora legata alla sua matrice infantile e creativa, ben lontana dalla possibilità di scoprire, attraverso l'azione magica, i rapporti invisibili e le segrete corrispondenze che