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Cortile a Cleopatra Unità e molteplicità del racconto

Il romanzo di formazione

I.2 Cortile a Cleopatra Unità e molteplicità del racconto

Il secondo volume di Fausta Cialente, Cortile a Cleopatra (1936), conclude la riflessione dell'autrice sul romanzo di formazione, assunto come modello formale di riferimento e codice enunciativo per la rappresentazione di un preciso contesto storico- geografico.

Come prescritto dalla tradizione del genere, protagonista della vicenda è un giovane, connotato dai caratteri di mobilità e avventura, definito da una condizione spirituale insoddisfatta e irrequieta, rappresentato nel momento della sua iniziazione sentimentale e sociale. Si tratta del ventenne Marco, cresciuto in Italia ma costretto, dopo la morte del padre, a partire per Alessandria d'Egitto alla ricerca della madre greca. Nel sobborgo di Cleopatra, dove si stabilisce insieme alla sua scimmia Beatrice, convive con gli altri abitanti di un piccolo cortile, una comunità variegata per condizione sociale, lingua e religione. Di Marco si innamorano la povera Kikì (figlia di un caffettiere italiano e di una donna araba), la bella Dinah e la matura Eva, rispettivamente figlia e moglie di Abramino, ricco pellicciaio ebreo. Inizialmente fidanzato con Dinah, Marco viene costretto dalla famiglia della ragazza a lavorare come aiuto pittore per Francesco, artigiano italo-maltese, poi a impiegarsi nella bottega di Abramino. Incostante nel suo affetto per Dinah, completamente disinteressato alle prospettive di un avvenire economicamente sicuro, insofferente ad ogni obbligo e legame, il ragazzo seduce Eva. Mentre la donna sceglie il suicidio pur di non convivere con il rimorso e la vergogna, Marco fugge dal cortile verso l'ignoto entroterra africano.

L'intero romanzo funziona su una sola idea, un solo meccanismo narrativo che deriva direttamente dalla rielaborazione degli schemi espositivi del romanzo di formazione: la storia inizia quando un ragazzo (abbandonato da tutti e senza un posto nel mondo) attraversa lo spazio di una comunità organizzata; finisce quando l'estraneo si allontana, per non fare più ritorno. Durante il suo passaggio i membri del gruppo cercheranno di trattenerlo, di cambiarlo, mettendo a rischio e forzando tutte le norme della loro piccola società.

L'esibizione del modello di riferimento coincide con la sua dissacrante decostruzione e con la trasgressione del suo sistema ideologico. In primo luogo, risulta invertito il baricentro simbolico del testo, per cui il percorso di Marco è orientato non verso la crescita adulta (trovare una moglie) ma verso la regressione infantile (trovare una madre). A questa premessa destabilizzante segue una conclusione che non ammette alcun rientro nella normalità adulta, intesa come maturità psicologica e sociale: la fuga finale di Marco non prevede conciliazione né integrazione rispetto ad una formazione e uno stile di vita da cui si sottrae definitivamente, preferendo piuttosto l'esclusione dalla vita associata.

La soluzione scelta da Cialente dimostra la familiarità con le più recenti interpretazioni novecentesche del romanzo di formazione, familiarità che le permette di elaborare il suo personaggio sul modello dei grandi scrittori europei (tra gli altri London, Conrad, Alain- Fournier, letti e amati dall'autrice) che nei decenni precedenti avevano rovesciato le premesse positive del genere in racconti dagli esiti eversivi e rovinosi.

Determinante per la costruzione del testo, il rapporto con il genere non risolve tutte le specificità dell'opera. In Cortile a Cleopatra la scelta di dialogare con una precisa e riconoscibile tradizione si combina con la personale ricerca di una definizione stilistica nuova e di una forma romanzo estremamente complessa (tanto più matura rispetto alla vicina esperienza di Natalia), in cui convivono suggestioni autobiografiche, modelli culturali alternativi e differenti strategie discorsive.

Da un punto di vista strutturale il racconto gravita intorno all'assunzione del microcosmo spazio-temporale del cortile, dimensione su cui si articola il ritratto dell'Egitto levantino all'indomani della Prima guerra mondiale. Il romanzo combina una serie di elementi di stabilità e unità (la scansione lineare e coerente del tempo, la combinazione di un numero estremamente ridotto di funzioni narrative, la presenza di un narratore esterno) con una propensione alla polifonia e alla molteplicità della scrittura.

Dominante sul doppio binario della discontinuità e dell'ordine è l'intelligenza visiva dell'autrice, un'istanza enunciativa che impone l'esercizio dello sguardo come circostanza determinante di una narrazione che vuole mostrare ciò che è, costruire non

un discorso ma una rappresentazione. Nella prosa di Cialente questa attenzione alla realtà figurativa del mondo convive con una profonda sensibilità per il simbolo, per il potere di significazione più nascosto e implicito del reale.

Rispetto al piano tematico del racconto, la vicenda è dominata dalla figura totalizzante di Marco, protagonista che determina tutte le linee dell'intreccio e le tensioni fra i personaggi. Al carattere di immaturità, che è prescritto dalle norme del romanzo di formazione, Cialente associa altri elementi di estraneità (etnica, culturale, linguistica, religiosa) che riflettono le condizioni del contesto storico rappresentato. In questo modo la semplice alterità anagrafica (essere giovane in un mondo di adulti) si complica in una radicale diversità che, una volta entrata in collisione con la pretesa normalità del gruppo, mette in discussione i principi di convivenza di tutta la comunità.

È il grande tema del diverso, già annunciato nel destino deviato di Natalia, qui esteso e articolato in una pluralità di codici culturali che coinvolge ogni aspetto della società e dell'individuo. Marco, personaggio di ricerca e di abbandono, solare e tragico, rappresenta una diversità assoluta e incolmabile, una lacerante condizione di esilio che si sostituisce alla costruzione-accettazione di ogni possibile identità.

Attraverso l'incursione di Marco, l'universo multietnico del levante viene interrogato a partire dalle radici dei suoi codici culturali, da quella contaminazione di costumi e linguaggi che investono l'esperienza della scrittrice. Dopo dieci anni di vita in Egitto, Cialente restituisce il clima e gli ambienti di un mondo determinato dalla sua incontenibile molteplicità e da un sistema di convivenza apparentemente inclusivo, che sembra non escludere ma accogliere l'alterità. Davanti all'accumulo di stimoli del mondo levantino, l'autrice ricerca le formule del racconto mitico, condotto secondo la parabola universale della colpa, della maledizione e dell'espiazione. Il romanzo appare così puntellato di immagini evocative e simboliche, espressioni profetiche che utilizzano i diversi linguaggi culturali del cortile e annunciano l'esito finale della vicenda.

Il mancato percorso di formazione di Marco risulta quindi intrecciato con un doppio immaginario e una duplice strategia narrativa: da un lato la documentazione realistica, storicamente e geograficamente connotata, di una particolare classe sociale nel contesto dell'Egitto colonizzato; dall'altra l'esibizione del contrasto fra identità religiose e

culturali diverse, esposte nella formula ancestrale di una storia senza tempo, che riflette sulle radici più lontane del racconto e della rappresentazione.

I.2.1 Struttura

I.2.1.1 Ordine del racconto, ordine dello spazio

Alla maniera dei grandi romanzi europei del secolo precedente, Cortile a Cleopatra organizza la sua materia in diverse parti (quattro), identificate da un titolo e dotate di una solida autonomia narrativa. Rispetto ad un intreccio che si risolve nel corso di un anno solare (da maggio ad aprile), i quattro movimenti di consistenza variabile (rispettivamente 91, 64, 55 e 78 pagine) riflettono l'alternarsi delle stagioni e funzionano come coordinate temporali di riferimento. Nel quadro di questo ordinamento generale, l'osservazione dei dati estrinseci del testo rivela una decisa libertà nella disposizione del dettato narrativo. All'interno delle scansioni principali sono infatti distribuite 55 unità di scrittura (13 nella parte I, 17 nella II, 10 nella III, 15 nella IV) non numerate e separate tipograficamente da spazi bianchi. La rinuncia al controllo intermedio dei capitoli mette immediatamente in relazione la macrostruttura delle quattro parti con l'articolazione minima delle unità di scrittura, marcatori stilistici irregolari per durata (da due righe a trenta pagine), funzione diegetica e rapporto con le unità vicine: possono coincidere con le sequenze narrative, interromperle o contenerne più di una, determinando vari effetti di ritmo (sospensione, accelerazione, ellissi), montaggio (scarti temporali, spaziali e prospettici) e tono (enfasi drammatica o ironica).

Sul piano dei contenuti, lo schema compositivo del romanzo può essere riassunto nella combinazione di cinque funzioni fondamentali relative alle azioni subite o compiute dal protagonista rispetto ai personaggi del cortile e alle figure “alleate” di Kikì e Francesco, debole surrogato della figura paterna:

1 - mancanza iniziale 2 - persecuzione

3 - inerzia (distrazione) → 4 - condivisione 5 - reazione (violazione, tradimento, abbandono)

La perdita del padre e la ricerca del materno costituiscono la condizione di mancanza iniziale di Marco (funz. 1), una patologia permanente dell'animo che lo definisce in tutti i suoi comportamenti e lo condanna all'esclusione dal nucleo sociale del cortile. Rispetto all'alienazione passiva del protagonista, gli altri personaggi intervengono con un atteggiamento persecutorio (funz. 2) allo scopo di costringere il ragazzo dentro codici di comportamento normalizzati che orientino la sua affermazione professionale (il tirocinio presso il pittore Francesco), familiare (l'ufficializzazione della relazione con Dinah) e sociale (l'ingresso nella bottega del futuro suocero quale erede riconosciuto di una dinastia di mariti-padri-imprenditori):

La riprovazione di tutti, l'esempio del savio cugino Clément, le parole giudiziose di sua madre e di Abramino, gli avevano fatto mettere radici nel maledetto cortile a Cleopatra. Aveva finito […] per fare proprio quello che non avrebbe mai voluto fare, cioè si era trovato un «maestro»89.

Il guaio più grosso era ancora che, adesso, la gente del cortile lo tormentava perché guadagnava troppo poco e gli consigliava di cercarsi, dopo il tirocinio da Francesco, un lavoro più importante, più duro naturalmente, ma dal quale avrebbe ricavato guadagni lautissimi. Invece Marco sentiva di aver fatto lo sforzo massimo e si adagiava nella nuova inerzia, inquieto all'idea che la gente scoprisse quanto poco faceva per giustificare la misera paga90.

I ripetuti esercizi persuasivi nei confronti di Marco si risolvono in un'apparente remissività: il ragazzo accetta la «mite schiavitù» dell'apprendistato da pittore, del fidanzamento, del commercio di pellicce, risolvendo la propria insofferenza in uno stato di sempre «nuova inerzia» (funz. 3): «si sentiva incapace di fare altrimenti: egli aveva Dinah, la benevolenza dei pellicciai, e da dormire e da mangiare»91. Immerso nella sua

mite inquietudine, Marco risulta incapace di contrapporre alle pressioni subite un comportamento coerentemente eversivo: è nella sua natura cedere alle condizioni di necessità, abbandonarsi agli esiti combinati del caso e delle decisioni altrui. Il carattere del protagonista determina continui effetti di distrazione rispetto al corso dell'intreccio, una perpetua sospensione della storia che sembra, a più riprese, destinata a non raggiungere mai una conclusione. Se le sorti della vicenda dipendessero esclusivamente

89 Fausta Cialente, Cortile a Cleopatra, cit., p. 105 90 Ivi, p. 108

dalla volontà dell'eroe, gli incontri segreti con Dinah e le giornate di ozio nella bottega di Francesco potrebbero continuare per un tempo indefinito (Parte II), così come potrebbe trascinarsi la routine delle pellicce e dei sabbat in famiglia (Parte III e IV). Da un punto di vista narrativo, la distrazione si manifesta nel rallentamento della trama principale (la storia d'amore fra Marco e Dinah) e nella disponibilità all'ingresso di nuove figure, spazi, itinerari. In queste deviazioni della storia si inseriscono le figure di Kikì e Francesco, gli unici capaci di condividere (funz. 4) l'alienazione spirituale di Marco agendo in funzione di guida-confidente (il pittore) e di complice (la ragazza).

La soluzione alla condizione di stasi interviene dall'esterno nella forma delle pretese sentimentali e patrimoniali di Clément, che compromettono i due innamorati clandestini, e della morte di Spiro, che addensa intorno a Marco tutte le forze ostili del cortile annullando anche l'ultima possibilità di convivenza:

Fu Clément a precipitare gli eventi che l'umidità e la spossatezza cristallizzavano dentro un giro chiuso di giorno eguali92.

Egli non s'era accorto che aveva cominciato a desiderare qualche cosa di nuovo, fuori dal cerchio delle sue fiacche preoccupazioni, qualche cosa a cui egli potesse assistere come ad uno spettacolo: quando verso la fine di gennaio si preparò e si svolse un avvenimento93.

[…] Il cortile navigava sopra un fianco ed era quello della casa di Abramino: la morte di Spiro aveva dato lo squilibrio94.

Così la sequenza persecuzione-inerzia/condivisione impone al romanzo uno sviluppo ciclico, scandito in tre blocchi narrativi e caratterizzato dalla coincidenza fra le azioni di persecuzione (che innescano nuovi sviluppi della storia) e le partizioni principali del testo. A margine si articolano i motivi della mancanza e della violazione, elementi speculari di una cornice che restituisce le premesse (Parte I) e l'esito (fine Parte IV) del meccanismo narrativo centrale:

92 Ivi, p. 137 93 Ivi, p. 209 94 Ivi, p. 222

Costruita in funzione di lungo prologo, la prima parte del romanzo presenta una serie di specificità formali legate al trattamento della materia e del tempo narrativo. Marco è sorpreso addormentato in un pomeriggio di maggio95 e l'azione si conclude la notte del

giorno successivo, secondo un'insistita concentrazione temporale e spaziale che si realizza in 8 diverse sequenze narrative:

1 (pp. 9-29) Nelle prime ore del pomeriggio l'arrotino passa ad affilare i coltelli nelle case del

cortile, dove Marco dorme e sogna all'ombra del fico. Lo svegliano le voci di Polissena, Dinah e Haiganùsh. Scoppia un breve litigio che disturba il sonno del vicino di casa Spiro. Dinah offre a Marco il pranzo nella sua cucina. 2 (pp. 29-55) Uscito dalla casa di Dinah, Marco raggiunge la spiaggia e si siede a guardare il mare. Ritorna agli episodi della sua infanzia in Italia negli anni della grande guerra: il lavoro e la vita con il padre pittore, la partenza per l'Egitto alla ricerca della madre Crissanti, l'arrivo ad Alessandria. 3 (pp. 55-63) Il pomeriggio avanza. Marco passeggia lungo la spiaggia di Ibrahimieh. Sa di non poter rientrare perché sua madre è in chiesa e ha certamente chiuso tutte le porte. Il pensiero di Crissanti introduce una catena di immagini e riflessioni: si alternano per libere associazioni personaggi, situazioni e gesti quotidiani del cortile. 4 (pp. 63-69) Il sole è tramontato, Marco torna verso casa. Il tragitto da percorrere gli ricorda la sera del suo arrivo nel cortile e l'incontro con sua madre e i suoi vicini. 5 (pp. 69-76) Marco trova il cortile deserto e buio, nessuno è rientrato dalle passeggiate o dalle preghiere serali. Cammina verso il villaggio di Sidi Gaber, fino alla baracca del caffettiere Armando. Qui viene avvicinato da venditori ambulanti e discorre con l'amica Kikì, figlia del proprietario. Infine gioca a dama con un cliente, vince una discreta somma e ritorna verso il cortile. 6 (pp. 76-86). All'alba dal terrazzo di Abramino cola il sangue del montone ucciso dallo sciohet. Crissanti, cristiana ortodossa, teme che il sangue vicino alla porta di casa sia portatore di sventura: nel cortile scoppia l'ennesima lite. Marco va a raccogliere della sabbia per asciugare il sangue, poi rientra nella sua stanza. 7 (86-94) La sera dello stesso giorno. Marco siede vicino alla finestra della sua camera e rievoca la giornata appena trascorsa passeggiando fra i banchi della festa araba nel villaggio di Sidi Gaber e poi, nel pomeriggio, lungo il lago di Handra e i canali navigabili che portano al Nilo. La sera, tornando verso il cortile, pensa alle due ragazze che abitano le sue giornate: la ricca e capricciosa Dinah, figlia di Abramino, e Kikì, povera, silenziosa e diffidente. 8 (94-100) Marco è ancora nella sua stanza (la situazione di p. 86) a tarda sera. Abramino visita la casa di Crissanti e le offre, come

95 Manca un riferimento preciso all'anno, plausibilmente compreso fra il 1920 e il 1922 se si considera

l'età del protagonista (ventenne) e i suoi ricordi della Grande guerra. L'ambientazione dovrebbe quindi coincidere esattamente con il primo sbarco di Cialente ad Alessandria d'Egitto, nel 1921.