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Le quattro ragazze Wieselberger (1976) e il Premio Strega

La Resistenza e il lungo dopoguerra

III. 2 «Non sono mai stata tanto celebre»: il 1976, l'anno stregato

III.2.2 Le quattro ragazze Wieselberger (1976) e il Premio Strega

Nel marzo del 1976 Mondadori pubblica nella collana «Scrittori italiani e stranieri» il sesto romanzo di Cialente, Le quattro ragazze Wieselberger, destinato a diventare il suo libro più letto e ristampato. L'anno d'oro della scrittrice non è infatti limitato al fenomeno Camilla, ma la vede raggiungere, quasi ottantenne, il più grande successo di critica della sua carriera.

Come recita il risvolto di copertina, ripercorrendo la storia della famiglia materna, di origine triestina, «Fausta Cialente racconta mezzo secolo di storia italiana, in una prospettiva rivelatrice» che combina ricerca documentaria, ascolto e rielaborazione delle memorie individuali e autobiografiche:

Antiche vicende familiari ricostruite con la propria fantasia o con le testimonianze degli altri si fondono, nel racconto della Cialente, con brani intensi e vividi della propria autobiografia […]. Ma il romanzo, nella sua acuta analisi della dissoluzione di una famiglia, e del parallelo disfacimento della società nazionale, supera sia la letteratura della memoria, sia lo stesso scontro tra mondo triestino e mondo italiano. Le linee di questo quadro, coraggioso e impavido, si collocano infatti in una prospettiva, narrativa ed ideologica, europea295.

L'intenzione di dedicare un romanzo alla vita della madre e delle zie accompagna da tempo l'autrice, che già nel 1966, a ridosso della pubblicazione di «Un inverno freddissimo», dichiara:

Adesso riposo e spero di andare presto a Bagdad, da mia figlia. Ma ho già in mente un nuovo romanzo. Vorrei fare un libro su Trieste. Mia madre era triestina. Ho dei ricordi della Trieste austriaca... la villa del nonno, l'odio verso la comunità slovena... tutto un mondo che mi affascina296.

Il rapporto di Cialente con Trieste, meta delle sue vacanze estive durante l'infanzia e patria di elezione scelta nella dispersione identitaria della sua biografia, è cresciuto negli anni investendo diversi aspetti del suo lavoro e del suo impegno.

Nell'autunno del 1953 l'autrice torna nella città materna e si trattiene diverse settimane per lavorare ad alcuni reportage per «Il Contemporaneo» e «l'Unità»297. Il suo interesse

è immediatamente riservato alle testimonianze dei passati scontri fra italiani e sloveni, alle persecuzioni razziali del fascismo e alle nuove politiche che, attraverso l'istituzione di spazi culturali e assistenziali gestiti direttamente dai cittadini, tentano di rimarginare il tessuto sociale. Si tratta di una prospettiva di indagine che, oltre ad essere in sintonia con le inchieste giornalistiche degli anni Cinquanta, anticipa molti temi centrali nel romanzo del 1976 e rappresenta un'occasione di incontro con gli esponenti della politica locale.

Fra le diverse personalità attive nella sfera del Partito comunista, la dottoressa Laura Weisse (1914-1987) è destinata diventare il principale punto di riferimento per Cialente. Di formazione scientifica (è un medico chirurgo) e di origini ebree, è una delle principali protagoniste della vita politica triestina, eletta nel 1949 come consigliere comunale, attiva nel campo dell'assistenza sociale e impegnata come membro del Consiglio Generale della Federazione Democratica Internazionale delle Donne e come presidente del Comitato triestino per la Difesa della Pace.

In occasione della pubblicazione de Le quattro ragazze Wieselberger, è la stessa Weiss a ricordare l'incontro con Cialente:

Quando nel movimento operaio triestino del dopoguerra fu possibile e si volle ristabilire, come era nelle vecchie tradizioni, un contatto diretto con autentici rappresentanti della cultura italiana continuatrice della Resistenza, Fausta Cialente ritornò a Trieste e stabilì un rinnovato legame con la città che aveva conosciuto bambina dalla casa dei nonni materni. In una dedica che ritrovo nel suo libro che

296 Fausta Cialente, Ho lasciato l'Egitto per il freddo di Lombardia, intervista di Alfredo Barberis, «Il

Giorno», 16 marzo 1966, p. 10.

297 Termometro a Trieste, «Il Contemporaneo»,12 giugno 1954; Una visita alla “risiera”. Impressioni

triestine di Fausta Terni Cialente, «l'Unità», 30 luglio 1953; Case della pace. Impressioni triestine di F. Cialente, «l'Unità», 7 agosto 1953.

allora presentò al pubblico triestino, Fausta indica come “storica” la giornata di quel settembre 1953. Quell'incontro fu per lei fonte di nostalgici e in un certo senso strani ricordi familiari e di pensieri contraddittori. Tutto il mondo della borghesia triestina in cui era vissuta durante l'infanzia era crollato alla luce delle esperienze di due tremende guerre e in lei risorgeva la curiosità di capire meglio le contraddizioni già allora “sentite” più che capite nel suo ambito familiare […].

Dopo quel primo incontro Fausta Cialente ritornò più volte a Trieste, anche come acuta giornalista e sempre attenta a studiare la realtà storica e attuale della nostra città. Maturò così, credo, il suo desiderio di scrivere un libro sulle vicende della propria famiglia nell'ambito di parecchi decenni alla luce delle sue meditazioni ed esperienze.

Non deve essere stato facile questo suo lavoro sentimentalmente sofferto e fra i suoi amici triestini l'attesa era quasi ansiosa, fin da quando l'accompagnammo in qualche sopralluogo nei posti conosciuti nell'infanzia e ormai tanto mutati, partecipando alle sue emozioni e ai suoi interrogativi. Fu certo un privilegio seguire un po' questa fatica creativa, esempio di profonda onestà e di notevole coraggio perché per parlare seriamente di Trieste, purtroppo, occorrono sempre anche queste virtù298.

Un attestato di questo debito e di questa condivisione con l'amica triestina viene riportato in calce al romanzo: «Ringrazio […] la mia cara amica dottoressa Laura Weiss», scrive Cialente, «per la preziosa documentazione, i consigli e i suggerimenti con i quali ha sorretto e confortato la mia addolorata fatica»299.

Le testimonianze conservate suggeriscono la fisionomia di un'opera che, fin dal principio, si sviluppa come sintesi di diverse esigenze espressive e conoscitive: la suggestione di portare sulla pagina «tutto un mondo che mi affascina», animato dai ricordi infantili e dalla memoria di un passato sommerso; l'urgenza di rispondere al presente di una città completamente mutata ma ancora interpretabile attraverso la scoperta della sua storia; l'influenza di una realtà politica attiva e strettamente connessa all'impegno sociale di Cialente.

Nel quadro di queste complesse e molteplici pressioni, il dato di profonda novità del romanzo è la centralità e l'immediatezza della vocazione autobiografica. Per la prima volta l'autrice rinuncia a qualsiasi filtro narrativo e sceglie di esporre in prima persona un racconto che è insieme il suo testamento spirituale, il ritratto di oltre mezzo secolo di storia italiana, un omaggio alle donne della sua famiglia e ai loro singolari destini: «È la prima volta che racconto di me in modo completo e crudo, vorrei che il libro fosse preso per la testimonianza di una donna che parla del suo tempo. Attraversa più di mezzo

298 Laura Weiss, La Trieste dei Wieselberger, «Il Meridiano di Trieste», 3 giugno 1976, p. 14. 299 Fausta Cialente, Avvertenza finale a Le quattro ragazze Wieselberger, Milano, Mondadori, 1976.

secolo; e io sono stata, presto, una ribelle»300.

Rispetto alla storia delle fonti e degli studi su Cialente, l'ultimo romanzo presenta un'ulteriore, e determinante, specificità: Le quattro ragazze Wieselberger è l'unica opera di cui sia stato conservato il dattiloscritto originale, prima testimonianza del processo compositivo dell'autrice e della storia del testo301. Le notazioni cronologiche lasciate sui

fogli dell'autografo consegnano infatti le date di stesura delle quattro sezioni che compongono il testo: nel settembre del 1974 Cialente conclude a Trevisago la prima parte; termina la seconda a Madrid nell'inverno del 1975; all'inizio dell'anno successivo congeda la parte terza a Roma; qui la scrittura si conclude nel marzo del 1976. L'andamento dei diciotto mesi di lavoro costituisce un ritratto esemplare di quello che, a giudicare dai dati biografici, deve essere la condotta abituale dell'autrice: produrre i suoi lavori senza smettere di spostarsi almeno due volte l'anno cambiando casa, città, paese, trascinando con sé in ogni nuova sistemazione il materiale necessario per la stesura. A dispetto di un nucleo di ispirazione così lontano nel tempo (il desiderio espresso nel 1966 dopo la pubblicazione di Un inverno freddissimo, le sollecitazioni della visita a Trieste del 1953, il ritorno privato agli eventi della propria infanzia), il dattiloscritto riporta l'impegno dell'autrice ai mesi immediatamente precedenti la pubblicazione e l'immediato successo dell'opera.

A quindici anni di distanza dalla vittoria negata di Ballata levantina e a dieci dalla finale di Un inverno freddissimo, anche Le quattro ragazze Wieselberger partecipa al concorso dello Strega presentato da Giorgio Bassani e Giovanni Macchia. Il contesto è ora completamente mutato, Cialente si presenta come un'autorità, un nome illustre e lungamente penalizzato, che conquista subito il favore dei votanti e dei commentatori:

300 Laura Lilli, Sono presto stata una selvaggia, «La Repubblica», 22 maggio 1976.

301 Ead., Le quattro ragazze Wieselberger, dattiloscritto con correzioni autografe, Biblioteca nazionale

centrale Vittorio Emanuele II, Fondo Vittorio Emanuele, man. Vitt.Em.1555. Il dattiloscritto è composto da 163 fogli sciolti numerati divisi in tre cartelline contenente le diverse parti del romanzo (le parti II e III sono contenute entrambe nella seconda cartellina). I fogli sono contraddistinti da un'unica numerazione progressiva. Alla fine di ogni parte l'autrice riporta a penna la su firma, la data e il luogo di fine stesura: I parte (ff. 1-42), f. 42: «Fine della 1a parte. Fausta Cialente. Trevisago settembre 1974»; II parte (ff. 43-91), f. 91: «Fine della II parte. Madrid inverno '75. Fausta Cialente»; III parte (ff. 92-122), f. 122: «Fine della III parte. Fausta Cialente. Madrid-Roma 1975-76»; IV parte (ff. 123-156), f. 155: «FINE Fausta Cialente. Roma marzo 1976». Il foglio 156 contiene l'avvertenza finale dattiloscritta. Il dattiloscritto contiene ritagli (a stampa e a mano) e appunti ai margini dei fogli e sul lato interno delle cartelline.

E' difficile che la previsione della vittoria di Fausta Cialente nella edizione 1976 del Premio Strega sia smentita dai fatti, vale a dire dalle ultime votazioni che gli scrittori italiano effettueranno mercoledì sera, 7 luglio, nel Ninfeo di Valle Giulia. Dovrebbero coalizzarsi tutti i voti dei tre finalisti rizzoliani (Giorgio Montefoschi, Laura di Falco, Vittorio Gorresio) e anche quelli dell'altro finalista, Ottiero Ottieri, per capovolgere un risultato già dato per scontato da tutti (anche dal nostro Giorgio Polacco). È stato anche detto che la Cialente non sopporterà un'altra sconfitta per pochi voti, sconfitta che già le capitò nella edizione dello Strega del 1961. Il suo romanzo Ballata Levantina fu superato, difatti, per pochi voti, dal romanzo Ferito a morte di Raffaele La Capria302.

In testa fin dalle prime votazioni, viene indicata favorita dai cronisti303, che annunciano

la sua probabile vittoria come un riconoscimento dovuto non solo al romanzo ma alla figura intellettuale e all'impegno di Cialente: «sembra prevalere l'intesa di non contrastare il successo dell'autrice di Mondadori che premia, oltre al bel libro, anche una lunga vita estremamente coerente»304.

Il 7 luglio 1976 nello scrutinio finale Le quattro ragazze Wieselberger risulta vincitore (157 voti) su Contessa di Ottiero Ottieri (93 voti), L'inferriata di Laura di Falco (67 voi), Costellazione Cancro di Vittorio Gorresio (60 voti), Il museo africano di Giorgio Montefoschi (27 voti). Ai microfoni della stampa Cialente parla del momento dell'assegnazione del premio:

L'ho aspettato con grande tranquillità. Avevo solo un problema, cosa dire, quando arrivano quei terribili personaggi con i microfoni e vogliono le tue impressioni: perché di leggere un foglio di carta, come fanno tanti premiati, proprio non mi garbava. Allora, ho pensato di dire semplicemente questo: sono contenta305.

Il ricordo più affettuoso e coinvolto è, a distanza di molti anni, quello di Maria Bellonci, testimone delle precedenti sfortune dell'amica al Ninfeo e felice del suo riscatto finale:

Vinse Fausta Cialente a Villa Giulia con Le quattro ragazze Wieselberger destinato ad una fortuna stragrande di lettori e che oggi ha superato le duecentomila copie. Fu bello festeggiare la nostra Fausta vestita di bianco, sorridente, calmissima nella sua affabile energia. All’approdo dello Strega arrivava dopo una vita di scontri e di vicende a volte dure e crudeli ma in certo modo rasserenate dalla severa e limpida autorità morale che irraggia da lei sugli affetti familiari, sulle amicizie, sulla vita politica, sulla vita di ogni giorno e sulla sua opera di scrittrice306.

302 La Cialente con certezza, a cura di Giuseppe Tedeschi, «Momento sera», 5-6 luglio 1976 303 Carlo Rossella, Sono Coccioli e la Cialente?, «La Stampa», 5 giugno 1976, p. 3

304 Zeta, Uno Strega per quattro ragazze, «Corriere della sera», 7 luglio 1976, p. 13 305 Giulia Massari, La Cialente dopo lo Strega, 17 luglio 1976, p. 4

La critica è più che mai concorde nel promuove il romanzo, considerato da molti l'opera più riuscita della scrittrice settantottenne che, dopo una vita di fughe e di limitata disponibilità mediata, sembra offrire la sua verità (personale, familiare, ideologica) perfettamente ordinata sulla pagina: Giorgio de Rienzo riconosce, fra i tanti, che la scrittrice «ha affidato al romanzo tutta se stessa, anche nel rischio (consapevole) di smarrirsi. È il prezzo che si paga sempre per il proprio capolavoro»307.

L'elemento centrale che guida il giudizio positivo dei lettori è dato dalla combinazione fra ritratti e intonazioni della vita affettiva e l'esercizio di una ragione critica capace di guidare gli slanci della memoria. Il romanzo risulta «giocato tutto in questo contrasto tra la tentazione ad un abbandono contemplativo e il continuo, vigile, ritorno di una lucida coscienza» che, nel bilancio finale della storia «inquieta e non pacifica, suscita problemi»308.

Marino Biondi su «Il Ponte» presenta il romanzo come «la prova più matura e di più alta resa formale» di Cialente, evidenziando un andamento narrativo che «è proustiano quando fa intercedere la memoria involontaria, la intermittenza del cuore cui si attinge il segreto meccanismo di ritrovamento del tempo»309:

Romanzo di formazione della coscienza operata con la continua meditazione della storia politica e civile, il libro versa gocce d'acido sulla tenerezza istintiva del tempo perduto, sulla letteraria venerazione del passato e non offre nessuna facile esca interpretativa che non sia, anche da parte di chi legge, la complessiva rivisitazione degli anni di una generazione310.

Sulle pagine di «Rinascita» viene valorizzato il rapporto fra memoria individuale e storia collettiva come ragione fondamentale della struttura del testo:

Il tono generale del libro è proprio quello di un accorato dolore: la vicenda umana delle «quattro ragazze» e della Cialente stessa […] si fonde con le delusioni e le colpe di tutta un'epoca e partecipa ansiosa o assiste sbalordita e segnata al succedersi di due guerre mondiale, e alle abiezioni del prima e del dopo. Libro profondamente intessuto di storia e che fa storia, quindi, […] benché proprio una memoria quanto mai «privata» sia alla base di questo scrivere, quasi un tentativo di mettere ordine, di rivivere e finalmente possedere un passato troppo confuso e colmo di dolore311.

Analogo è il parere di Enzo Panareo de «l'Unità», puntuale nel ribadire che il romanzo è

307 Giorgio de Rienzo, Il paradiso perduto dell'antica Trieste, «La Stampa», 19 giugno 1976, p. 8 308 Ibid.

309 Marino Biondi, Dall'antagonista all'ignoto marinaio, «Il Ponte», 31 gennaio 1977, pp. 92-109 310 Ibid.

«non un recupero in chiave sentimentale, dunque, ma critica, dove le cose valgono per la lezione che propongono»312:

è attraverso queste certezze che la memoria filtra ormai i ricordi, il riconoscimento di quella realtà storica alla cui definizione tutta un'epoca, con i suoi miti presto rivelatisi caduchi, concorre. Sono i miti che la scrittrice, sperimentandone sulla coscienza il bruciore, ha sempre combattuto con l'ansia del civile riscatto313.

La voce più illustre è, ancora una volta, quella di Carlo Bo dalle colonne del «Corriere della sera», che inizia il suo ragionamento valorizzando «la visione morale» cui il racconto risulta coerentemente «agganciato»:

Quasi si trattasse di un bilancio poetico, dove il primo dato è quello della verità, della verità quale ci appare nei momenti più alti della nostra esistenza.

[…] Il libro non sarebbe quello che è – e mi sembra stupido classificarlo con qualche spregio come un frutto tardivo della letteratura di memoria – vale a dire il racconto di una scoperta morale, se dietro non ci fosse il quadro di una società che ha subito nel giro di settant'anni una trasformazione capitale. […] Ecco in quale modo una storia privata si risolve in una vicenda molto più ampia e un atto di ricordo si scioglie in un forte sentimento poetico che illumina e nutre la stessa coscienza letteraria314.

In accordo con i recensori, è la stessa Cialente ad estendere la ragione della sua scrittura oltre l'orizzonte dell'autobiografismo e delle vicende storiche della Trieste irredentista, introducendo uno sguardo severo che vuole denunciare (senza pretendere di possederne la soluzione) le ingiuste condizioni politiche e sociali che affliggono «tutto il mondo»:

Il mio compito non dovrebbe esaurirsi nell'aver descritto la decadenza di una famiglia e di un'epoca: per quanto Trieste sia stata il destino delle quattro ragazze Wieselberger. La storia in Europa e fuori ci ha mostrato da allora in poi ben altri errori, complicità e mostruosità. Non vedo soluzioni possibili ai “nodi storici” che sono ancora presenti in tutto il mondo, se le gravi ingiustizie sociali, gli egoismi e i razzismi non sono vinti e cancellati da una vera democrazia315.

Intervenendo su «Momento sera», Giuseppe Tedeschi conferma il valore di «una visione altamente morale del rapporto che deve esistere, tra diritti e dovere, tra l'uomo e il suo destino. Il senso finale del romanzo trascende, cioè, dagli stessi fatti, pur emblematici, che esamina per diventare una ricerca di verità più durature»316. Nella seconda parte

dell'articolo, il critico è fra i pochi ad occuparsi anche dell'impianto formale del testo,

312 Enzo Panareo, Tutti i veleni della guerra, «l'Unità», 25 giugno 1976, p. 8 313 Ibid.

314 Carlo Bo, Memorie che diventano visione morale, «Corriere della sera», 30 maggio 1976, p. 10 315 Con le Quattro ragazze Wieselberger Fausta Cialente vince lo Strega, «l'Unità», 9 luglio 1976, p. 3 316 La Cialente con certezza, a cura di Giuseppe Tedeschi, cit.

riconoscendo nel romanzo un elemento strutturale ricorrente in tutte le prove di Cialente:

La capacità di evocare e di restituire mirabilmente la presenza dei luoghi è la prima grande qualità narrativa di Fausta Cialente. Ritengo che tale capacità sia un suo segno congeniale, un dono naturale […]. La Cialente vede e sente i luoghi fisicamente. Ne percepisce le pulsazioni quasi come captazioni biologiche, prima che come resoconto sentimentale, psicologico, mnemonico.

I luoghi, i ricordi dei luoghi, sono per la Cialente l'ebbrezza stessa (o il dolore stesso) della narrazione: il primo slancio, il primo fervore.

[…] Avendo avuto una vita “senza luoghi” ne ha saputo trarre, da quelli appena percepiti, una enorme carica di ispirazione, mischiandone, impareggiabilmente, autobiografia e invenzione, realtà e poesia. Anche per questi motivi, Le quattro

ragazze Wieselberger, suo più recente ritorno alla “ricerca dei luoghi”, è un'opera di

entusiasmante resa narrativa, lineare e vibrante, patetica e razionale, allo stesso tempo317.

Anche Lorenzo Mondo si cura di contestualizzare il romanzo nel percorso creativo della scrittrice, scegliendo come carattere distintivo un tono di esotismo dovuto all'insolita biografia di Cialente:

Fausta Cialente, scrittrice di aromi inusuali per la nostra letteratura […] ci dà con Le quattro ragazze Wieselberger un libro in qualche modo esotico pur se radicato in mezzo secolo di storia e di costume italiani. L'esotismo è nelle passioni di quella Trieste «irredenta» a cavallo del secolo, ma ancor più nel distaccato giudizio di chi scrive, nel suo destino randagio su e giù per l'Italia e poi, un'altra volta, oltre il confine318.

Sorprende per il tono ironicamente patinato la recensione di Alfredo Giuliani, che definisce le pagine del romanzo «un chiacchiericcio ariosamente evocativo» e, nel riferirsi a Cialente, ricorre alla figura di un'anziana, operosa e nobile signora nel suo salotto borghese:

Atmosfera domestica e favolosa che si potrebbe definire: la storia all'uncinetto. L'anziata signora, tenera ma pungente, nella quiete di un confortevole salotto, mentre voi ve ne state sprofondati nel soffice grembo d'una poltrona, vi seduce la memoria con un chiacchiericcio ariosamente evocativo. Le sue agili mani stanno incantando le maglie di un filo, la voce dipana i racconti di famiglia risalendo verso un'epoca molto lontana, quando lei non c'era, ma esistevano i nonni e le loro figlie […] ed esisteva la storia di Trieste. […] La fantasia dell'anziana signora è tutt'altro che idilliaca, anche se il tono della voce è nobilmente “antico”.

Per me il libro termina alla pagina 204 con la prima guerra mondiale. L'ultima parte,