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Il secondo tempo di Cortile a Cleopatra (1953)

La Resistenza e il lungo dopoguerra

II.2 Il secondo tempo di Cortile a Cleopatra (1953)

Il lungo silenzio editoriale di Cialente si interrompe nel 1953 quando Sansoni presenta la seconda edizione di Cortile a Cleopatra, romanzo che accompagna l'autrice da oltre vent'anni e segna i margini della sua lunga assenza dalla scena letteraria. L'iniziativa di Sansoni rappresenta per molti versi la prima vera diffusione di un testo passato inosservato nel 1936, e di un'autrice che la lunga assenza dall'Italia aveva reso invisibile al pubblico e alla critica.

Cortile a Cleopatra è il settimo volume della collana «Biblioteca di Paragone»,

associata all'omonima rivista diretta da Anna Banti e Roberto Longhi. Il mensile, inaugurato nel 1950, prevede l'alternanza di numeri dedicati all'arte e alla letteratura, ed è stampata e distribuita a Firenze dallo stesso Sansoni119. La prestigiosa redazione (che

comprende, fra gli altri, Attilio Bertolucci, Cesare Garboli e Carlo Emilio Gadda) garantisce una selezione di titoli di grande interesse che comprendono, negli stessi anni, anche tre importanti prime edizioni in volume: La passeggiata prima di cena di Giorgio Bassani (1953), Casa d'altri di Silvio D'Arzo (1953) e la raccolta poetica La meglio

gioventù di Pier Paolo Pasolini (1954).

La presenza di Cortile a Cleopatra nella collana della rivista dipende da un diretto interessamento della direttrice Anna Banti che, con particolare lungimiranza, sceglie per la Prefazione al romanzo una firma di massima autorità, decisiva per l'affermazione critica del testo. È la firma di Emilio Cecchi, da molti anni vicino alla scrittrice fiorentina grazie alla lunga amicizia che la lega a sua moglie, la pittrice Leonetta Cecchi Pieraccini.

Il 16 febbraio 1953 Cialente scrive a Cecchi poche righe che sembrano avviare la stesura della Prefazione:

Egregio Professore,

A quanto mi dice Anna Banti Ella avrebbe la bontà di rivedere il Cortile per un'eventuale prefazione.

Non posso dirle quanto ne sono felice ed onorata e fin d'ora la ringrazio.

Anna Banti mi ha pure chiesto di aggiungere qualche parola sulla oramai mutata topografia di quei luoghi, e se sarà necessario lo farò. Credo opportuno sottoporle queste poche righe che sono all'incirca quanto direi e, insieme al libro, possono

servire a documentarla. Ma, sempre che ella abbia la gentilezza e il tempo di farlo, a me pare che la sua autorevole voce – e solamente la sua! – sarebbe quanto di meglio possa sperare per il libro; e la mia, di troppo120.

Tre mesi dopo la Prefazione è già sulla scrivania di Banti:

Caro Cecchi, ho, in questo punto, la sua prefazione alla Cialente, la leggo e la trovo bellissima. Come ringraziarla? Ma la mia mortificazione di averle dato, indirettamente, un sovrappiù di lavoro, si conforta del fatto che sento, dalle sue parole, che il libro le è piaciuto davvero121.

Il testo di Cecchi, infatti, promuove il Cortile come «uno dei più bei romanzi italiani dell'ultimo ventennio»122, riconoscendo che «tra le nostre recenti opere narrative […]

non so quante potrebbero mostrare una freschezza così indelebile; e non so di quante si sentirebbe che veramente erano nate sotto il segno della felicità». Denunciata l'anomalia del suo esordio mancato, Cecchi individua nel romanzo «un'infallibile simpatia e fedeltà etnica», capace di restituire le suggestioni di «un esotismo così autentico, colorito, e al tempo stesso così famigliare». Sul piano della struttura, evidenzia la solidità di una narrazione che «si svolge con una naturalezza generosa: s'intreccia e si scioglie sopra sé stessa con simmetrie mai insistite e per ciò tanto più suggestive; con un gusto di composizione pittorica i cui temi figurativi e paesistici e le cui pause spaziali scandiscono il tempo e il maturarsi del dramma». Una simile «intensità e legatezza di realizzazione» raggiunge i suoi migliori risultati nel trattamento delle figure femminili, capaci di conservarsi vive e irrisolte fino all'ultima pagina, mentre «il personaggio che davvero non ha più avvenire è quello di Marco; e sentiamo che, di tappa in tappa, non potrà seguitare a vivere che con le stesse carenze e le stesse fughe da se stesso e dal mondo». Si congeda infine, ammettendo che «noi invidiamo quelli che lo leggeranno ora per la prima volta»123.

È un nuovo lettore del Cortile Adriano Seroni, che ne promuove la diffusione dalle pagine di «Paragone», presentando quindi il romanzo come una riscoperta ad opera della

120 Lettera di Fausta Cialente a Emilio Cecchi, Roma, 16 febbraio 1953, Gabinetto Scientifico Letterario

G. P. Vieusseux, Fondo Emilio Cecchi, Corrispondenza indirizzata a Emilio Cecchi, doc. 117.1. Non sono conservati allegati alla lettera.

121 Lettera di Anna Banti a Emilio Cecchi, Firenze, 30 maggio 1953, Gabinetto Scientifico Letterario G.

P. Vieusseux, Fondo Emilio Cecchi, Corrispondenza indirizzata a Emilio Cecchi, doc. 12.54. Su carta intestata di Paragone.

122 Emilio Cecchi, Prefazione, in Fausta Cialente, Cortile a Cleopatra, Firenza, Sansoni, 1953 123 Ibid.

redazione della rivista124. Il suo articolo muove dal presupposto che Cortile a Cleopatra

sia un'opera «extravagante», impossibile da inserire coerentemente nel solco della tradizione letteraria italiana. Le ragioni del precedente insuccesso non sarebbero, infatti, esclusivamente politiche: afflitto dalla «malattia della prosa d'arte» il paese era culturalmente impreparato ad accogliere e comprendere il carico di modernità imposto da Cialente. Ora, a diciassette anni di distanza, ai lettori si apre una nuova occasione di incontro e di sorpresa: «sempre più ci stupirà la freschezza d'una narrativa che in quegli anni ignoravamo o credevamo estranea». Nuovo è anche il personaggio di Marco con le sue illusioni, la sua sensualità immaginativa, con quel suo bisogno di evasione che diventa «antiumanità, egoismo». Il segno dell'umanità è invece in Kikì ed Eva, per Seroni le figure più riuscite del romanzo.

Sull'esempio di Cecchi, anche Giacinto Spagnoletti125 («Il Popolo», 21 luglio 1953)

riconosce la naturalezza espressiva, l'unità e la misura di un impianto narrativo in cui ogni particolare finisce per dimostrarsi simbolicamente necessario. Fra i primi a interrogarsi sui possibili modelli del testo, suggerisce Virginia Woolf come referente stilistico e il Billy Bud di Melville come antesignano di Marco. Conclude promuovendo la capacità di Cialente di controllare il peso (potenzialmente eccessivo) delle descrizioni ambientali, permettendo così ai diversi personaggi di emergere con forza sulle tinte esotiche dello sfondo.

Sul «Tempo» del 6 agosto Giuseppe De Robertis126 dichiara di ignorare «affatto se

qualcuno ne abbia scritto mai», rimproverando la mancata compilazione, nel volume di Sansoni, di un'appendice bibliografica che chiarisse le vicende del testo dalla sua prima edizione. Prosegue valorizzando il piano generale dell'opera, descritto nei termini di un andamento operistico e teatrale.

Parla di «una favola chiusa, in sé perfetta e compatta» anche Natalino Sapegno127 nel

suo intervento su «Rinascita» (X,1953), attribuendo il primo rifiuto del romanzo alla sua mancanza di aderenza esteriore a un certo clima di costume e di esperienze letterarie. Privo delle ambizioni formalistiche allora dominanti, lontano dalla violenta reazione

124 Adriano Seroni, Fausta Cialente, «Paragone», IV (1953), 44, pp. 71-73 125 Giacinto Spagnoletti, Cortile a Cleopatra, «Il Popolo», 21 luglio 1953 126 Giuseppe De Robertis, Cortile a Cleopatra, «Tempo», 6 agosto 1953

moralistica di un Moravia o un Vittorini, il romanzo mostrava invece «la peculiarità di un'esperienza maturata in condizioni molto particolari e comunque lontane dalla tematica allora in voga fra noi». Sapegno sottolinea come l'ambientazione levantina costituisca per l'autrice un'esperienza reale, diretta, un mondo di cui sa scegliere non gli aspetti «strani e diversi», ma quelli più consueti e universali. Su questo panorama quotidiano, lo sguardo di Fausta Cialente sa essere lucido e ironico, distaccato ma teneramente coinvolto e sincero.

«Il più bel romanzo del '53 è una ristampa», stabilisce Carlo Salinari128 in apertura del

suo articolo su «l'Unità» (2 settembre 1953), dove riprende le posizioni già espresse evidenziando la perfetta fusione delle figure con l'ambiente: se le vite dei personaggi sono inconcepibili senza il cortile, questo apparirebbe muto e sfocato una volta svuotato dei suoi abitanti. Il brano critico si distingue per la particolare lettura in chiave storico- sociale del romanzo: nel racconto delle disavventure sentimentali di Marco si nasconde una concezione della vita caratteristica delle nuove generazioni italiane ed europee alla vigilia del secondo conflitto mondiale. «Al fondo di questa concezione – spiega Salinari – v'è una spinta anarchica, individualistica, libertaria e tuttavia positiva e ribelle nei confronti dell'ordine costituito, delle convenzioni, delle ipocrisie, delle ingiustizie, di tutto il castello di costumi, di preconcetti e d'idee che costituiscono il modo di vivere della borghesia e della piccola borghesia». Infine, l'analisi dei personaggi sorprende Salinari in piena contraddizione con la lettura di Cecchi: è Marco l'unica figura ad avere ancora, quando si chiude l'ultima pagina, un futuro da inventare. Al contrario, i personaggi femminili si spengono in una morte fisica (Eva), spirituale (Dinah) e del desiderio (Kikì) che le esclude per sempre da ogni possibile destino.

Piero Dallamano129 commenta su «Paese Sera» (22 settembre 1953) l'esito del Premio

Viareggio, assegnato a Gadda per le Novelle dal ducato in fiamme (Firenze, Vallecchi, 1953): ottimo il testo premiato, commenta Dallamano, ottimi, ancora, i romanzi in concorso, eppure nessuna di queste opere può essere considerata «veramente, incontestabilmente di primo piano». Fra le ultime pubblicazioni, spicca invece la ristampa di un libro a suo tempo ignorato dalla critica, un libro che «è sembrato più

128 Carlo Salinari, Cortile a Cleopatra, «l'Unità» 2 settembre 1953

nuovo e più vivo di molti romanzi nati proprio nell'oggi». In modo discreto ma persuasivo, Cortile a Cleopatra sembra proporre ai narratori contemporanei una nuova formula, un'alternativa da meditare, «ed è risaputo che […] avrebbe vinto in carrozza lo stesso Premio Viareggio se appunto alle ristampe fosse libero il gran cimento».

Si concentra sulle analogie con Conrad e sulla funzione strumentale del protagonista Marco Forti130 («La Gazzetta di Parma», Ottobre 1953), mentre è «Belfagor» (IX, 1954)

a chiudere la rassegna della critica con un articolo di Sergio Antonelli131 dedicato

principalmente al sistema dei personaggi: con l'eccezione di poche figure emergenti, tutte le presenze del cortile si risolvono in interminabili ritornelli, iterazione invariata di tratti fissi (fisici e caratteriali) fondamentali.

Il prestigioso giudizio di Cecchi («Caro e Gentile Maestro» lo chiamerà Cialente negli anni successivi) costituisce la premessa di un'attenzione critica del tutto inedita per l'autrice, per la prima volta presentata al pubblico come scrittrice italiana di talento, ingiustamente punita da un lungo oblio.

Il prolungato silenzio del romanzo non sembra aver però pregiudicato la tenuta stilistica e l'equilibrio compositivo delle origini. «Il Cortile [...] non avrebbe bisogno che di qualche ritocco – mi pare132», aveva scritto Cialente nei suoi diari quando, nel 1942, la

prospettiva di una nuova pubblicazione sembrava quanto più remota e improbabile. Il raffronto sistematico fra le due edizioni del testo (Corticelli-Sansoni) dimostra quanto fosse corretta la sua impressione: il volume del 1953 non presenta che minime variazioni rispetto alla scrittura originale, mentre la data del 27 aprile 1931 (mantenuta in calce al romanzo) si conferma come unico riferimento cronologico per la composizione dell'opera. Al momento di consegnare la bozze a Sansoni, Cialente interviene solo sulla superficie stilistica del testo, si limita a rivedere la punteggiatura e alcune soluzioni verbali (con inversioni fra passato remoto e imperfetto), manifestando una particolare attenzione per le unità minime del discorso (è corretto, ad esempio, un uso di pronomi e preposizioni ormai superato nell'italiano del secondo dopoguerra). A livello di contenuto, non si registrano cambiamenti significativi, con la sola eccezione

130 Marco Forti, Fausta Cialente, “Cortile a Cleopatra”, «La Gazzetta di Parma», Ottobre 1953 131 Sergio Antonelli, Fausta Terni Cialente, Cortile a Cleopatra, «Belfagor», IX (1954), 2, pp. 228-229 132 Fausta Cialente, [Cairo] 28 [dicembre] sera [1942], in Diario di guerra – 1 febbraio 1941-27 marzo

dell'aggiunta del titolo I fidanzati per la parte terza del romanzo, che nella 1936 era lasciata (in mancata coerenza con le altre sequenze) senza alcuna intestazione.

Ciò che distingue in maniera determinante la seconda edizione è invece la breve

Avvertenza dell'autrice scritta, come sembrerebbe suggerire la lettera del febbraio 1953,

su indicazione di Anna Banti. Un altro intervento ai margini del testo, dunque, inserito appena prima dell'avvio del romanzo. Una sintesi di riflessioni che i primi lettori sembrano quasi ignorare, ma che si dimostrerà essenziale per l'interpretazione non solo del romanzo, ma di tutto il percorso narrativo di Cialente:

AVVERTENZA

Cortile a Cleopatra porta la data del 27 aprile 1931, ma fu pubblicato solamente nel 1936. Nel riconsegnare alla stampa questo libro che mi è particolarmente caro, come sono i figli dei quali si pensa che non hanno avuto la sorte che meritavano, mi sembra opportuno indicarne le date all'attenzione del lettore, benché siano di per se stesse eloquenti.

Nella storia di Marco, dei suoi amori e peccati, scritta fra le due guerre dopo circa dieci anni di permanenza in Egitto, avevo creduto di esprimere la mia insofferenza per una terra, un clima e una gente che mi sembrava di non amare affatto; mentre il tempo mi ha rivelato che se ho scritto il Cortile è stato proprio perché amavo quella terra, quel clima e quella gente, e di tutto ciò porterò oramai, per sempre, un'inguaribile nostalgia. Non ho voluto alterare la freschezza originale del racconto e vi ho portato solo lievi ritocchi; come non ho acconsentito a mutarne il titolo, benché per chi non sappia che Cleopatra è un sobborgo di Alessandria d'Egitto esso possa riuscire inconsueto, come accadde già la prima volta.

Il tempo trascorso fra la prima e la nuova edizione è tale che molti dei luoghi qui descritti non esistono più. Da quando Marco sbarcò in Egitto, dopo la prima guerra mondiale, l'asfalto ha divorato le grandi spiagge solitarie e il lago di Hadra è stato prosciugato: da un pezzo i soldati inglesi non abitano più le caserme di Mustàfa; e la giovane generazione non ricorda nemmeno che siano esistite, nell'antica strada di Porta di Rosetta, le Galeries Lafayette. Gli anni e l'ultima guerra hanno stravolto la fisionomia delle sabbie vergini con i dattolieri sepolti a metà fusto, e si è perduto anche quel molle ritmo di vita tra levantino e coloniale.

Mi sembra di ricordare di aver affermato in qualche altra occasione che il compito del narratore, a mio vedere, è anzitutto quello di rappresentare. Un libro che si apre è come un sipario che si alza: i personaggi entrano in scena, la rappresentazione comincia.

FAUSTA TERNI CIALENTE

Esigenza dell'autrice è fissare i riferimenti spaziali e temporali della sua scrittura, definire coordinate e prospettive. Se l'avversione per una terra straniera coincide con l'origine della narrazione, la revisione del testo si accompagna alla consapevolezza di

aver fermato sulla pagina l'immagine di un mondo segretamente amato e rimpianto.

Cortile a Cleopatra diventa così un cronotopo di bachtiniana memoria, uno spazio-

tempo che si risolve nella combinazione di luoghi e anni perduti per sempre, trattenuti nell'artificio della parola e resi riconoscibili (quindi nuovamente significanti) solo se rintracciati da lontano. La trasformazione di spazi e abitudini misura lo scarto fra esperienza e memoria, affida alla scrittura il compito di rendere nuovamente visibile, di mettere in scena questa distanza. Una distanza che riconosce come criticamente significativo quanto era già insito, ma implicito, nella composizione del testo: la disposizione del racconto secondo l'ordine della rappresentazione drammatica, della convenzione teatrale. Quello spazio che gli anni hanno così profondamente mutato rivive come palcoscenico nel momento in cui si alza il sipario, svelando in una sola, rarissima per l'autrice, dichiarazione di poetica la costante delle sue invenzioni narrative: la vocazione per la spettacolarità della parola poetica, la sensibilità per la messa in scena delle azioni, dei personaggi, degli ambienti, la pratica della scrittura come rappresentazione. «Un libro che si apre è come un sipario che si alza», il romanzo non è una forma chiusa, statica, singolare: è un'arte performativa, un'esecuzione che ogni volta, in modo diverso e inesauribile, comincia.