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Il capitale fisso, risultato dell’accumulazione dell’attività di investimento,

P ARTE SECONDA

15. Il capitale fisso, risultato dell’accumulazione dell’attività di investimento,

rappresenta uno dei driver della crescita di lungo termine che, a sua volta, influenza gli indicatori di bilancio. Inoltre, il capitale del settore pubblico ha un effetto positivo sulla produttività.

La prima parte di questa sezione è dedicata all’analisi comparata tra Italia, Germania e Francia, dello stock di capitale netto valutato ai prezzi di sostituzione14 in tre tipologie di beni di investimento: costruzioni, strumentali e proprietà intellettuale; e in tre sotto settori: amministrazione pubblica e difesa; assicurazione sociale obbligatoria; istruzione, sanità e assistenza sociale15.

La seconda parte è, invece, dedicata all’Italia, per la quale i dati a prezzi costanti consentono di vedere come la crisi ha influenzato la disponibilità di capitale sia in termini assoluti, sia in rapporto al Pil e alla popolazione.

I dati utilizzati sono di fonte Eurostat e sono coerenti con i dati di contabilità nazionale.

La composizione dello stock di capitale netto è in tutti e tre i Paesi è abbastanza simile (Grafico 19). Le costruzioni hanno il ruolo predominate, superiore all’80 per cento (la Francia raggiunge l’89 per cento), seguite dai beni strumentali e dai prodotti della proprietà intellettuale, dove l’Italia presenta la quota più elevata (6,4 per cento rispetto a 3,2 per cento della Francia e 4,8 per cento della Germania). Non ci sono, invece, differenze tra le macro categorie che costituiscono i beni strumentali: il peso maggiore è rivestito dai macchinari e armenti, mentre i mezzi di traporto non arrivano al 2 per cento rispetto allo stock complessivo. La recessione prima e la crisi dei debiti sovrani dopo non hanno apporto cambiamenti di rilievo nella composizione dello stock di capitale in tutti e tre Paesi considerati, e in Italia in modo particolare. In Germania, la quota delle costruzioni è diminuita di 1 punto percentuale tra il periodo 2000-2007 e 2008-2015 compensata dai prodotti della proprietà intellettuale, mentre è aumentata in Francia di 2 punti percentuali a scapito dei beni strumentali.

GRAFICO 19 COMPOSIZIONE DELLO STOCK DI CAPITALE NETTO PER TIPOLOGIA NEL 2015(%, PREZZI DI SOSTITUZIONE)

Fonte: dati Eurostat

14Lo stock di capitale netto è lo stock di capitale lordo al netto degli ammortamenti, che misurano la perdita di valore dei beni di investimento imputabile all’usura fisica e all’obsolescenza tecnologica. Il criterio con cui è valutato lo

stock è quello dei prezzi di sostituzione; ciò significa che i beni di investimento acquistati in passato sono valutati ai

prezzi dell’anno a cui si riferisce alla valutazione dello stock. Si tratta quindi di grandezze che risentono della dinamica e del livello dei prezzi. I confronti tra i Paesi vanno presi con una certa cautela dal momento che non è assicurata l’uniformità nei metodi di costruzione delle serie storiche.

15Si noti che si tratta del settore OPQ della classificazione Ateco che non coincide con il settore istituzionale S13 del SEC 2010.

88 Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2017 Sezioni riunite in sede di controllo CORTE DEI CONTI GRAFICO 20

STOCK DI CAPITALE NETTO

(2000=100, PREZZI DI SOSTITUZIONE)

Fonte: dati Eurostat

Le dinamiche risentono, come anticipato, dell’evoluzione dei prezzi, soprattutto

nel mercato immobiliare, pertanto gli incrementi dello stock di capitale netto ai prezzi di sostituzione tra il 2000 e il 2015 risultano particolarmente elevati: tra il 50 e il 60 per cento in Italia e Francia, e del 40 per cento Germania. Analoga è l’evoluzione nel settore delle costruzioni, dove si osserva un trend espansivo in tutte e tre i Paesi, che prosegue in Germania ma si interrompe in Italia e in Francia dopo la crisi dei debiti sovrani. Nel comparto dei beni strumentali l’Italia e la Germania sono i Paesi più dinamici con un aumento nell’ordine del 50 per cento mentre non arriva al 20 per cento in Francia. Nei beni intangibili la crescita italiana è la più elevata fino all’insorgere della crisi finanziaria e poi si arresta, così come in Francia, superata dalla Germania.

Se tra i Paesi considerati non ci sono variazioni di rilievo nella composizione degli asset, diverso è il caso quando andiamo a considerare il peso che rivestono i tre settori; quello delle AP, difesa e assicurazione sociale obbligatoria non arriva al 50 per cento in Germania mentre si posiziona attorno all’80 per cento negli altri due Paesi (Grafico 21). In Francia il restante del capitale è ripartito equamente tra istruzione e sanità - assistenza sociale, mentre sia in Italia che in Germania la quota di capitale destinata all’istruzione è la metà di quella destinata al welfare. Una composizione che non ha subito modifiche rilevanti negli ultimi 15 anni.

In Italia e in Francia, alla caduta dello stock di capitale netto intervenuta dopo la crisi del debito hanno contribuito sia il comparto delle Amministrazioni pubbliche e difesa, sia quello della sanità e assistenza sociale obbligatoria mentre ha ristagnato la crescita del capitale nell’istruzione. In Germania la crescita del capitale netto non registrato interruzioni in nessuno dei settori considerati.

Lo stock di capitale netto in rapporto al Pil (Grafico 22) presenta in Italia fino al 2014 il valore più basso, con un divario rispetto alla Francia che si riduce fino ad annullarsi nel 2015 (inserire nota BCE). La Germania negli ultimi quindici anni si posiziona al primo posto mostrando una certa stabilità attorno al 50 per cento del Pil, mentre in Italia e in Francia l’evoluzione è crescente fino al 2012/2013.

La crescita dello stock di capitale netto italiano nei settori qui considerati, valutato a prezzi costanti, interrompe il suo processo di crescita nel 2010 (un po’ prima rispetto a quello valutato ai prezzi di sostituzione), quando gli investimenti lordi raggiungono un livello troppo basso per compensare l’obsolescenza del capitale (Grafico 23).

CORTE DEI CONTI Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 89

Sezioni riunite in sede di controllo 2017

Complessivamente, la caduta intercorsa tra il 2009 e il 2014 (-2,6 per cento) è imputabile alle costruzioni (-3,3 per cento) e ai mezzi di trasporto (-8,6 per cento). Lo

stock di capitale in macchinari e armamenti e in prodotti della proprietà intellettuale è,

invece, cresciuto, ma in misura modesta.

Nonostante la flessione del capitale netto, quella del Pil è stata così profonda durante la recessione da determinare un balzo del rapporto capitale/Pil, che nel 2014 raggiunge il 45 per cento rispetto al 40 per cento registrato nel 2007 (Grafico 24). Una dinamica che non si discosta da quella dell’intera economia e che, se presa alla lettera, potrebbe portare alla conclusione che il livello attuale di capitale sia più che sufficiente alle esigenze dell’attività economica, fortemente ridimensionata dopo crisi. Tuttavia, non è lo stock di capitale un indicatore sufficiente per misurare quale deve essere il contributo alla crescita economica; per di più si tratta di una variabile che, aldilà dell’antico problema teorico relativo alla sua misurazione/aggregazione, risente in modo rilevante delle ipotesi che sottostanno alla sua costruzione, tempo di vita dei beni di investimento, tasso di deprezzamento economico, etc. Inoltre, lo stock di capitale qui considerato non esprime la sua qualità.

In rapporto alla popolazione lo stock di capitale a prezzi costanti ha una evoluzione diversa e molto più simile a quella dello stock di capitale in valore assoluto, vista la poca variabilità della componente demografica. Se consideriamo lo stock di capitale una risorsa di cui deve beneficiare ciascun cittadino e quindi non solo funzionale alla produzione, questi dati suggeriscono che vi è un divario rispetto alla situazione pre-crisi. Un divario che, ipotizzando una crescita nulla della popolazione, un tasso di deprezzamento costante e pari al valore medio degli anni duemila, potrebbe essere colmato tra dieci anni se gli investimenti crescessero mediamente del 3 per cento (sono caduti del 3,8 per cento nel periodo 2005-2014).

GRAFICO 21 COMPOSIZIONE DELLO STOCK DI CAPITALE NETTO PER SETTORE NEL 2015

(%, PREZZI DI SOSTITUZIONE)

90 Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2017 Sezioni riunite in sede di controllo CORTE DEI CONTI GRAFICO 22

STOCK DI CAPITALE NETTO SU PIL (PREZZI DI SOSTITUZIONE)

Fonte: dati Eurostat

GRAFICO 23

STOCK DI CAPITALE NETTO E INVESTIMENTI NETTI (MILIARDI DI EURO, PREZZI CONCATENATI 2010)

Fonte: dati Eurostat

GRAFICO 24

STOCK DI CAPITALE NETTO (PREZZI CONCATENATI)

CORTE DEI CONTI Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 91

Sezioni riunite in sede di controllo 2017

Il Patrimonio delle Amministrazioni pubbliche

16. “La gestione efficiente del patrimonio può giocare un ruolo importante per il

risanamento dei conti pubblici”. Questa semplice affermazione compare a più riprese nei documenti e nei programmi del Governo, ed è stata declinata in modi diversi nel tempo. Il Patrimonio pubblico può essere utilizzato a garanzia del debito; può essere venduto per abbattere il debito; la sua valorizzazione può aumentare le entrate per affitti, concessioni e quant’altro, migliorare il bilancio e ridurre per questa via lo stock di debito. Inoltre, oltre a creare maggiore valore, una efficiente gestione dell’attivo può limitare i costi per il bilancio. L’ottimizzazione degli spazi utilizzati dalle istituzioni e la revisione dei canoni di affitto pagati sono, ad esempio, tra gli obiettivi della spending

review, insieme alla riorganizzazione delle partecipazioni pubbliche.

Queste istanze sono portate avanti da molti anni con particolare attenzione alla vendita di beni patrimoniali. In passato le operazioni straordinarie sull’attivo hanno contributo notevolmente ai risultati di finanza pubblica. Le dismissioni del Ministero dell’economia hanno determinato introiti lordi per 132 miliardi di euro tra il 1992 e il 201616, le vendite immobiliari 37 miliardi dal 2000 al 2015, 13,8 miliardi la vendita delle licenze UMTS.

Ciclicamente nel dibattito torna la discussione sull’opportunità di agire sugli attivi patrimoniali (immobili, crediti, partecipazioni) per ridurre velocemente il debito pubblico senza fare solo affidamento sulle manovre di bilancio restrittive, e su quali strade sia possibile seguire. Priorità che riguarda sia gli equilibri di finanza pubblica, sia le possibilità di crescita dell’economia, tanto più valida nel momento attuale.

Negli anni sono state fatte varie proposte: trasferire attivi patrimoniali dal settore pubblico a società controllate, per ottenere un immediato calo del debito pubblico e diluire nel tempo le vendite; o procedere a forme di riduzione straordinaria del debito con diverse modalità di utilizzo di fondi, bond collegati agli immobili, bond europei, società veicolo. Come obiettivo: valorizzare e, soprattutto, “Cedere tutto il patrimonio cedibile”. Tuttavia, sapere quanto patrimonio è cedibile è di fatto il primo ostacolo. Nel 2004 Giuseppe Guarino indicava come possibile un’operazione finanziaria per abbattere il debito di 400 miliardi, 30 punti percentuali di Pil, e tra le numerose proposte del 2012 e 201317 il centro studi Astrid aveva stimato che il valore dei beni vendibili o utilizzabili come collaterale in tempi rapidi non superasse i 50 miliardi di euro, mentre poteva arrivare fino a 250-300 miliardi di euro in un processo di dieci-quindici anni “ad alta intensità politica”.

La scarsa disponibilità dei dati disponibili è un evidente limite alle analisi sia quando si tratti di valutare la possibilità di dismettere patrimonio sia quando si cerca di stimare quale contributo al miglioramento dei saldi di finanza pubblica può venire da una sua migliore gestione.

16 La gran parte di questi incassi deriva dalle privatizzazioni delle imprese statali avviate all’inizio degli anni novanta (120 miliardi tra il 1992 e il 2005), operazioni imposte dal grave deterioramento dei conti delle aziende a partecipazione statale oltre che dalla necessità di favorire i conti pubblici (Stefano Micossi, Le privatizzazioni in

Italia: qualche utile lezione, 29 febbraio 2008

http://www.italianieuropei.it/tablet/item/202-le-privatizzazioni-in-italia-qualche-utile-lezione.html).

17 Seminario “Lo stock del debito pubblico si può abbattere con misure straordinarie?”, CNEL, 5 giugno 2012; Astrid, “Le proposte per la riduzione dello stock del debito pubblico: pregi e difetti”, agosto 2012; Astrid “Valorizzazione e privatizzazione del patrimonio pubblico. Per una crescita sostenibile di lungo periodo: meno debito e più Pil” settembre 2013.

92 Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2017 Sezioni riunite in sede di controllo CORTE DEI CONTI “Se da un lato, tuttavia, si ha contezza della gestione delle passività delle Amministrazioni pubbliche dall’altro ben poche sono le informazioni sulle componenti dell’attivo”, come dichiara il Tesoro presentando il censimento avviato nel 2010, richiamando come la conoscenza puntuale e sistematica dell’attivo rappresenti il punto di partenza di un progetto più ampio volto a promuovere la valorizzazione e lo sviluppo delle potenzialità del patrimonio pubblico.

Le valorizzazioni cui è possibile fare riferimento sono sintetizzate nella tavola che segue dove, oltre alle statistiche, sono riportate anche le stime presentate nel 2011 dal MEF, che restano tuttora le uniche complete e le più citate. In quelle stime il totale delle attività era pari a 1.800 miliardi di euro circa, e si confrontava con un debito che nel 2011 era di circa 1.900 miliardi.

Dati in miliardi di euro

Al 31-12-2015 AP S13 MEF Stat BCE AP

AP Banca d’Italia

AP – MEF Reviglio 2011 (miliardi di euro)

Attività finanziarie 657 447 467 Cassa e disponibilità 276

Attività non finanziarie 476 306 Crediti e anticipazioni attive 240

Totale attività 963 Intangibile 78

Partecipazioni 138

Immobili 345 61 Immobili 425

Azioni e Partecipazioni 263 126 121 Infrastrutture 386

- di cui: azioni quotate 11 Risorse naturali 176

- di cui: azioni non quotate 67 Beni culturali 37

- di cui: partecipazioni in organismi internazionali (fondi

europei per la stabilità) 181 Beni mobili 48

TOTALE 1.815

Fonti: AP – ISTAT: Stock di attività non finanziarie dei settori istituzionali, prezzi correnti

Stato – MEF: Conto generale del patrimonio dello Stato, Ragioneria Generale dello Stato, valori di bilancio AP – BCE: Statistical Data Warehouse, Government Finance Statistics, current prices

Banca d’Italia, Conti finanziari per settore istituzionale

Le attività finanziarie sarebbero in quelle stime una quota minoritaria del totale del patrimonio. Nelle statistiche disponibili, per il complesso delle Amministrazioni Pubbliche i dati relativi alle attività finanziarie sono pubblicati dalla Banca d’Italia e da Bce-Eurostat a livello armonizzato tra i Paesi, da cui emerge un attivo complessivo di circa 450 miliardi nel 2015 (2.173 miliardi il debito); i dati relativi alle attività non finanziarie vengono invece pubblicati dall’ISTAT e rilevano un ammontare simile, 470 miliardi di euro a prezzi correnti, per il 2015, per oltre il 70 formato da immobili, ma in questa rilevazione non rientrano le infrastrutture.

Sia per le attività reali che per quelle finanziarie le statistiche si discostano non poco dalle prime stime sul patrimonio presentate nel 2011, che valutavano l’attivo reale vicino ai 1000 miliardi e quello finanziario 800 miliardi. Per la parte finanziaria la valutazione è analoga, poiché si tratta comunque di valori di mercato, e i dati sulle partecipazioni sono molto simili. I caveat sulla valutazione della parte reale degli attivi pubblici sono invece molti e stupisce meno la distanza rilevata.

Il Rendiconto patrimoniale dello Stato fornisce informazioni per gli attivi finanziari e reali, ma non direttamente confrontabili con gli altri dati per difformità

CORTE DEI CONTI Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 93

Sezioni riunite in sede di controllo 2017

statistiche; lo schema contabile di riferimento è il Sec’95 e non il SEC 2010 adottato dal 2014 nelle altre statistiche.

Sulla base delle risultanze del Rendiconto, al 31 dicembre 2015 l’ammontare complessivo dell’attivo patrimoniale dello Stato è pari a 962,6 miliardi di euro, il 58,6 per cento del Pil, a fronte di passività finanziarie pari a 2.721 miliardi, il 165,7 per cento del Pil. Le attività finanziarie rappresentano il 68 per cento del totale dell’attivo, suddivise equamente tra attività di breve, sostanzialmente crediti, e di medio lungo termine, prevalentemente azioni e partecipazioni. Le partecipazioni azionarie ammontano a poco meno di 77 miliardi di euro, costituite per l’80 per cento da partecipazioni in società non finanziarie e quasi esclusivamente in società controllate. Tra gli attivi non finanziari, il 31,7 per cento dello stock totale, una quota rilevante fa riferimento alla valutazione del patrimonio culturale e artistico. La voce Oggetti di valore e d’arte è pari a 171 miliardi di euro18 e, insieme agli Immobili di valore culturale, 21 miliardi, rappresenta il 20 per cento del patrimonio complessivo. Il grado di disaggregazione presentato nel rendiconto patrimoniale è elevato, ma non fornisce un quadro immediatamente utilizzabile per una effettiva valutazione patrimoniale, poiché le valorizzazioni sono prevalentemente a valori storici di bilancio e non valori di mercato. Il valore delle partecipazioni, inoltre, molto superiore a quello che emerge dalle altre fonti statistiche, comprende per intero il Capitale sottoscritto dell’ESM, mentre nei dati della Banca d’Italia compare solo quello già versato.

Il censimento del patrimonio della Pubblica amministrazione è dunque un obiettivo rilevante, ed è un cantiere aperto da molto. L’obiettivo, che è al contempo ambizioso e necessario, è ottenere un “quadro conoscitivo completo, analitico, sistematico e aggiornato delle componenti dell’attivo patrimoniale per supportare le politiche di gestione e valorizzazione degli asset pubblici”19. La redazione del Rendiconto patrimoniale a valori di mercato20 dovrebbe rappresentare la sintesi di questo obiettivo e il progetto “Patrimonio della PA”, iniziato nel febbraio 2010, ne rappresenta lo strumento.

All’interno di questo progetto, il Dipartimento del tesoro ha avviato la rilevazione delle consistenze degli attivi di tutte le Amministrazioni pubbliche21. Le componenti dell'attivo attualmente oggetto di rilevazione sono i beni immobili (dal febbraio 2010), le partecipazioni e le concessioni (dal febbraio 2011). I dati raccolti confluiscono nel “Rapporto sulle Partecipazioni pubbliche” e nel “Rapporto sui beni immobili detenuti dalle Amministrazioni pubbliche” pubblicati con cadenza annuale, mentre i dati sulle concessioni non sono ancora disponibili. Tuttavia, i dati presentati in questi rapporti fanno riferimento al censimento delle quantità, ancora peraltro incompleto (il 62 per cento degli enti coinvolti nel caso delle partecipazioni, il 67 per cento nel caso dei beni immobiliari), mentre non sono ancora disponibili valutazioni a conferma dell’alto grado di indeterminatezza sui valori coinvolti.

18 Incrementi rilevanti nel tempo hanno seguito la modificazione dei criteri di valutazione di alcuni cespiti (oggetti di valore nel 2009, beni archivistici nel 2012).

19 “Costruire efficienza: Conoscere e Valorizzare il Patrimonio Pubblico”, presentazione del MEF al Forum PA, maggio 2015.

20 In attuazione di quanto disposto dall’articolo 2, comma 222, periodo undicesimo della legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria per il 2010).

21 Si tratta di tutte le Amministrazioni incluse nell’elenco S13 definito annualmente dall’ISTAT per la redazione del conto economico consolidato rilevante ai fini del calcolo dei parametri di Maastricht.

94 Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2017 Sezioni riunite in sede di controllo CORTE DEI CONTI

Conclusioni