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Sono stati qui considerati i saldi rilevanti di finanza pubblica italiana in una

P ARTE PRIMA

5. Sono stati qui considerati i saldi rilevanti di finanza pubblica italiana in una

prospettiva ventennale, guardando al periodo intercorso dal momento nel quale l’Italia decise di aderire alla moneta unica ad oggi. Si è scelto un periodo così ampio per poter prescindere dagli ups and downs del ciclo economico e politico, guardando alle linee di tendenza sottostanti e poter così valutare se l’insieme delle decisioni politiche assunte e degli strumenti di coordinamento della finanza pubblica adottati ci conduca o meno verso il pareggio di bilancio.

Nel complesso del periodo il saldo primario, quello sotto l’immediato controllo delle decisioni politiche nazionali, rimane sempre positivo, ma peggiora progressivamente. Diminuiscono anche gli oneri per interessi, neutralizzando gli effetti del peggioramento del saldo primario sull’indebitamento; che infatti rimane tendenzialmente costante, in prossimità del 3 per cento del prodotto (non a caso la soglia fissata nel Trattato di Maastricht).

Un livello simile del deficit, combinandosi con le altre grandezze rilevanti (prime tra tutte la variazione nominale del Pil) genera, tuttavia, un progressivo aumento del rapporto fra debito e prodotto.

Una tendenza che a sua volta conferma, inevitabilmente, la fragilità connessa ad una inversione nell’andamento dei tassi di interesse.

62 Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2017 Sezioni riunite in sede di controllo CORTE DEI CONTI In una medesima prospettiva ventennale, l’insieme dei Paesi appartenenti all’area dell’euro (esclusa l’Italia) evidenzia una dinamica degli aggregati considerati per molti versi simile a quella italiana. La vera differenza è costituita da una dinamica del prodotto più pronunciata. Il che rende il sentiero del risanamento finanziario per l’Italia più faticoso; ma tuttavia, considerato il maggior livello del debito, oltremodo necessario.

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Sezioni riunite in sede di controllo 2017

Appendice al Capitolo 2

Procedura di uscita dall’UE prevista dai Trattati e il caso del Regno Unito

Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato ufficialmente in vigore il 1° dicembre 2009, ha apportato ampie modifiche al Trattato sull’UE e al Trattato che istituisce la Comunità europea. Tra le tante modifiche, la più rilevante è stata la disciplina delle modalità attraverso le quali uno Stato membro può recedere dall’Unione europea1.

Secondo l'articolo 50 del trattato sull'Unione, lo Stato membro che decide di recedere, conformemente alle proprie norme costituzionali, deve notificare tale intenzione al Consiglio europeo2, che formulerà i suoi orientamenti per la conclusione di un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione.

Tale accordo viene negoziato in conformità all’art. 218 del TFUE3, che disciplina tutti gli accordi tra Unione e Paesi terzi o Organizzazioni internazionali, ed è concluso dal Consiglio che delibera a maggioranza qualificata4 previa approvazione del Parlamento europeo.

I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'accordo di recesso o in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica del recesso. Il Consiglio europeo può peraltro decidere di prolungare tale termine, deliberando all’unanimità e d’intesa con lo Stato interessato5.

Lo Stato membro che intende recedere non partecipa né alle deliberazioni né alle decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio che lo riguardano6.

Qualsiasi Stato uscito dall'Unione può chiedere di aderirvi nuovamente, presentando una nuova procedura di adesione7.

Il 23 giugno 2016, una consultazione referendaria sulla permanenza o meno del Regno Unito nell'Unione europea, si è conclusa con una maggioranza del 51,9 per cento dei votanti favorevole all’uscita dall’UE (Brexit).

Immediatamente dopo l’esito del referendum, i Presidenti di Commissione, Parlamento europeo e Consiglio europeo, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, nella quale, accogliendo con dispiacere ma anche con il massimo rispetto la volontà espressa dal popolo britannico, invitano il Governo del Regno Unito “a dare effetto alla decisione del popolo britannico appena possibile. Ogni ritardo non

farebbe che prolungare inutilmente uno stato di incertezza”. Si dicono altresì pronti “ad avviare in tempi rapidi i negoziati con il Regno Unito per definire i termini e le condizioni della sua uscita dall'Unione europea. Ma fino alla conclusione di tali negoziati il Regno Unito rimarrà membro dell'Unione europea, con tutti i diritti e gli obblighi che ne derivano. Conformemente ai trattati che il Regno Unito ha ratificato, il diritto dell'UE continuerà ad applicarsi integralmente al e nel Regno Unito fino a quando il Paese cesserà di essere membro dell'UE”.

1 Prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la possibilità per gli Stati di ritirarsi volontariamente non era contemplata dai trattati e l’eventuale recesso di uno Stato membro poteva rientrare esclusivamente nella disciplina prevista dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969.

2 Si rileva che non è previsto nessun termine temporale per la notifica al Consiglio europeo della decisione di recesso, che rimane appannaggio dello Stato membro interessato.

3 L’art. 218 del TFUE affida, altresì al Consiglio, il compito di autorizzare l’avvio dei negoziati, di definire le direttive di negoziato, di autorizzare la firma e di concludere gli accordi, designando, in funzione della materia dell’accordo, il negoziatore o il capo della squadra di negoziato dell’Unione. Il Consiglio può impartire direttive al negoziatore e designare un comitato speciale che deve essere consultato nella conduzione dei negoziati.

4 L’art. 238, paragrafo 3, lett. b) del TFUE prevede che: “In deroga alla lettera a), quando il Consiglio non delibera su proposta della Commissione o dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, per maggioranza qualificata si intende almeno il 72 per cento dei membri del Consiglio rappresentanti gli Stati membri partecipanti, che totalizzino almeno il 65 per cento della popolazione di tali Stati”.

5 L’art.50 non fornisce indicazioni sulla durata né sul numero delle eventuali proroghe.

6 La norma non fa riferimento al Parlamento europeo, che è chiamato ad approvare l’accordo di recesso, per cui l’esclusione non si applica ai parlamentari eletti nello Stato membro che intende recedere, ma solo ai suoi rappresentanti in sede di Consiglio e di Consiglio europeo.

7 L’art. 50 non fa alcun riferimento esplicito alla possibilità di ritirarsi dal meccanismo di recesso o di revocare la notifica al Consiglio europeo, né pertanto esclude a priori tali eventualità. Secondo quanto affermato nel rapporto “The process of Withdrawing from the EU” licenziato dalla European Union Committee della House of Lords “There

is nothing in Article 50 formally to prevent a Member State from reversing its decision to withdraw in the course of the withdrawal negotiations. The political consequences of such a change of mind would, though, be substantial”.

64 Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2017 Sezioni riunite in sede di controllo CORTE DEI CONTI I Capi di Stato e di Governo dei 27 Stati membri e i Presidenti del Consiglio europeo e della Commissione europea, a esito di una riunione informale tenutasi il 15 dicembre 2016, hanno ribadito che qualsiasi accordo dovrà basarsi su una combinazione equilibrata di diritti e obblighi, che l’accesso al mercato presuppone l’accettazione di tutte e quattro le libertà e, inoltre, hanno definito le modalità procedurali per i negoziati.

In particolare la procedura per i negoziati prevede che:

- a seguito dell’adozione degli orientamenti, il Consiglio europeo inviterà il Consiglio “Affari generali” a procedere in tempi rapidi all’adozione della decisione che autorizza l’apertura dei negoziati, previa raccomandazione della Commissione europea, e a gestire le fasi successive del processo;

- il Consiglio sarà invitato a nominare la Commissione europea come negoziatore dell’Unione. I rappresentanti del Presidente del Consiglio europeo saranno presenti e parteciperanno, con un ruolo di sostegno, a tutte le sessioni negoziali, insieme ai rappresentanti della Commissione europea. Il negoziatore dell’Unione riferirà sistematicamente al Consiglio e ai suoi organi preparatori.

- i membri del Consiglio europeo, del Consiglio e dei suoi organi preparatori che rappresentano il Regno Unito non parteciperanno né alle discussioni né alle decisioni relative a tale Stato.

Come già accennato, il processo di ritiro viene attivato dalla notifica formale da parte dello Stato membro che intende recedere, in base alle proprie norme costituzionali.

L’attivazione dell’art. 50 del Trattato sull’UE da parte del Governo del Regno Unito è stata oggetto di controversie nazionali8. Infatti, un gruppo di attivisti a favore dell’UE e un certo numero di esperti costituzionali hanno fatto ricorso all’Alta Corte inglese (High Court of Justice) contro la decisone del Primo Ministro di invocare l’art. 50 del TUE senza previa consultazione del Parlamento inglese9, sostenendo che il Governo britannico non ha la prerogativa di rilasciare una dichiarazione ai sensi dell’art. 50, in quanto costituirebbe violazione sia del diritto interno che degli obblighi, secondo il TUE, e che pertanto è necessario un atto di autorizzazione del Parlamento britannico.

Il 3 novembre 2016, i giudici dell’Alta Corte inglese, accogliendo le istanze dei ricorrenti, hanno sentenziato che il Parlamento deve pronunciarsi prima che il Governo possa avviare la procedura di recesso, poiché il principio fondamentale della Costituzione del Regno Unito è che il Parlamento è sovrano.

Il Governo inglese ha impugnato questa sentenza davanti alla Corte suprema inglese (The Supreme

Court of the United Kingdom), la quale ha confermato, il 24 gennaio 2017, la sentenza di primo grado,

per cui la notifica dell’art. 50 del Trattato sull’UE dovrà essere previamente autorizzata da un voto del Parlamento, perché altrimenti sarebbe una violazione della Costituzione10. La Corte suprema ha inoltre escluso qualunque potere di veto da parte delle Assemblee di Scozia, Galles e Irlanda del Nord sulla decisione del Regno Unito di ritirarsi dall’UE (“The devolved legislatures do not have a veto on the UK’s

decision to withdraw from the EU”)11.

Secondo uno studio commissionato dalla Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo12, sembra incontestabile che i futuri rapporti con l’Unione debbano essere stabiliti in uno strumento separato dall’accordo di ritiro, aventi diversa natura costituzionale; l’accordo di ritiro è concluso soltanto dall’Unione europea con lo Stato che intende recedere, mentre, lo strumento che

8 Il 4 luglio 2016, la House of Lords ha pubblicato un documento dal titolo “Leaving the EU: Parliament’s Role in the

process”, nel quale si delineano diverse modalità di attivazione dell’art. 50, di cui due non prevedono alcun ruolo

formale per il Parlamento (decisione del Primo Ministro attraverso l’utilizzo della c.d. “royal prerogative”, o decisone del Primo Ministro in consultazione con il suo Gabinetto o dopo un pronunciamento formale dello stesso), mentre altri due lo vedono coinvolto (decisione del Primo Ministro a seguito di una risoluzione o mozione approvata in uno o in entrambi i rami del Parlamento, o decisone del Primo Ministro integrata in un nuovo atto del Parlamento). 9 Il 2 ottobre 2016, il Primo Ministro Theresa May, ha annunciato al Congresso del partito conservatore, che la Gran Bretagna inizierà il processo di uscita dall’UE entro la fine di marzo 2017 e che la gestione dell’uscita dall’UE è esclusiva competenza del Governo. Il 13 marzo 2017 il Parlamento britannico ha approvato la legge di autorizzazione ad attivare il processo di ritiro, da parte del Primo Ministro.

10 La Corte suprema del Regno Unito ha motivato la sentenza riconoscendo che, tra le prerogative del Governo c’è anche quella di stabilire l’uscita da un Trattato internazionale, se lo ritiene opportuno, ma non potrà essere applicata alla fattispecie presentata dal ricorso, in quanto “Non è possibile esercitare tale potere se questo porta a un cambiamento nelle leggi del Regno Unito” per cui “i cittadini perderanno alcuni diritti di cui altrimenti godrebbero.” 11 E’ stato approvato, da parte del Parlamento britannico, la legge di autorizzazione ad attivare il processo di ritiro, da parte del Primo Ministro.

12 Vedasi “Brexit and the European Union: General Institutional and Legal Considerations”, studio per la Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo (gennaio 2017).

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Sezioni riunite in sede di controllo 2017

inquadra il rapporto futuro, avendo un impatto sui diritti esistenti e gli obblighi di tutti gli Stati membri, deve essere concluso, oltre che dall’UE e dallo Stato recedente, anche da tutti gli Stati membri.

La disposizione del Trattato stabilisce che l’accordo di ritiro si debba concludere “tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione”, ciò implica che il contenuto di tale rapporto futuro dovrebbe essere conosciuto non solo al momento della stipula dell’accordo di ritiro ma, idealmente, dall’inizio delle trattative. Inoltre, secondo il suddetto studio, l’accordo di ritiro dovrà risolvere alcune questioni essenziali, tra cui:

- il disimpegno del Regno Unito dal bilancio dell’UE;

- i diritti acquisiti dei cittadini britannici residenti in altri Stati membri e i diritti acquisiti dei cittadini dell’UE che vivono nel Regno Unito13;

- la questione dei funzionari britannici che lavorano nelle istituzioni dell’UE;

- l’uscita dei membri britannici dal Parlamento europeo, dalla Corte di giustizia europea, dal Comitato delle regioni, dal Comitato economico e sociale, ecc.;

- il trasferimento delle Agenzie dell’UE fuori dal Regno Unito, in particolare, dell’Autorità bancaria europea e dell’Agenzia europea per i farmaci;

- Lo svincolo del Regno Unito dai trattati internazionali firmati dall’UE.

Lo studio commissionato dalla Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo ha altresì messo in evidenza che, una volta che il Regno Unito avrà attivato la procedura di cui all’art. 50, se non si dovesse raggiungere un accordo entro il termine prestabilito e se non si dovesse riuscire a raggiungere una estensione unanime del periodo di negoziazione, rientrerebbe automaticamente nel regime dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC); in quanto tale, il Regno Unito avrebbe l’accesso all’UE come gli altri Stati membri dell’OMC, con l’eccezione dei Paesi con accordi di libero scambio preferenziali o di cui è stato concesso l’accesso preferenziale al mercato. In linea di principio, il Regno Unito dovrebbe beneficiare di tutti i diritti e gli obblighi generici presenti negli accordi multilaterali dell’OMC, per esempio quelli sulle barriere tecniche al commercio (TBT) o sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale relativi al commercio (TRIPS).

Lo studio ha altresì evidenziato che la maggior parte delle politiche dell’UE sarà influenzata dalla uscita del Regno Unito, in particolare, le più colpite sarebbero quelle previste nel quadro finanziario pluriennale (QFP), come la politica della pesca (non solo per motivi di bilancio, ma anche perché il Regno Unito ha la sovranità sulle acque ricche di zone di pesca, perché la maggior parte del prodotto pescato è venduto nell’Unione ed infine perché la proprietà di una importante quota della flotta peschereccia è nelle mani di altre società degli Stati membri), la politica strutturale e di investimento (molti programmi nazionali e di coesione sono stati adottati e molti altri progetti sono in corso, per cui sarà necessario predisporre un complesso regime transitorio per tutti i programmi transfrontalieri condivisi dal Regno Unito e dall’Irlanda) e altre politiche, come ad esempio l’industria, la ricerca, l’energia, la cultura e l’istruzione (Erasmus+, Europa creativa e Europa per i cittadini; sono programmi in cui la partecipazione del Regno Unito è molto attiva).

Secondo il suddetto studio, le conseguenze politiche e strategiche dell’uscita del Regno Unito dall’UE potranno essere pienamente valutate soltanto più avanti, quando sarà disponibile un quadro più completo; tuttavia, fin d’ora, è possibile evidenziare che se da un lato, l’uscita del Regno Unito diminuirà l’influenza dell’Unione sulla scena mondiale e rappresenterà un grande shock per il progetto di integrazione europea, in quanto i motivi della sua uscita non sarebbero riconducibili a circostanze particolari del Regno Unito ma sarebbero condivisi da altri Stati membri (es. problemi di sovranità, controllo della politica dell’immigrazione, ecc.), dall’altro lato dovrebbe essere l’occasione per stimolare le riforme e per costringere l’Unione a progredire nel suo processo di integrazione; la sfida per i leader europei sarà quella di trovare un modo per affrontare le preoccupazioni dei tanti cittadini che non sentono i benefici economici del libero scambio e della globalizzazione.

Infine il Regno Unito, uscendo dall’UE, perderebbe definitivamente la possibilità di adottare l’euro, a meno che non decida di aderire nuovamente all’UE secondo quanto stabilito dall’art. 49 del TUE.

13 Il suddetto studio afferma che “Come conseguenza del principio del dualismo che è predominante nel sistema giuridico del Regno Unito, una serie di norme dell’UE sono state recepite nella legislazione nazionale ed è improbabile che possa cambiare in modo sostanziale. Il Regno Unito avrà probabilmente l’obiettivo di mantenere le leggi di origine europea al fine di continuare a beneficiare di un accesso al mercato interno”.