• Non ci sono risultati.

Carattere pragmatico-funzionale della particella ð

Aspetti sincronici e diacronici del vocativo nelle lingue classiche

3.3. Grammaticalizzazione della costruzione vocativale dal greco omerico al greco classico

3.3.2. Carattere pragmatico-funzionale della particella ð

La funzione originaria della particella allocutiva ð è stata indagata da Lepre (1979) attraverso l’analisi delle occorrenze nel greco omerico; tale analisi ha

143 Tradizionalmente si distingue, infatti, tra interiezioni primarie o non-lessicali (ad

esempio oh, ah, ahi) vs interiezioni secondarie o lessicali (ad esempio silenzio!, orsù!). Tale criterio non rende conto, però, del fatto che la presenza di lessicalità non è necessariamente associata alla specificità semantica dell’interiezione, come, d’altro canto, l’assenza di lessicalità non è indice di polivalenza funzionale (LEPRE, 1994).

170 La categoria del vocativo nelle lingue classiche

portato la studiosa a due principali conclusioni riguardo all’uso nei testi omerici di tale particella (la natura della funzione di ð e il suo legame con la metrica), conclusioni, come vedremo, confermate anche da ulteriori osservazioni emerse dalla nostra ricerca, che, in questa prima sezione, ha esaminato le conclusioni tratte da Lepre riconsiderando analiticamente i dati di prima mano.

Nell’Iliade e nell’Odissea (MONRO-ALLEN,19393)la particella allocutiva ð è presente 181 volte su un totale di 1734 sintagmi vocativali, vale a dire solo il 10,4% delle volte. Di queste 181 occorrenze, solo 42 (23,2%) presentano come testa del sintagma vocativale un nome di persona, mentre nelle altre 139 (76,8%) si hanno nomi comuni o aggettivi sostantivati. Ciò significa che, rispetto al numero totale dei sintagmi vocativali complessivamente attestati nelle due opere l’8% circa presenta la particella allocutiva ed è un nome comune, mentre solo il 2,4% presenta la particella allocutiva ed è un nome di persona. Alcuni esempi delle occorrenze omeriche con nome di persona sono:

(29) ð 'Acileà PhlÁoj uƒ mšga fšrtat' 'Acaiîn (Il. 19, 216) (30) ð 'Acileà m£la toi kecolèsomai a‡ ke telšssVj (Il. 23, 543) (31) ¢ll£ moi a„nÕn ¥coj sšqen œssetai ð Menšlae (Il. 4, 169) (32) soˆ d' oÙ qšsfatÒn ™sti, diotrefj ð Menšlae (Od. 4, 561) (33) ð 'Oduseà, tÕ mn oÜ t… s' ™skomen e„sorÒwntej (Od. 11, 363) (34) e‡p' ¥ge m' ð polÚain' 'Oduseà mšga kàdoj 'Acaiîn (Il. 10, 544) (35) ð Nšstor Nhlhi£dh mšga kàdoj 'Acaiîn (Il. 14, 424)

Alcuni esempi rappresentativi delle occorrenze con nomi comuni o aggettivi sostantivati sono invece:

(36) ð f…loi ¢nšrej œste kaˆ ¥lkimon Ãtor ›lesqe (Il. 5, 529) (37) ð f…loi ½toi klÁroj ™mÒj, ca…rw d kaˆ aÙtÕj (Il. 7, 191)

Capitolo 3. Aspetti sincronici e diacronici del vocativo nelle lingue classiche 171

(38) ð f…loi oÙ m¦n Âmin ™ãklej ¢ponšesqai (Il. 17, 415)

(39) ð f…loi, œndon g£r tij ™poicomšnh mšgan ƒstÕn (Od. 10, 226) (40) ð f…loi 'Arge…wn ¹g»torej ºd mšdontej (Il. 10, 533)

(41) ð f…loi ¼rwej Danaoˆ qer£pontej ”Arhoj (Il. 19, 78) (42) ð pšpon ¢ll¦ biÕn mn œa kaˆ tarfšaj „oÝj (Il. 15, 472) (43) ð gšron ½toi ™gë qeÕj ¥mbrotoj e„l»louqa (Il. 24, 460) (44) ð gšron, oÜ tij ke‹non ¢n¾r ¢lal»menoj ™lqën (Od. 14, 122) (45) ð gÚnai a„do…h Laerti£dew 'OdusÁoj (Od. 17, 152)

(46) ð gÚnai, oÙ g£r pw p£ntwn ™pˆ pe…rat' ¢šqlwn (Od. 23, 248) (47) ð p£ter ¢rgikšraune kelainefj oŒon œeipej·(Il. 22, 178) (48) ð p£ter, à toi se‹o mšga klšoj a„n ¥kouon (Od. 16, 241) (49) n»piÒj e„j, ð xe‹ne, l…hn tÒson ºd cal…frwn (Od. 4, 371) (50) tÕn mn ™gèn, ð xe‹ne, kaˆ oÙ pareÒnt' Ñnom£zein (Od. 14, 145)

Come appare dagli esempi sopra riportati, la struttura metrica costituisce senza dubbio un vincolo nell’applicazione della particella ð al sintagma vocativale: nella grande maggioranza dei casi, infatti, ð è usata per ottenere una sillaba lunga ad inizio esametro ― ciò avviene in ben 151 delle 181 occorrenze ― in presenza di forme flesse al vocativo la cui prima sillaba è breve (come f…loi, gšron, pšpon, gÚnai, p£ter) e che, pertanto, non potrebbero occupare la posizione iniziale di verso. Dal momento che la funzione del vocativo è precisamente quella di indicare l’interlocutore, è naturale che la grande maggioranza dei vocativi si trovi proprio all’inizio del turno dialogico, che spesso coincide con l’inizio del verso. La pertinenza del parametro ritmico nell’uso della particella ð viene confermata se si confrontano le occorrenze con ð e senza ð di uno stesso lessema. A seconda della struttura sillabica del lessema si hanno, infatti, tendenze opposte: i lessemi con la prima sillaba breve mostrano una netta maggioranza di occorrenze con ð, mentre quelli con la prima sillaba lunga una netta maggioranza di occorrenze senza ð.

Per il primo tipo, infatti, si hanno le seguenti proporzioni: 30 occorrenze di ð f…loi (non seguito da sintagma nominale) (71,4%) vs 12 occorrenze di f…loi

172 La categoria del vocativo nelle lingue classiche

(28,6%), 19 occorrenze di ð gšron (48,7%) vs 20 occorrenze di gšron (51,3%), 14 occorrenze di ð gÚnai vs 0 occorrenze di gÚnai. I casi senza ð sono sempre all’interno dell’esametro e sono pertanto esenti dalla necessità di avere una sillaba lunga iniziale.

Per il secondo tipo di lessemi, invece, la situazione numerica appare ribaltata, dal momento che, avendo essi la prima sillaba lunga, non necessitano della ð per creare una posizione portatrice di ictus: 8 occorrenze di ð xe‹ne (19%, mai in posizione iniziale) vs 34 occorrenze di xe‹ne (81%).

A differenza di quanto concluso da Scott (1903) (cfr. § 3.3.1.), pertanto, la distribuzione complementare delle percentuali dimostra chiaramente che la presenza della particella allocutiva è assolutamente subordinata all’esigenza metrica: in assenza di tale esigenza la particella è evitata, e il costrutto ð + sintagma vocativale risulta, pertanto, complessivamente sfavorito rispetto al semplice sintagma vocativale.

Veniamo alla funzione di ð. Alla luce di quanto appena esposto, si potrebbe pensare che ð costituisca nel greco omerico una semplice “zeppa” metrica, senza alcuna funzione linguistica. Tale ipotesi è tuttavia smentita dai fatti: quello che i dati rivelano è, invece, che ð è effettivamente dotata di una precisa funzione semantico-pragmatica, legata alla semantica del lessema con cui cooccorre. Come nota Lepre (1979), infatti, le teste dei sintagmi vocativali accompagnati da ð sono in netta maggioranza nomi comuni e aggettivi sostantivati: effettivamente, i nomi comuni e gli aggettivi rappresentano il 76,8%, mentre i nomi di persona rappresentano solo il 23,2% delle 181 occorrenze totali. Inoltre, sono interdetti alla costruzione con ð i nomi di divinità, che in Omero evitano sempre l’inserimento di ð. Lepre ipotizza, pertanto, che la funzione originaria di ð fosse quella di una vera e propria «marca di direzionalità» «funzionale rispetto alla dimensione fisico-spaziale del rapporto dialogico» (LEPRE, 1979: 29 e ss.).

In termini più vicini alla nostra interpretazione del vocativo, ð costituisce una marca di individuazione orientata sull’interlocutore, volta a rafforzare la

Capitolo 3. Aspetti sincronici e diacronici del vocativo nelle lingue classiche 173

deitticità del vocativo di quelle espressioni referenziali la cui semantica inerente rende i referenti scarsamente individuabili, cioè i nomi comuni in opposizione ai nomi di persona, inerentemente più individuati anche se non più animati. Il parametro pertinente sarebbe dunque la scala di empatia, per cui, spostandosi verso gradi maggiori di empatia, ci si sposta anche verso gradi maggiori di deitticità (cfr. § 2.2.2.). Dal momento che nomi comuni ed aggettivi sostantivati individuano categorie di referenti, e non un particolare referente come accade invece con i nomi propri, il referente di un nome comune è inerentemente meno individuato di quello di un nome proprio. Secondo l’interpretazione qui proposta nel capitolo 2, pertanto, la funzione di ð nella lingua omerica si può definire, alla luce delle percentuali di occorrenza, come funzionale ad aumentare il grado di individuabilità contestuale del referente dell’allocuzione: in questo senso, quindi, ð costituisce un vero e proprio rafforzativo del vocativo.

Lepre basa l’ipotesi che ð sia una “marca di direzionalità” sulle sole percentuali di Omero, oggetto specifico della sua monografia. Queste, tuttavia, potrebbero comunque giustificarsi come vincolate dalla metrica: si potrebbe obiettare, cioè, che tali percentuali orientate sui nomi comuni siano semplicemente una conseguenza secondaria del vincolo metrico e che pertanto in base a questi soli dati non si possa identificare la funzionalità semantico- pragmatica di ð sopra ipotizzata. Il punto interessante della questione è che il confronto con la lingua appartenente a stadi diacronicamente più avanzati del greco, e presso autori le cui opere sono in prosa e non in poesia, conferma, al di là del vincolo metrico, che l’impiego di ð in Omero non è forzato dalla metrica, ma risponde all’effettiva funzionalità della particella allocutiva. In un prosatore come Erodoto, infatti, l’occorrenza della costruzione con ð interessa in termini nettamente preferenziali nomi comuni e aggettivi sostantivati, fornendo la prova dell’“autenticità” funzionale di ð presso Omero (cfr. § 3.3.4.).144

Le conclusioni di Lepre, cioè che la metrica sia importante e che ð avesse una precisa funzione linguistica, appaiono pertanto corrette, e confermate dalla

144 Come si vedrà nel § 3.3.4., sono altri i fenomeni di variazione che interessano la

174 La categoria del vocativo nelle lingue classiche

nostra ricerca. Al contrario, l’affermazione di Scott (1903) per cui il fattore metrico non è rilevante è chiaramente smentita dai dati a nostra disposizione.

Quello che si può affermare, dunque, è che entrambi i vincoli, metrico e semantico-pragmatico, agiscono nell’uso di ð nel greco omerico. Il costrutto ð + sintagma vocativale, tuttavia, è evitato se possibile, come dimostra il fatto che solo il 10,4% delle occorrenze di vocativi lo presenta, e quasi sempre solo se sussiste la necessità metrica. Si può concludere, pertanto, che nella fase arcaica del greco il costrutto fosse una costruzione marcata, generalmente sfavorita, o comunque che ð costituisse una forte marca di individuazione, legata alla presenza di classi nominali dalla semantica poco individuata e comunque solitamente evitata in assenza di esigenze prosodiche.

L’analisi dei dati forniti dal greco omerico, pertanto, chiarisce la natura linguistica di ð, che risulta essere non una semplice espressione dell’emotività e dell’affettività del parlante, esclusa da considerazioni di sistema, ma un vero e proprio segno linguistico dotato di forma e significato. Dall’analisi dei contesti di applicazione, infatti, si evince che l’uso di ð è nettamente preferito con vocativi il cui referente è poco individuato e pertanto basso nella scala di empatia: il vocativo è infatti una categoria della deissi di persona, e funziona come un commutatore di referenzialità, che permette di circostanziare un oggetto linguistico referenziale non deittico come il nome, inserendovi una variabile deittica relativa al ruolo di interlocutore dell’atto linguistico (II persona). La particella allocutiva ð fornisce la possibilità di integrare il valore del vocativo nel caso di nomi dotati di una semantica che individui un’intera classe di referenti, dunque poco individuati, la cui possibilità di referenza deittica è intrinsecamente minore rispetto a quella di nomi umani più facilmente “empatizzabili”, cioè i nomi propri. La particella allocutiva ð, dunque, possiede nella lingua omerica un preciso valore pragmatico di circostanziazione della II persona nell’atto dialogico, in grado di consignificare assieme al morfema di vocativo. Come abbiamo mostrato, il vincolo metrico esiste ed è pertinente nell’uso di ð presso Omero, ma le proporzioni di uso con nomi propri e nomi

Capitolo 3. Aspetti sincronici e diacronici del vocativo nelle lingue classiche 175

comuni rivelano una netta maggioranza di questi ultimi: ciò non può, però, essere un semplice fenomeno secondario rispetto al vincolo metrico, dal momento che le proporzioni si ritrovano pressoché inalterate presso autori che scrivono in prosa, e che assicurano così la verisimiglianza funzionale dell’uso di ð anche in Omero.

Alla luce di questi fatti, si può effettivamente affermare, con Lepre (1979), che metrica e funzionalità linguistica certamente cooperano nel greco omerico nell’applicazione di ð, ma che la funzione semantico-pragmatica non può essere negata, altrimenti nella distribuzione di ð non si riuscirebbe a trovare una ratio. Il confronto intertestuale, tuttavia, ci assicura che ð non è una semplice “zeppa” metrica, come si potrebbe ipotizzare limitando l’analisi a Omero.

Riassumendo, la particella allocutiva ð ha, nel greco omerico, una funzione semantico-pragmatica di individuazione deittica orientata sul destinatario dell’atto dialogico e costituisce una sorta di complemento (facoltativo) alla funzionalità della categoria morfologica del vocativo. Essa non compare mai da sola, ma sempre in presenza di un sintagma vocativale. La particella possiede una propria semantica ben definita, come dimostra il fatto che è interdetta coi nomi di divinità ed è largamente sfavorita coi nomi di persona: la presenza della costruzione è limitata dalla semantica della categoria lessicale con cui l’elemento ð si va a combinare.

Come anticipato, i contesti di applicazione di ð cambiano sensibilmente nella diacronia del greco. Nei due paragrafi seguenti ci occuperemo, dopo aver fornito brevemente una cornice di interpretazione teorica, di mostrare il mutamento tramite l’esemplificazione dei dati, per verificare l’ipotesi che tale mutamento diacronico sia descrivibile come un fenomeno di grammaticalizzazione, cioè come un passaggio nel tempo da fatti di discorso a fatti di sistema, da fatti di parole a fatti di langue.

176 La categoria del vocativo nelle lingue classiche