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Fenomeni di neutralizzazione dell’opposizione tra vocativo e nominativo

Aspetti sincronici e diacronici del vocativo nelle lingue classiche

3.2. Neutralizzazione formale e contiguità: vocativo e nominativo nel greco e nel latino arcaici

3.2.1. Fenomeni di neutralizzazione dell’opposizione tra vocativo e nominativo

In molte lingue i.e. antiche si riscontrano, in sincronia, fenomeni di mancato accordo o di neutralizzazione dell’opposizione formale tra caso vocativo e caso nominativo. Tali fenomeni sono evidenti, ovviamente, solo all’interno delle classi flessive che presentano il caso vocativo formalmente distinto dal nominativo: i due casi, infatti, risultano, come detto, largamente soggetti a sincretismo in tutti i gruppi i.e. storici, presentando un’unica forma per il plurale e per il duale (nelle lingue che lo conservano) e generalmente per il neutro115, e mantenendo, più o meno diffusamente a seconda delle lingue, l’opposizione formale al singolare per determinate classi flessive.

Il fatto che fenomeni di mancato accordo e di neutralizzazione siano rintracciabili in lingue appartenenti a gruppi indoeuropei distinti, ed all’interno di testi rappresentativi di uno stadio cronologicamente antico, induce ad attribuire già ad una fase arcaica la possibilità di un qualche grado di oscillazione tra vocativo e nominativo. Come detto (cfr. § 3.1.), peraltro, la comparazione mostra che, all’interno della categoria del caso, il sincretismo di vocativo e nominativo doveva essere già presente in una fase i.e. comune, dal momento che non si ricostruiscono marche formali diverse per vocativo e nominativo al plurale, salvo alcune particolarità prosodiche in indiano antico (WACKERNAGEL,

114 Tutti i riferimenti delle attestazioni analizzate in questo capitolo, qualora non già forniti

a testo, si trovano in Appendice.

115 La categoria del neutro in alcune lingue i.e. antiche mostra comportamenti peculiari

rispetto al caso vocativo. In antico indiano i temi in –a neutri subiscono metaplasmo di genere, passando a quello animato, qualora si trovino in vocativo (WACKERNAGEL, 1930: 97 e ss.; LAZZERONI, 2002a). Un fenomeno simile si riscontra anche in ittita (LAZZERONI, 2002a;

2002b) e nel greco omerico dove si ha tškne come vocativo del neutro tšknon. Questi metaplasmi costituiscono evidentemente una strategia riparativa messa in atto dalla lingua per conciliare la semantica tipicamente inanimata e inagentiva dei nomi neutri con il caso vocativo, che presuppone invece l’animatezza e la potenziale agentività del referente.

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1930) e l’opposizione attestata dall’irlandese antico che è, tuttavia, un’innovazione monoglottica secondaria (THURNEYSEN,1946).

I fenomeni cui stiamo facendo riferimento costituiscono un interessante oggetto di studio nell’ambito delle classi flessive che presentano la distinzione formale tra vocativo e nominativo, nelle quali, cioè, normalmente l’opposizione non è neutralizzata: in queste classi, infatti, può accadere che compaiano dei nominativi all’interno di espressioni funzionalmente vocativali. Sebbene ciò non costituisca la regola, tali fatti idiosincratici non sono irrilevanti, poiché possono essere interpretati da un lato come manifestazione della tendenza al sincretismo tra i due casi testimoniata sia nella ricostruzione sia all’interno delle lingue storiche (il greco, ad esempio, conserva in proporzione molto più ampia rispetto al latino la forma specifica del vocativo singolare — morfo zero — rispetto al quasi completo sincretismo col nominativo presente in latino), e dall’altro lato come spia in sincronia della tendenza del vocativo a recedere in favore del nominativo perdendo la forma specifica, come accade ad esempio nell’evoluzione dello slavo antico e nel latino delle iscrizioni pompeiane (cfr. § 3.2.4.).

Le espressioni caratterizzate da sovrapposizione funzionale tra vocativo e nominativo, dove, cioè, si trova un nominativo in luogo di un vocativo, sono riscontrabili almeno in latino, greco, antico indiano, slavo, baltico, germanico (DELBRÜCK, 1893: 394 e ss.; MEILLET-VENDRYES, 1924; 19664: 547; GONDA, 1956; SVENNUNG, 1958). Tali “deviazioni” dalla sintassi regolare dei casi sono segnalate tra le particolarità dalle grammatiche tradizionali nelle sezioni (per la verità sempre piuttosto anguste) dedicate alla sintassi di nominativo e vocativo, sebbene quasi mai se ne dia un inquadramento preciso. La formulazione più generica nella descrizione di questi fatti sintattici è che, talvolta, si possono trovare dei nominativi in luogo di vocativi.

Per quanto riguarda il greco, Schwyzer (1950: 63) dice che «kann ein Nominativ vokativisch gebraucht werden» e riporta di seguito una classificazione della possibile casistica. In termini del tutto simili si esprimevano anche Kühner e Gerth (1898: 47 e ss.). Leggermente diversa è la descrizione di

140 La categoria del vocativo nelle lingue classiche

Humbert (1945 [1993: 294]), che parla piuttosto di «possibilité pour le vocatif de s’associer au nominatif», mentre Chantraine (1953: 36) affermava che «le nominatif sert à interpeller et se trouve ainsi proche du vocatif».

Sul versante del latino, i termini della questione sono stati posti in maniera simile: in Bennett (1966: 263) si trova che «in the Early period (as also later) we find the nominative singular of o-stems used with some frequency instead of the vocative»; particolarmente esplicita a riguardo è la posizione di Serbat (1996: 106), che afferma che «la séquence vocative se distingue par le caractère non obligatoire de l’accord: à la place d’un V, c’est un N qui peut apparaître». Nell’opinione di Ernout (19722: 15), invece, «l’adjectif adjoint à un nom au vocatif fait pas partie de l’appel», ed era pertanto originariamente al nominativo, essendosi sviluppato l’accordo solo in un secondo momento. A partire parimenti dall’osservazione generale della possibilità di trovare un nominativo in luogo di un vocativo, è dato in Hofmann e Szantyr (1965: 24-25) un abbozzo di partizione ragionata degli esempi, distinguendo tra gli «alleinstehende Nominative» in luogo di vocativi e «die Verhältnisse beim Subst. mit Attribut».

Fenomeni raffrontabili a quelli del greco e del latino sono riscontrabili in slavo antico, dove un gruppo nominale in apposizione al vocativo può essere al nominativo (il tipo Gospodi, Bogŭ moi “Signore [voc.], mio Dio [nom.]) e, nello stesso modo, un aggettivo che modifica un nome in vocativo solitamente si presenta nel nominativo della forma determinata; così anche nelle lingue baltiche, in cui l’aggettivo in un sintagma vocativale è quasi sempre al nominativo (GONDA, 1956: 94; MEILLET-VAILLANT, 1977: 22 e ss.). Anche il gotico fornisce qualche traccia in questo senso, dal momento che esistono casi di nomi al nominativo in luogo del vocativo anche per lessemi appartenenti a classi flessive che conservano l’opposizione formale tra i due casi (SVENNUNG, 1958: 307). Questa tipologia si inquadra nel fenomeno della cosiddetta Conjunction Reduction, di cui si parlerà più diffusamente nel § 3.2.4.

Quello che si può dedurre da una pur rapida analisi delle sintassi di queste lingue i.e. storiche è, pertanto, l’esistenza in sincronia della possibilità, seppur marginale, della neutralizzazione dell’opposizione tra vocativo e nominativo

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anche all’interno delle classi flessive che generalmente la conservano, in quanto gli elementi dipendenti da un vocativo possono talvolta trovarsi al nominativo.

Le descrizioni delle grammatiche, limitandosi sostanzialmente ad elenchi di eccezioni, presentano, tuttavia, diversi punti poco convincenti. Nessuna chiara argomentazione viene fornita sulle caratteristiche strutturali del mancato accordo dal punto di vista sintattico, poiché non si fa differenza tra mancato accordo tra testa e modificatore all’interno di uno stesso SN e mancato accordo tra SN diversi coreferenti. Inoltre, le proporzioni numeriche tra casi di mancato accordo e di accordo regolare vengono fornite solo molto approssimativamente. Infine, gli approcci interpretativi di questi fenomeni appaiono, a nostro avviso, piuttosto inconsistenti da un punto di vista teorico e metodologico.

L’osservazione di fenomeni di mancato accordo nei sintagmi vocativali, seppur sporadica, è condivisa assai diffusamente tra le lingue i.e. ed ha, pertanto, indotto alcuni studiosi a negare tout court l’esistenza, per l’ i.e. ricostruito, di una forma flessa al vocativo dell’aggettivo: Brugmann (1911: 646 e ss.), infatti, osservando la possibilità attestata in Omero, relativamente all’aggettivo f…loj, di apparire regolarmente tanto al vocativo quanto al nominativo in espressioni vocativali, considera come originaria quella vocativale, interpretando la costruzione che rispetta l’accordo come composta da due vocativi indipendenti (gšron! f…le!) e negando così l’esistenza di una forma flessa dell’aggettivo nella fase più arcaica. Un’opinione simile esprimono Wackernagel (19262: 307) ed Ernout (19722: 15), affermando esplicitamente che l’aggettivo riferito ad un vocativo doveva anticamente essere al nominativo e che, solo in un secondo momento, con lo sviluppo dell’accordo grammaticale, avrebbe ricevuto una forma propria di vocativo; secondo questa ipotesi, dunque, la costruzione con l’aggettivo al nominativo sarebbe quella maggiormente conservativa, cioè, in definitiva, un relitto. Come nota Gonda (1956: 98), però, non sembra accettabile negare l’esistenza originaria di una forma vocativale dell’aggettivo né risolvere il problema in termini diacronici, semplicemente attribuendo a stadi cronologici diversi le diverse possibilità osservabili in sincronia.

142 La categoria del vocativo nelle lingue classiche

All’interno degli inventari di esempi riportati nelle grammatiche del latino e del greco, ed anche in trattazioni più specifiche sull’argomento (GONDA, 1956; SVENNUNG, 1958), risultano essere particolarmente rappresentativi dei fenomeni in questione i casi attestati in Omero e in Plauto, soprattutto perché, data l’arcaicità ed il carattere generalmente conservativo della lingua di questi testi, essi sembrano comprovare che la possibilità di neutralizzazione tra vocativo e nominativo doveva essere presente già nel greco e nel latino arcaici.

Per quanto riguarda Omero, i nominativi utilizzati in funzione di vocativi si limitano all’aggettivo f…loj116, in quanto il resto degli aggettivi risulta regolarmente concordato al vocativo. Nella lingua di Plauto, invece, le attestazioni coinvolgono entrate lessicali diverse, nella maggior parte dei casi inserite all’interno di sequenze vocativali. Dato che i fenomeni di mancato accordo non rappresentano la regola, appare piuttosto arduo negare, con Wackernagel ed Ernout, l’esistenza in origine di una forma flessa al vocativo per gli aggettivi, dal momento che la testimonianza di antico indiano (DELBRÜCK, 1893: 394 e ss.), greco e latino è uniformemente contraria.

Tuttavia, come accennato, i casi che deviano dalla norma non sono stati presi adeguatamente in considerazione, né dal punto di vista delle proporzioni numeriche né da quello delle strutture sintattiche, tramite un spoglio dei testi. La nostra ricerca a tale proposito si è, pertanto, concentrata sull’analisi della totalità delle occorrenze di tali fenomeni nell’opera omerica (MONRO-ALLEN, 19393) e plautina (LINDSAY, 1904), allo scopo di fornirne un’interpretazione linguistica adeguata.

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