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1.4. Dal Rinascimento al Razionalismo

1.6.3. Kuryłowicz

Con due lavori del 1949 e del 1964 Kuryłowicz riprende l’opposizione accennata da De Groot (1939; 1956) tra casi sintattici e casi semantici, ponendola alla base della sua descrizione dei casi indoeuropei, e dunque operando un importante tentativo di conciliazione dell’impostazione della linguistica storica indoeuropea con l’istanza strutturalista. La posizione fondamentale di Kuryłowicz riguarda, appunto, la distinzione tra casi grammaticali o sintattici (nominativo, accusativo, genitivo) e casi concreti o semantici (strumentale, locativo, ablativo): lo snodo innovativo consiste nel fatto che ogni caso non è relegato ad uno dei due gruppi, ma compartecipa di entrambe le funzioni, sintattica e semantica, in proporzioni diverse: per questo si

72 Questo esatto punto, di cui discuteremo di nuovo nel cap. 2, è oggetto di lucida e recente

Capitolo 1. Il vocativo nella teoria dei casi 81

riconoscono funzioni primarie e funzioni secondarie. Secondo questo ragionamento, i casi primariamente grammaticali avranno come funzione secondaria una o più funzioni semantiche, e viceversa i casi semantici avranno come funzione secondaria una funzione sintattica.73 Per Kuryłowicz, dunque, «Un cas concret, tout comme un cas grammatical, est subordonné au verbe, mais sa désinence présente en outre un contenu sémantique, ce qui lui confère un caractère nettement adverbial» (KURYŁOWICZ, 1949: 137): secondo l’approccio strutturalista si cerca, dunque, di individuare delle opposizioni tali da formare un sistema il più possibile simmetrico, ma si tiene conto non solo della categoria del caso a prescindere da altri condizionamenti, ma anche delle relazioni col verbo (CALBOLI, 1972: 178). La differenza tra casi sintattici e casi semantici corrisponde alla diversa relazione, nella terminologia di Kuryłowicz, di “più centrale” o “più marginale” rispetto al verbo, cioè sostanzialmente argomentale vs circostanziale (KURYŁOWICZ, 1949: 139)74:

1 2 Fonctions syntaxiques

Cas grammaticaux Cas concrets Fonctions sémantiques

2 1

Schema 5. Casi grammaticali e casi concreti in Kuryłowicz (SERBAT, 1981: 143).

In questo quadro, la posizione del vocativo è chiarita come segue (KURYŁOWICZ, 1949: 146-147):

Le vocatif reste à l’écart. Il a une fonction appellative distincte de la fonction purement représentative (symbolique) des autres cas. Mettre le

73 L’esempio portato da Kuryłowicz è quello dell’accusativo, che è primariamente un caso

sintattico che segnala l’oggetto diretto del verbo, ma presenta nelle lingue indoeuropee numerosi usi semantici, tradizionalmente classificati come “accusativo di tempo”, “accusativo di scopo”, “accusativo di prezzo”, ecc. (KURYŁOWICZ, 1949: 136-137).

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vocatif sur un seul et même plan avec les autres formes casuelles serait un lapsus méthodique comparable à une confusion de l’emploi expressif des interjections avec la valeur symbolique des autres parties du discours. La première dichotomie, quand on procède à classer les cas, détachera donc le vocatif de tout le rest.

I casi indoeuropei, in definitiva, si suddividono secondo una première dichotomie in base alla funzione di appello o di rappresentazione, in base al modello bühleriano75, esplicitamente richiamato dall’autore (KURYŁOWICZ, 1949: 148). Esiste, cioè, un plan de l’appel (corrispondente alla Appellfunktion di Bühler), di cui fa parte solo il vocativo, ed un plan de la représentation (corrispondente alla Darstellungsfunktion di Bühler), di cui fanno parte tutti gli altri casi. Il trattamento del vocativo implica infatti di considerare la questione secondo una prospettiva prettamente funzionale, traslando la questione su di un piano che non coinvolge né la sintassi, per cui non si sottolinea la sua posizione extrafrasale, né d’altra parte la semantica della rappresentazione, coinvolta nella definizione degli altri casi. La prospettiva funzionale marca l’assoluta peculiarità del vocativo rispetto agli altri casi, senza che questo induca Kuryłowicz ad espungerlo dal novero dei casi indoeuropei.

75 Il modello delle funzioni della lingua nella Sprachtheorie di Bühler (1934: 25 e ss.)

(Organonmodell) prevede tre funzioni di base del segno linguistico: rappresentazione (Darstellung), espressione (Ausdruck) ed appello (Appell), relative rispettivamente agli oggetti della realtà, al mittente ed al ricevente, secondo il seguente schema:

rappresentazione segno ricevente mittente oggetti espressione appello

A partire da questo schema Jakobson (1960) svilupperà il suo più complesso modello delle funzioni della lingua. A proposito dei diversi modelli funzionali della lingua, ed anche per la loro critica, si veda Coseriu (1981 [ed. it. DI CESARE, 1997]). Sull’Organonmodell in particolare si veda anche Conte (1990: 474-477).

Capitolo 1. Il vocativo nella teoria dei casi 83

Nelle teorie precedenti, anche strutturaliste, due erano le strategie di trattamento del vocativo, dipendenti dalla diversa priorità attribuita all’aspetto formale o all’omogeneità funzionale con gli altri casi (ed anche sicuramente dalla specifica lingua su cui l’analisi era basata). Se si voleva dare la priorità all’aspetto formale, cioè alla struttura, il vocativo veniva incluso tra i casi cercando, con forzature anche vistose, di integrarlo per mezzo di parametri semantici forgiati sugli altri casi: è il caso ad esempio di Martino di Dacia e di De Groot. Se si voleva, viceversa, mantenere una coerenza nella definizione semantico-funzionale dei casi, il vocativo doveva essere espunto, dal momento che la sua semantica è evidentemente diversa rispetto a quella degli altri casi, ma con molte difficoltà: è il caso di Hjelmslev. Per quanto riguarda invece gli approcci più superficiali nei quali la definizione della semantica casuale altro non era che l’elenco degli usi, questo problema non si poneva in maniera drammatica, come anche nel razionalismo, in cui la categoria del caso non è limitata alla morfologia.

Nel non mettere in dubbio l’appartenenza del vocativo ai casi, Kuryłowicz riconosce implicitamente l’omogeneità strutturale del vocativo con gli altri casi: la sua codifica consiste infatti di una modificazione morfologica di tipo flessivo, e alla stregua dei casi marca l’accordo. Tuttavia, come sottolinea debitamente Kuryłowicz, metterlo sullo stesso piano degli altri casi sarebbe un lapsus méthodique: per la prima volta nel trattamento del vocativo fra i casi emerge più nettamente la consapevolezza dello scollamento tra appartenenza formale del segno linguistico ad un sistema ed estraneità semantico-funzionale del segno stesso rispetto a tale sistema. Lo scollamento tra la sistematizzazione nella lingua del segno linguistico ed il suo contenuto semantico-funzionale, implicito in Kuryłowicz, è effettivamente la chiave di volta del problema, ed è esplicitato più o meno negli stessi anni nella serie di lavori che Benveniste dedica alla classe dei pronomi e alla persona. Dell’intuizione benvenistiana e della sua pertinenza per il nostro argomento si discuterà nel capitolo 2, per il momento basti

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sottolineare l’acutezza dell’osservazione di Kuryłowicz, che vale non solo per il vocativo ma anche come parametro metodologico in generale.

Nel molto più recente The Inflectional Categories of Indo-European (1964) si può scorgere una strategia di attenuazione della asimmetria del vocativo nel sistema. Spostando il fulcro della questione sull’asse diacronico, lo studioso stabilisce una più stretta connessione del vocativo con lo schema delle funzioni primarie e secondarie, ed in particolare col nominativo. Diacronicamente parlando, infatti, Kuryłowicz identifica il vocativo con un uso secondario del nominativo, in particolare un uso semantico di un caso primariamente sintattico quale, appunto, il nominativo. Kuryłowicz adduce argomenti per una originaria identità formale dei due casi nell’intero sistema, e non solo nel plurale, ipotizzando un unico caso nominativo/vocativo con una funzione principale di tipo sintattico (soggetto) e con una funzione secondaria di vocativo. In seguito allo sviluppo secondario della forma peculiare per il nominativo, ed alla conseguente redistribuzione semantico-funzionale all’interno della categoria, l’originario nominativo/vocativo sarebbe rimasto come forma fossilizzata e ristretta alla sola funzione secondaria di appello (KURYŁOWICZ, 1949: 197- 198).76 Ad ogni modo, questo punto, peraltro discutibile, non intacca il problema principalmente sincronico dello status peculiare del vocativo nel sistema dei casi indoeuropei.

76 L’esempio storicamente attestato che Kuryłowicz porta a sostegno della sua ipotesi è il

fenomeno dell’irlandese antico per cui nel paradigma di fer “uomo” si ha al plurale un’opposizione fir (nom.) : firu (voc.) < *wiroi : *wirōs, dove *wiroi è la forma innovativa di nominativo plurale dell’irlandese, mentre *wirōs, che rimane come vocativo, è la forma originaria di nominativo e vocativo plurale ereditata dall’indoeuropeo comune (KURYŁOWICZ, 1964: 197).

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