1.7. L’approccio trasformazionale e suoi svilupp
1.7.1. Da Fillmore al localismo di Anderson
Nel celebre saggio The case for case (1968), ripreso poi in The case for case reopened (1977), Fillmore fonda la categoria del caso in un impianto di matrice generativista semanticista, contrario al tentativo strutturalista di cercare un significato generale dei casi.77 Secondo la Case Grammar concepita da Fillmore, infatti, il caso è una relazione che appartiene alla struttura frasale profonda, che è esclusivamente semantica. I casi di Fillmore sono quindi concetti puramente semantici e, poiché si trovano nella struttura frasale profonda, sono universali e si identificano con i ruoli semantici. Fillmore si riaggancia dunque a quel ramo della tradizione della teoria dei casi di stampo universalista che era stato del razionalismo ed anche di Hjelmslev, con la differenza di poter innestare la sua analisi nell'apparato generativista già legittimato teoricamente. Secondo Fillmore, dunque, le relazioni semantiche profonde, cioè i casi, si proiettano nella struttura superficiale della frase in quelle che chiama case forms, corrispondenti ai mezzi formali di espressione dei casi, necessariamente specifici di ogni lingua. Non esiste corrispondenza univoca fra caso profondo, relazione sintattica e forma casuale superficiale, poiché le seconde due appartengono solo alla struttura superficiale. Uno dei problemi principali
77 All’interno dell’ambito generativista non prendiamo qui in esame la concezione del Caso
nella teoria X-barra di Chomsky, dal momento che non tratta del vocativo. Per quanto concerne la Functional Grammar di Dik (1997), invece, la categoria del vocativo viene presa in considerazione solo cursoriamente all’interno dei costituenti extrafrasali, ma senza riflessioni a proposito del suo status tra i casi.
Capitolo 1. Il vocativo nella teoria dei casi 89
dell’approccio di Fillmore è, ovviamente, l’individuazione di un elenco esaustivo dei ruoli semantici, che appare molto difficoltosa, poiché nel costruire una tassonomia esiste il rischio di una moltiplicazione basata su criteri soggettivi, non generalizzabile né condivisibile in assoluto. Inoltre Fillmore non definisce esattamente il contenuto dei casi, che rimane nella sua opera piuttosto vago.78
A questo problema cerca di porre rimedio Anderson, con la sua Localist Case Grammar, a più riprese sviluppata fino ad oggi a partire dalla seconda metà degli anni ’70. Sebbene Anderson rifiuti esplicitamente il concetto di struttura profonda della frase, la sua teoria prende le mosse proprio dall’opera di Fillmore, alla quale si richiama, ed in particolare dall’esigenza di distaccarsi dall’idea del “significato generale” dei casi propugnato dallo strutturalismo, che vede come vago e viziato da circolarità (FILLMORE, 1968: 9), in favore di una concezione molto più astratta. Nell’ottica di Anderson, la categoria del caso è di tipo funzionale (Functor) e basata cognitivamente su nozioni di tipo spaziale. Con un esplicito richiamo a Hjelmslev, il localismo è, secondo Anderson, l’unico approccio coerente e comprensivo per descrivere semanticamente la categoria dei casi (ANDERSON, 2006: 107). Pure hjelmsleviana appare l’idea di collocare la categoria ad un livello astratto e generale tale per cui il caso può essere espresso a seconda delle lingue con mezzi analitici, morfologici o di ordine sintattico (ANDERSON, 2006: 179).
La categoria del caso è dunque una categoria di Functor, cioè una categoria astratta funzionale, i cui tratti secondari definitorî sono di tipo spaziale (ANDERSON, 2006: 178 e ss.). Secondo Anderson, infatti, le categorie sintattiche, nozionalmente basate, si dividono tra lessicali e funzionali, di cui queste ultime presentano un contenuto nozionale più povero di quelle lessicali, cioè una semantica ridotta79. Tra le categorie funzionali esiste, appunto, quella
78 Si veda Serbat (1981: 192 e ss.), Blake (1994: 67 e ss.) e Anderson (2006: 37 e ss.). 79 Entrambe sono descritte dalla combinazione di tratti nozionali semplici quali P=
predicabilità e N= referenzialità, per cui ad esempio le classi di parole (categorie lessicali) sono definite come Verb= {P;N}, Noun= {N;P}, Adjective= {P:N}, mentre le categorie funzionali ugualmente da combinazioni di P e N ma senza asimmetrie, come Operative= {P}, Determinative= {N} (ANDERSON, 1997; 2006: 149-150; 283 e ss.). Le categorie sintattiche
90 La categoria del vocativo nelle lingue classiche
denominata Functor, che rende possibile l’espressione della griglia argomentale: la categoria del caso è, secondo questo modello, la categoria Functor.
Dopo aver fondato teoricamente la categoria del caso, Anderson ne definisce il contenuto in termini spaziali. L’ipotesi localistica, infatti, permette, secondo l’autore, una visione d’insieme della nozione di caso, indipendente dalle realizzazione delle specifiche lingue, come classe astratta di relazioni argomentali basate sulla spazialità. Identifica quindi un insieme di relazioni semantiche universali e basiche (tratti secondari della categoria Functor), tramite la combinazione delle quali si possono caratterizzare i Functors di ogni lingua, così semplificando gli assunti della precedente opera del 197780: essi sono source, goal e absolutive. Dalla combinazione di questi tratti spaziali si ottengono tutte le relazioni semantiche che permettono il riempimento e l’espressione della struttura argomentale.
Per Anderson i membri prototipici delle categorie sintattiche sono fondati semanticamente in maniera chiara e la loro morfosintassi è proiezione di tale semantica. Proprio per esemplificare il concetto per lui fondamentale della relazione tra la base semantica della categoria e la sua morfosintassi, Anderson ricorre all’esempio del vocativo: «This case is not prototypical: it does not bear the same kind of semantic content as other cases, and it does not share their distribution as introducers of participant or circumstantial arguments. […] Its special pragmatico-semantic function correlates with a special morpho-syntax. It cannot be the basis for a theory of case, or of “case”». Nonostante nel volume del 2006 rinunci esplicitamente a trattare il problema dello status controverso del vocativo (ANDERSON, 2006: 206), Anderson aveva dedicato in un articolo precedente (2004) una sezione alla collocazione del vocativo nel suo modello, e in particolare nella categoria Functor. In questo lavoro si parla del vocativo
rappresentano gradi diversi di routinization, cioè perdita della fondatezza semantica (ANDERSON, 1997; 2006: 149-150; 282 e ss.).
80 In Anderson (1977) le relazioni spaziali alla base dell’ipotesi localistica erano absolutive,
ergative, locative, ablative. Nel modello più recente ergative è sostituito con source di primo
ordine e locative ed ablative sono ulteriormente specificati tramite un tratto di secondo ordine, rispetttivamente goal e source (ANDERSON, 2006: 115 e ss.).
Capitolo 1. Il vocativo nella teoria dei casi 91
come categoria funzionale, appunto come Functor, che non esprime un partecipante o un aggiunto alla predicazione, bensì funge da modificatore frasale: «as a first approssimation I interpret such vocatives as a distinct kind of Functor phrase, with voc(ative) as a distinct kind of semantic relation (from abs, loc, etc.)» (ANDERSON, 2004: 458). Nel modello di Anderson, dunque, la categoria funzionale { {voc}} viene complementata, alla stregua degli altri Functors, da un argomento della predicazione, per poi andare a modificare la testa funzionale {P} associata all’intera frase in qualità di aggiunto di {P} stessa. Anderson stabilisce un parallelo funzionale tra il vocativo e gli avverbi di enunciazione come frankly nella frase I dislike that, frankly. Il problema di includere il vocativo tra i Functors che, come si è visto, sono categorie funzionali determinate da tratti semantici di tipo locale, non sfugge però allo studioso, che ammette «There are problems with the acceptance of such a semantic relation as VOC, however, not least to do with the semantic exceptionality of vocatives, their essentially different, performative character compared with the other semantic relations», accennando anche all’espunzione presso le teorie localiste precedenti alla sua. Nonostante questo, Anderson ritiene di poter includere il vocativo in qualità di Functor differente dagli altri per il fatto di essere non specificato rispetto a tratti spaziali e richiedere una testa funzionale relativa alla predicazione {P} da modificare (ANDERSON, 2004: 460):
Vocative is a Functor lacking a secondary category. We can indeed define vocative as an unspecified (for secondary category) Functor that requires a finiteness category to modify. […] This enable us to retain expression of its relational character (it is a Functor) but avoids dilution of our notion of the content of Functors. Its distinctiveness consists of being an unspecified Functor that is attached to {P}, which is a category modified by speech-act elaborators (frankly, etc.): the unmarked Functor phrase attached to {P} elaborates on the identity of the addresse. Thus unlike other sentence
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modifiers, but in common with other performative elements, vocatives do not occur in embedded clauses, except as quotations.
Questa analisi crea dei problemi. Innanzitutto, il termine performative non può essere applicato al vocativo, che non è un indicatore di forza illocutoria (tale termine sembra essere usato come sinonimo di “pragmatico”). Inoltre, ci appare piuttosto discutibile l’affermazione in riferimento al vocativo, di un carattere relazionale, implicito nella nozione di Functor. Non potendolo accostare al carattere relazionale degli altri, che indicano relazioni semantiche della griglia argomentale, esso si riferisce evidentemente alla relazione con la testa funzionale frasale {P}: i due tipi di relazione però non sono affatto omogenei. Inoltre, la funzione di un modificatore di frase come frankly è completamente differente da quella del vocativo: il primo ha una funzione, in termini jakobsoniani, emotiva, e nulla in comune con le funzioni del vocativo, la fàtica e la conativa. Accostarli crea infatti delle discrepanze, tant’è che, come nota l’autore stesso, essi hanno comportamenti diversi in frase subordinata, poiché frankly può comparire nel discorso riportato, mentre il vocativo no. Questo è dovuto al fatto che la semantica della categoria del vocativo si colloca esclusivamente sul piano del discorso, ed è un fatto pragmatico, non semantico in senso stretto. La collocazione del vocativo tra i Functors, seppure con le sfumature definitorie di cui l’autore si serve, non risulta convincente, e appare piuttosto come un altro tentativo di plasmare le categorie ad hoc per risolvere le asimmetrie presenti nella lingua.