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Come le caratteristiche delle piccole e medie imprese si riflettono sui loro sistemi di costing

3. I SISTEMI DI COSTING NELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

3.3 Come le caratteristiche delle piccole e medie imprese si riflettono sui loro sistemi di costing

Secondo uno studio condotto nei primi anni 2000 da Cescon e poi avallato da altri Autori122, la dimensione aziendale rappresenta un fattore in grado di influenzare il grado

di sofisticatezza dei sistemi di costing sussistendo una relazione positiva tra grande dimensione e adozione di metodi evoluti di calcolo dei costi. In realtà studi successivi, come quello condotto da Rios-Manrìquez et al. (2014) su un campione di 180 pmi messicane, dimostrano che non esiste una vera e propria correlazione lineare tra dimensioni aziendali e tasso di adozione, nel caso dello studio appena richiamato, dell’Activity-based Costing (che verrà approfondito nel paragrafo successivo essendo riconosciuto, come già più volte ribadito, come il sistema di costing che favorisce la migliore allocazione dei costi ambientali) dal momento che quest’ultimo risulta talvolta più frequentemente adottato nelle piccole che nelle medie imprese. Pertanto, ciò che fa sì che le metodologie più accurate di calcolo dei costi trovino scarsa applicazione nell’ambito delle pmi non è tanto la limitata estensione delle stesse quanto più il complesso di peculiarità organizzative e gestionali, ampiamente analizzato nel paragrafo precedente, che ne deriva. In altri termini, non si esclude la possibilità che il trade-off tra accuratezza e gestibilità del sistema di costing risulti più sbilanciato a favore della seconda variabile in una media azienda che in una piccola impresa.

In conseguenza di esse non deve neppure stupire la frequenza dei casi di totale assenza entro le aziende minori di sistemi di contabilità dei costi (quale sottoinsieme della più ampia contabilità analitica) poiché, come già accennato nel primo capitolo dell’elaborato a proposito del collegamento tra i due filoni della contabilità ambientale d’impresa (EMA ed EFA), si assiste spesso all’utilizzo dei risultati delle rilevazioni di contabilità generale non solo a fini di reportistica esterna ma anche per scopi decisionali interni123. Le

principali ragioni all’origine di questa tendenza, come emerso da una ricerca empirica condotta da Bubbio (2007), sono124:

122Cfr. Cinquini L. et al. (2011), pp.15 e 17. 123

Cfr. Jasch C. (2006), p.1195.

l’elevatezza dei costi di progettazione e implementazione dei sistemi di costing; la limitatezza delle conoscenze tecniche dovuta alla carenza di risorse umane qualificate;

l’inadeguatezza dei sistemi informatici in uso.

A ciò si aggiunga anche la limitatezza del fattore tempo, più marcata nelle pmi che nelle grandi aziende conseguentemente al sopramenzionato orientamento delle prime all’orizzonte temporale di breve periodo. Miolo Vitali definisce infatti il tempo come un “fattore di resistenza non controllabile”125, la cui scarsità può determinare

l’irrealizzabilità di determinate scelte contribuendo, nel caso specifico, all’onerosità dell’ottenimento delle informazioni di costo.

La tendenza sopra descritta non rappresenta comunque una generalizzazione in quanto anche le pmi sono consapevoli dell’importanza che il controllo dei costi, reso possibile dalla conoscenza della loro composizione, delle loro determinanti e del loro contributo alla generazione di ricavi, riveste entro un clima di forte pressione competitiva dato che “what gets measured gets managed”126 e che, quindi, gestire i costi a parità di ricavi

conduce a migliori profitti.

Di qui l’esigenza, anche per le pmi, di dotarsi di sistemi di contabilità analitica che facciano luce sulla formazione e sul comportamento dei costi, trattandosi di informazioni non rintracciabili entro le rilevazioni di contabilità generale e in bilancio, dove è possibile conoscere semplicemente l’ammontare complessivo dei costi classificati per natura. Come affermato in chiusura del paragrafo precedente, il modello di costing deve risultare adeguato rispetto alle specificità delle aziende di ridotte dimensioni. In particolare, oltre alla più volte segnalata carenza di risorse finanziarie, umane e tecnologiche, si ritiene che i principali fattori di influenza nella scelta e nella progettazione del sistema di calcolo dei costi nelle pmi siano riconducibili ai seguenti due punti:

l’accentramento delle decisioni e del controllo in capo all’imprenditore; le caratteristiche della struttura di costo aziendale127.

Per quel che riguarda il primo punto, occorre sottolineare come spesso i modelli di costing adottati dalle pmi presentino elevata facilità di calcolo e gestibilità (a scapito, si ricordi, dell’accuratezza) semplicemente perché nelle mani di un imprenditore “multi – functional” che, avvalendosi della sua pluriennale esperienza, è in grado di quantificare,

125Cit. Miolo Vitali P. (1993), p.28. 126

Cit. Martin J. et al. (2009), p.114.

ad esempio, l’ammontare dei costi di prodotto, il prezzo minimo da praticare o i problemi che possono scaturire dal mancato utilizzo della capacità produttiva installata senza che gli sia necessario ricorrere previamente ad analisi sofisticate, come testimoniato dalle parole, riferite in particolare all’analisi del comportamento dei costi rispetto a un driver di riferimento (tipicamente rappresentato dal volume di produzione), pronunciate dal titolare di una piccola azienda canadese operante nel settore dell’ICT avente partecipato allo studio condotto da Armitage et al. (2016): “we don’t deeply analize it, but I know what is fixed and what is variable just because, you know, it’s a small business”.

Quanto alla struttura di costo invece, diversi Autori128 sostengono che nell’ambito delle

pmi sia minore l’incidenza dei costi indiretti sul totale dei costi aziendali per cui non si assiste al problema della distorsione dei costi nella stessa misura di quanto avviene presso le grandi aziende129.

I già precedentemente sottolineati orientamento al breve periodo e tendenza a operare al limite della saturazione della capacità produttiva inoltre, rendono la struttura di costo instabile nel tempo poiché fanno sì che al variare dei livelli di attività i costi fissi tendano a crescere “a scalini” e, come noto, anche la costanza del costo variabile unitario non si mantiene tale nel lungo termine.

Alla luce di ciò, come emerge anche dalla già citata ricerca empirica di Bubbio (2007), i sistemi di costing più diffusi nell’ambito delle pmi sono il Direct Costing (o sistema a costi variabili o direttamente attribuibili), in versione semplice o evoluta a seconda che vi siano la stessa oppure tecnologie differenti tra le diverse linee di prodotto da cui potrebbero derivare costi fissi specifici, e il Full Costing (o sistema a costo pieno), nelle sue varianti a base unica, a base multipla o per centri di costo.

La prima metodologia, fondata sulla distinzione tra costi fissi e variabili valida nel breve periodo ed entro una certa area di rilevanza130, si presta ad essere impiegata ai fini

dell’espressione di giudizi di convenienza economica in merito all’accettazione di ordini speciali, alla composizione del mix di prodotti, all’eliminazione di linee di prodotto in perdita e alla produzione interna oppure all’acquisto all’esterno di componenti. Una sua possibile integrazione con l’environmental accounting è rappresentata, come visto precedentemente, dal Margine di Contribuzione Ambientale (v. supra par. 2.4.2).

128Nguyen H.V. e Brooks A.N. (1997); Clarke R., Hill N.T. e Stevens K. (1999). 129Cfr. Cinquini L. et al. (2011), p.30.

130Per “area di rilevanza” si intende “l’intervallo di variazione del cost driver (tradizionalmente il volume

di produzione) entro il quale si mantengono valide le ipotesi di comportamento dei costi relativi all’oggetto

Il secondo sistema invece, fondato sulla distinzione tra costi diretti (imputati all’oggetto di costo secondo criteri di specialità) e indiretti (imputati secondo criteri di comunanza), consente di determinare un costo (ad esempio, di prodotto) comprensivo di tutti gli oneri di natura operativa e finanziaria coerentemente con il principio dell’assorbimento integrale, secondo il quale “il costo di tutti i fattori impiegati deve concorrere alla determinazione del costo totale dell’oggetto di calcolo”131. Se i costi diretti non destano

alcun problema nella loro attribuzione, quelli indiretti necessitano di essere sottoposti a procedimento di allocazione mediante la selezione di una o più basi di riparto, rispondenti al già citato criterio funzionale (v. supra par. 1.4).

La base unica aziendale ben si presta ad essere impiegata entro le realtà organizzative caratterizzate da processi produttivi semplici, dove quindi resta bassa l’incidenza dei costi indiretti sul totale dei costi aziendali.

Man mano che aumenta il livello di complessità invece risulta necessario individuare più raggruppamenti omogenei di costi indiretti e selezionare una diversa base di riparto per ciascuna aggregazione, onde evitare possibili distorsioni. Ma poiché ciascuna base di riparto costituisce un elemento di soggettività addizionale, aumentandone il numero si rischia di accrescere l’onerosità ma non l’accuratezza del sistema. Ecco quindi che nelle situazioni di maggiore complessità organizzativa si garantisce una più corretta imputazione dei costi indiretti ai prodotti ricorrendo a raggruppamenti intermedi rappresentati dai centri di costo, ossia unità organizzativo-contabili di accumulazione dei costi, ribaltate le une sulle altre fino ad arrivare all’oggetto di costo finale nel rispetto del loro ordine gerarchico.

L’approfondimento della logica di funzionamento della contabilità per centri di costo e, in generale, dei sistemi di costing citati tuttavia non costituisce lo scopo del presente paragrafo; piuttosto è opportuno richiamare quei limiti di tali modelli tradizionali di calcolo dei costi che si rintracciano anche in sede di rilevazione dei costi ambientali, ossia: l’utilizzo di basi di riparto volumetriche anche laddove non è detto che il volume di produzione sia il principale determinante di costo, da cui possono derivare distorsioni nell’imputazione dei costi ambientali ai prodotti (a questo proposito si veda l’esempio analizzato nel paragrafo 1.4 dove l’entità dei costi associati all’utilizzo del depuratore viene a dipendere non dai volumi bensì dalla scelta dei materiali);

131Cit. Cinquini L. (2013), p.90.

la mancata evidenza delle cause di sostenimento dei costi ambientali con conseguente ostacolo all’efficacia degli interventi di cost reduction;

la focalizzazione sulla fase di produzione quando invece è nella fase di progettazione che si viene a determinare l’onerosità, anche sotto il profilo ambientale, del prodotto.

Tali limiti possono essere superati con successo ricorrendo all’Activity-based Costing (ABC), di seguito illustrato.