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3. I SISTEMI DI COSTING NELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

3.1 Le piccole e medie imprese: cosa sono, quante sono, dove operano

Al fine di comprendere i possibili meccanismi di diffusione dell’ECA (oggetto del prossimo capitolo della trattazione) e le problematiche che si associano alla misurazione dei costi ambientali nell’ambito delle pmi, è necessario anzitutto chiarire quali sono le aziende facenti parte di tale categoria per poi esaminarne le caratteristiche distintive che si collocano all’origine delle crucialità gestionali delle stesse.

Una definizione univoca di pmi è contenuta all’articolo 2 dell’allegato alla raccomandazione 2003/361/CE, entrata in vigore a partire dal 1° gennaio 2005, che recita: «La categoria delle microimprese, delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è

costituita da imprese con meno di 250 occupati, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro».

Sono questi i limiti dimensionali cui si fa riferimento per l’applicazione di tutti i programmi e le misure di finanziamento che l’Unione Europea pianifica a supporto di quelle aziende che nel 2006 sono state considerate dall’allora responsabile per le imprese e l’industria presso la Commissione Europea Verheugen “il motore dell’economia europea”, data la loro centralità ai fini della creazione di posti di lavoro e quindi della crescita economica e della stabilità sociale.

Andando ad analizzare la definizione appena fornita di pmi emerge che i criteri in base ai quali è possibile qualificare o meno un’impresa come tale sono tre, di cui uno obbligatorio e gli altri alternativi in quanto il soddisfacimento del limite al numero di effettivi rappresenta un requisito essenziale mentre l’azienda potrà anche superare una delle due soglie di fatturato o di totale delle attività annui senza perdere, per questo motivo, la sua qualifica di pmi (purché, si ribadisce, sia sempre soddisfatto il primo requisito). Gli effettivi sono rappresentati dal personale che presta lavoro a tempo pieno, a tempo parziale o anche solo temporaneamente (ad esempio con contratto stagionale) nell’impresa o per conto di essa e includono:

i dipendenti;

i soci che svolgono un’attività regolare nell’impresa110.

Gli importi relativi al fatturato e all’attivo patrimoniale vanno invece desunti dagli ultimi conti annuali approvati.

In questo modo è possibile rintracciare entro la categoria delle pmi le seguenti tre sotto- categorie:

le microimprese, ossia le aziende che impiegano meno di 10 occupati e realizzano un fatturato o un totale di bilancio annui non superiori a 2 milioni di euro; le piccole imprese, ovvero quelle che impiegano meno di 50 occupati e realizzano

un fatturato o un totale di bilancio annui non superiori a 10 milioni di euro; le medie imprese, ossia le aziende che impiegano meno di 250 occupati e

realizzano un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro.

Qualora in un dato esercizio l’azienda dovesse eccedere i tetti finanziari o di effettivi previsti, essa conserverà la propria qualifica di pmi che presentava all’inizio del periodo allo scopo di evitare di vedersi penalizzata in conseguenza di una temporanea fase di crescita ma, se l’eccedenza rispetto alle soglie dovesse protrarsi per due esercizi consecutivi, la stessa verrà meno111.

In realtà detti parametri quantitativi non rappresentano l’unico fattore che conta nell’attribuire a un’azienda la qualifica di pmi: quest’ultima infatti potrebbe anche soddisfarli ma non essere comunque ammissibile a tale categoria qualora abbia accesso a ulteriori risorse in conseguenza del suo essere posseduta, collegata o associata a un’impresa più grande112.

Ancor più restrittivi sono i parametri dimensionali che gli artt.2435-bis e 2435-ter del Codice civile, quest’ultimo introdotto con D.Lgs. 139/2015 avente apportato significativi cambiamenti in materia di redazione del bilancio, stabiliscono per l’identificazione delle microimprese e delle piccole società:

attivo patrimoniale non superiore a 175˙000 euro, fatturato non superiore a 350˙000 euro e un numero massimo di 5 occupati in media nel corso dell’esercizio per le prime;

attivo patrimoniale non superiore a 4˙400˙000 euro, fatturato non superiore a 8˙800˙000 euro e un numero massimo di 50 occupati in media nel corso

110Cfr. Commissione Europea (2016), p.12. 111

Cfr. art.4, par.2 dell’allegato alla raccomandazione 2003/361/CE.

dell’esercizio per le seconde.

A differenza di quanto stabilito nella raccomandazione 2003/361/CE secondo cui, come già visto, risultano alternative le sole soglie economico-finanziarie, il Codice civile prevede che le imprese di micro e piccole dimensioni siano tali, e possano di conseguenza redigere il bilancio in forma abbreviata, qualora nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi non abbiano superato due (qualsiasi) dei predetti limiti. Inoltre, non viene civilisticamente contemplata la categoria delle medie imprese, tenute ad adempiere ai medesimi obblighi di bilancio delle aziende di grandi dimensioni. Nell’affermare che le dimensioni aziendali influenzano la strategia ambientale che un’organizzazione può adottare (v. supra par. 2.1), Mio (2004) sostiene che spesso non sono le aziende di piccole bensì quelle di medie dimensioni a riscontrare le maggiori difficoltà di implementazione di una strategia proattiva verso l’ecosistema in quanto non possiedono né una struttura tale da permettere loro di assorbirne i costi attraverso il conseguimento di economie di scala, come avviene presso le grandi imprese, né quella flessibilità, tipica delle piccole aziende, che conferisca loro la capacità di adeguarsi rapidamente ai cambiamenti richiesti, in questo caso, dalla definizione dell’obiettivo di salvaguardia ambientale.

Si stima, in base ai dati elaborati per l’anno 2015 dalla DIW Econ (Tab. 1) relativi alla cosiddetta “economia non-finanziaria”, ossia comprendente industria, edilizia, commercio e servizi, che la quasi totalità delle imprese italiane rientra nella categoria delle pmi.

Tabella 1: stima della percentuale di pmi in Italia e in Europa per l’anno 2015

Fonte: Commissione Europea (2015), p.2.

La tabella mostra come le pmi rappresentino la colonna portante dell’economia italiana offrendo circa l’80% dei posti di lavoro totali e contribuendo per il 67% al valore aggiunto complessivo, risultati questi che si collocano al di sopra della media europea. Si contano

infatti solo circa tremila imprese di grandi dimensioni contro le oltre tre milioni e mezzo di aziende appartenenti alla categoria delle pmi, di cui oltre il 90% rappresentato da microimprese. Per contro, occorre sottolineare come negli altri Paesi europei siano mediamente superiori le percentuali di occupazione e di valore aggiunto creato nell’ambito delle medie e delle grandi imprese.

Anche sulla base del rapporto Cerved relativo all’anno 2016, che tuttavia conduce a risultati (sia assoluti che percentuali) diversi in quanto elaborato in considerazione delle sole società di capitale non finanziarie tenendo conto dei bilanci da esse depositati, emerge la prevalenza delle piccole rispetto alle medie imprese sia in termini numerici che di valore aggiunto. Le pmi considerate nel rapporto hanno generato circa il 12% del Pil113.

La recente crisi economica ha determinato rallentamenti in taluni ma anche accelerazioni in talaltri settori a elevata densità di pmi. In particolare, sebbene al settore manifatturiero si associ il 30% del valore aggiunto complessivo delle pmi e lo stesso offra il 20% dei posti di lavoro totali, si è verificato un ridimensionamento del numero di aziende piccole e medie operanti nei comparti tradizionali (alimentare e delle bevande, tessile, metallurgico, ecc.). Allo stesso modo si è registrata una diminuzione del numero di pmi operanti nei settori edile, dei trasporti e del deposito e immagazzinamento. Viceversa, si è fatta più consistente la base imprenditoriale di ridotte dimensioni nei settori dei servizi e del commercio al dettaglio; in particolare è elevata la concentrazione di microimprese nell’ambito della consulenza e dei servizi di supporto alle aziende, dell’architettura e dell’ingegneria, così come per quel che riguarda i servizi di ricettività e ristorazione114.

Dal punto di vista dell’impatto ambientale, il contributo più significativo è senz’altro imputabile alle aziende operanti nel settore manifatturiero (si pensi all’utilizzo di materie prime di origine naturale, agli scarti di produzione, ai consumi energetici, allo smaltimento dei rifiuti e così via, indubbiamente meno marcati in imprese impegnate nel settore dei servizi).

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Fonte: https://know.cerved.com/it/node/528#.