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2. IL RAPPORTO TRA PICCOLE E MEDIE IMPRESE, IMPATTO AMBIENTALE E COST MANAGEMENT

2.3 Definizione di “costo ambientale” e possibili criteri di classificazione

Ad oggi manca nel nostro Paese una definizione univocamente condivisa di costo ambientale; ciò è dovuto in parte alla molteplicità di approcci alla contabilità che vede tali costi in oggetto, per cui la nozione in questione assumerà accezioni diverse a seconda che l’ambito di riferimento sia quello nazionale o quello relativo alla singola impresa (v. supra par. 1.2), e in parte alla pluralità di contributi in letteratura che Autori italiani e stranieri hanno apportato sul tema.

In questa sede viene accolta la definizione secondo cui “i costi ambientali sono le risorse

consumate per valutare, prevenire e correggere “mancanze” derivanti da azioni che potenzialmente generano un effetto negativo sulla vita umana, animale e vegetale”87. In

altri termini, i costi ambientali sono pari al valore monetario delle risorse impiegate dall’impresa per evitare di causare offese all’ecosistema nello svolgimento dei propri processi, controllare l’impatto che le attività aziendali esercitano sull’ambiente naturale circostante e rimediare a eventuali danni provocati all’aria, all’acqua, al suolo, alla flora, alla fauna, all’uomo88.

Una definizione particolarmente esaustiva e dettagliata è quella contenuta al punto 2 della sezione 2 (“Definizioni”) dell’allegato alla raccomandazione 2001/453/CE che recita: “Il termine «spesa ambientale» include il costo degli interventi intrapresi da

un'impresa, direttamente o attraverso terzi, al fine di prevenire, ridurre o riparare danni all'ambiente derivanti dalle sue attività operative. I costi in questione includono fra l'altro lo smaltimento dei rifiuti e le misure intese a prevenirne la formazione, la protezione del suolo e delle acque superficiali e sotterranee, la protezione dell'aria e del clima dall'inquinamento, la riduzione dell'inquinamento acustico e la tutela della biodiversità e del paesaggio. Devono essere aggiunti soltanto costi individuabili e sostenuti allo scopo principale di prevenire, ridurre o riparare danni all'ambiente. Ne sono escluse le spese che possono influire positivamente sull'ambiente ma il cui scopo principale consiste nel soddisfare altre esigenze quali, ad esempio, una maggiore redditività, la sicurezza e la salubrità dei luoghi di lavoro, la sicurezza nell'utilizzo dei prodotti o l'efficienza produttiva di un'impresa. Ove non sia possibile individuare l'importo dei costi aggiuntivi separatamente dagli altri costi nei quali siano integrati, se ne può calcolare una stima a condizione che l'importo che ne risulta risponda al criterio di essere principalmente

87

Cit. Marelli A. in Miolo Vitali P. (2009), p.230.

destinato a prevenire, ridurre o riparare i danni causati all'ambiente”.

Da quanto riportato emergono immediatamente le caratteristiche di addizionalità e

identificabilità dei costi qualificabili come ambientali, il che sta a significare che non

possono essere ritenute come tali:

le spese sostenute per realizzare investimenti o condurre attività che pur riuscendo in qualche modo ad apportare migliorie ambientali presentano una diversa finalità prioritaria (es.: miglioramento tecnologico, maggior tutela della sicurezza, ecc.); le spese per le quali non vi sia la possibilità di procedere ad una rilevazione separata, anche ricorrendo a stime (purché risulti comunque soddisfatto il primo requisito), della quota parte aggiuntiva rispetto al minor costo che si sarebbe sostenuto per condurre quelle attività o realizzare quegli investimenti in assenza di quegli accorgimenti che consentono di prevenire, ridurre o rimediare alle offese causate all’ambiente89.

Una seconda precisazione che scaturisce dalla lettura della medesima raccomandazione della Comunità Europea ha a che fare con l’inclusione o meno nella categoria dei costi ambientali delle spese sostenute per il pagamento di sanzioni e ammende applicate per mancanza di conformità alle norme ambientali nonché per il risarcimento dei danni causati a terzi dall’inquinamento prodotto. A differenza di quanto avviene nella prassi internazionale, in cui tali spese sono considerate costi ambientali potenziali (come verrà meglio approfondito in seguito quando sarà illustrata la classificazione dei costi ambientali dell’EPA, l’Agenzia statunitense per la Protezione dell’Ambiente), la Commissione Europea li esclude dalla definizione di cui sopra poiché “Benché siano connessi all'impatto delle attività dell'impresa sull'ambiente, questi costi non prevengono, riducono o riparano i danni causati all'ambiente”90, ossia non rispondono alla finalità

prioritaria di tutela del patrimonio naturale e non costituiscono il riflesso di una strategia attiva verso l’ambiente91.

Molteplici sono i possibili criteri di classificazione dei costi ambientali; la tabella riportata a pagina seguente presenta quelli che verranno esaminati nel prosieguo del paragrafo, eccezion fatta per il criterio basato sul soggetto sostenitore di tali costi poiché di costi privati e costi sociali si è già parlato a proposito di Internal ECA e delle ragioni per cui le aziende tendono a non internalizzare i costi ambientali gravanti sulla collettività

89Cfr. Mio C. (2002), pp.43-46. 90

Punto 3, sezione 3, allegato alla raccomandazione 2001/453/CE.

(v. supra par. 1.4). È opportuno inoltre precisare che l’elenco dei criteri proposto in questa sede non è esaustivo ma considera solo quelli ritenuti più significativi.

Tabella 1: criteri di classificazione dei costi ambientali

Soggetto sostenitore

Causa di sosteni-

mento

Misurabilità Attività Qualità Strategia ambientale

costi privati spese

ecologiche costi convenzio- nalmente calcolati costi di prevenzione costi di prevenzione costi di compliance costi sociali spese di ripristino ambientale costi tendenzial- mente nascosti costi di valutazione costi di verifica costi legati a soluzioni “end-of- pipe” passività potenziali costi potenziali costi di controllo costi di responsabi- lità interna costi legati a soluzioni “front-of- pipe” costi di immagine e di relazione costi di ripristino costi di responsabi- lità esterna costi beyond- compliance

Fonte: adattamento da Marelli A. in Mitchell F. et al. (2013), p.332 e da Mio C. (2002), p.57.

Una prima modalità di classificazione dei costi ambientali, che si confà al bilancio d’esercizio, è quella basata sulla causa di sostenimento degli stessi e che permette di distinguere tra92:

spese ecologiche, sostenute per prevenire e ridurre danni ambientali che potrebbero derivare con una certa probabilità o in tutta certezza dalle attività aziendali (es.: acquisto di un depuratore per sanificare le acque reflue prima di scaricarle nella rete fognaria);

spese di ripristino ambientale, sostenute per rimediare a un danno che le attività

aziendali hanno causato all’ambiente (es.: bonifica di un terreno allo scopo di ripristinarne, appunto, le condizioni in cui esso versava prima che si verificasse l’evento dannoso);

passività potenziali, corrispondenti agli accantonamenti a fondi rischi costituiti

per dare copertura a quei danni all’ecosistema di futura e incerta manifestazione nonché di difficile quantificazione nell’ammontare monetario, che potrebbero scaturire dallo svolgimento dei processi dell’azienda.

Poiché il trattamento civilistico dei costi ambientali non costituisce oggetto specifico della presente trattazione, maggiore attenzione viene ora rivolta al criterio di classificazione proposto dall’Environmental Protection Agency (EPA), il quale risulta maggiormente coerente con gli scopi della contabilità analitica. Secondo l’EPA i costi ambientali possono essere raggruppati nei seguenti quattro livelli, disposti in ordine di

misurabilità (ovvero di tangibilità, tracciabilità) decrescente93:

costi convenzionalmente calcolati (I livello), ossia i costi classificati per natura

che vengono normalmente rilevati dai sistemi contabili e di cui si tiene conto nella valutazione degli investimenti (es.: costi per immobilizzazioni, materie prime, servizi di consulenza, ecc.). A prescindere dal fatto che spesso tali costi non siano considerati come “ambientali”, è opportuno che vengano sempre presi in considerazione ai fini delle decisioni aziendali94;

costi tendenzialmente nascosti (II livello), ovvero i costi che confluiscono nella

categoria dei costi generali aziendali e che, pertanto, necessitano della contabilità analitica per poter emergere. In particolare vengono segnalati: i costi di preparazione dell’attività o upfront environmental costs (es.: preparazione del sito, ispezioni, permessi, Ricerca e Sviluppo, ecc.), i costi di conformazione alla legislazione o regulatory environmental costs (es.: formazione e addestramento, tasse ambientali, assicurazioni ambientali, sistemi di controllo dei livelli di

93

EPA (1995), pp.7-11.

IV livello

inquinamento, ecc.), i costi di conformazione oltre la legislazione o voluntary

environmental costs (es.: audit ambientali, report ambientali, protezione del

paesaggio, ecc.) e i costi di cessazione dell’attività o back-end environmental

costs (es.: spese di negoziazione, spese di smantellamento, ecc.);

costi potenziali (III livello), ossia i costi legati a eventi futuri di incerta

manifestazione e la cui stima è legata alla probabilità che gli stessi hanno di verificarsi (es.: multe, sanzioni, risarcimenti per danni arrecati a terzi, spese legali, ecc.). La possibilità di sostenere o meno tali costi è tanto maggiore quanto più l’atteggiamento dell’azienda si allontana dalla conformità alle norme e dalla prevenzione dei rischi ambientali;

costi di immagine e di relazione (IV livello), ossia i costi sostenuti per proiettare

all’esterno un’immagine di ecologicità nonché gestire le relazioni con clienti, fornitori, banche, società di assicurazione, associazioni ambientaliste, enti pubblici e così via. Rientrano in questa categoria anche le perdite future derivanti dal danneggiamento sul mercato dell’immagine aziendale in conseguenza di incidenti ambientali provocati. Non è semplice misurare tali costi a causa del loro basso livello di tangibilità, cosa che obbliga a condurre stime aggiungendo così elementi di soggettività all’analisi; è tuttavia elevata la loro rilevanza a fini competitivi.

La figura che segue illustra la rilevanza strategica e la difficoltà di quantificazione delle quattro categorie sopraelencate di costi ambientali individuate dall’EPA:

Figura 2:rilevanza strategica e difficoltà in ordine alla tracciabilità dei costi ambientali

III livello

II livello I livello

ALTA RILEVANZA PER I PROFITTI CORRENTI ALTA RILEVANZA PER I PROFITTI FUTURI

Fonte: adattamento da Marelli A. in Mitchell F. (2013), p.333.

D IF F IC O L T A ’ N E L L A T R A C C IA B IL IT À ’

-

+

Il criterio di classificazione dei costi ambientali che viene ora preso in esame e che ben si addice alla loro definizione sopra richiamata proposta da Marelli (2009) è quello basato sulle attività che ne comportano il sostenimento, che consente di distinguere tra95:

costi di prevenzione, legati alle attività condotte per rimuovere una potenziale

causa di danneggiamento ambientale (es.: costo dell’attività di formazione ambientale del personale);

costi di valutazione, associati alle attività di misurazione e controllo delle fonti di

potenziali danni ambientali (es.: costo dell’attività di monitoraggio dei valori delle sostanze chimiche dannose disciolte nelle acque di scarico);

costi di controllo, connessi alle attività svolte al fine di contenere i livelli di

sostanze inquinanti impiegate o prodotte (es.: costo legato all’utilizzo di pannelli fonoassorbenti per contenere l’esposizione all’inquinamento acustico da parte di un vicino centro abitato);

costi di ripristino, legati allo svolgimento delle attività che si rendono necessarie

per rimediare a eventuali incidenti ambientali provocati (es.: costo dell’attività di bonifica di un corso d’acqua nel quale è avvenuto uno sversamento accidentale di liquame inquinante).

Diversi Autori96 hanno proposto una classificazione simile a quella appena illustrata e

basata sul criterio della qualità. Le prime due categorie che vengono così individuate, i

costi di prevenzione e i costi di verifica, corrispondono sostanzialmente ai primi due

raggruppamenti visti nella precedente classificazione includendo da un lato i costi volti a prevenire, in termini di riduzione o di eliminazione, l’inquinamento e dall’altro i costi di monitoraggio di quanto potrebbe causare offese all’ambiente allo scopo di cogliere prontamente eventuali anomalie cui porre rimedio. Maggiori dettagli occorre invece fornire in merito alle altre due categorie di costi ambientali che il criterio della qualità consente di rintracciare: si tratta dei costi di responsabilità interna (o degli insuccessi interni) e dei costi di responsabilità esterna (o degli insuccessi esterni). I primi sono percepiti solo internamente all’azienda poiché sostenuti in conseguenza di un atteggiamento negligente, poco responsabile nei confronti dell’ecosistema e, in generale, a causa di una cattiva gestione della variabile ambientale (es.: sprechi di materiali, dispersioni di energia, utilizzo di macchinari di bassa classe energetica, ecc.); i secondi,

95Cfr. Marelli A. in Miolo Vitali P. (2009), pp.240-241. 96

Ansari S. et al. (1997); cfr. anche Burritt R.L. in Rikhardsson P.M. et al. (2005), p.29 e Mio C. (2002), pp.73-81.

invece, sono percepiti anche esternamente da clienti, fornitori, banche, società di assicurazione e stakeholders ambientali tutti (es.: risarcimenti danni, sostituzione alla clientela di prodotti dichiarati inquinanti, bonifica del sito, multe e sanzioni, sospensione coattiva dell’attività, ecc.). I costi di responsabilità esterna possono essere considerati più “pericolosi” di quelli di responsabilità interna poiché oltre al danno economico comportano anche un danno d’immagine e una perdita di mercato da cui deriveranno minori ricavi futuri.

A conclusione di questa (parziale) carrellata di criteri di classificazione dei costi ambientali e prima di procedere con l’illustrazione delle ragioni per cui è utile per un’azienda procedere alla loro rilevazione, viene presentato quello legato alle strategie

ambientali perseguibili dall’impresa (viste nel paragrafo di apertura del presente

capitolo). Si individuano così le seguenti tipologie di costo, da intendere come le spese che tendono a prevalere a seconda del tipo di atteggiamento che l’azienda nutre nei confronti dell’ambiente naturale97:

costi di compliance, ossia i costi di adeguamento (il più tardi possibile per le

aziende che adottano una strategia passiva) alle normative ambientali. Parker (2000) sostiene che “organizations adopting a minimal compliance posture might decide that this is the most relevant cost category”;

costi legati a soluzioni “end-of-pipe” che, come precedentemente affermato,

prevedono che si intervenga solo al termine del processo produttivo allo scopo di ridurre gli effetti dell’inquinamento generato. Sono le aziende che perseguono la strategia adattativa a ricorrere generalmente a questo tipo di accorgimenti;

costi legati a soluzioni “front-of-pipe”, ossia di gestione preventiva dell’impatto

ambientale dei processi aziendali per mezzo di interventi realizzati nelle prime fasi di conduzione degli stessi. Tali accorgimenti sono tipici delle aziende attive nei confronti della tutela del patrimonio naturale;

costi beyond-compliance, ovvero i costi nel cui sostenimento incorrono le aziende

che operano secondo un approccio proattivo verso l’ecosistema, intraprendendo volontariamente iniziative volte a migliorare la propria responsabilità ambientale, ottenere consensi, accrescere la soddisfazione della clientela e garantirsi così profitti nel medio-lungo termine.

97Cfr. Parker L.D. (2000), p.47.