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4. L’INFORMAZIONE DI COSTO AMBIENTALE NELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

4.2 Il caso “Palm SpA”

Palm è una società per azioni a conduzione familiare operante nel settore della lavorazione del legno dedicandosi, in particolare, alle attività di progettazione, produzione, commercializzazione e riparazione di pallet e imballaggi industriali impiegati in molteplici settori (alimentare, edile, farmaceutico, della GDO, ecc.).

Sulla base dei dati riportati negli ultimi bilanci depositati, estrapolati dalla banca dati Aida, si tratta di un’impresa medio-piccola avente registrato nel 2015 ricavi delle vendite e un attivo patrimoniale per 13 Mln di euro e avente impiegato 38 dipendenti167.

Dal punto di vista organizzativo l’azienda presenta una struttura funzionale in cui le attività sono raggruppate per similarità secondo le principali funzioni tecnico- economiche.

Il volume produttivo ammonta a circa 2 milioni di pallet all’anno, articolati in un’ampia varietà di modelli.

4.2.1 Impatti e costi ambientali dell’azienda

Data la tipologia delle attività svolte, i principali danni ambientali che potrebbero scaturire dalla loro conduzione sono:

la deforestazione che verrebbe ad essere causata da un uso indiscriminato delle materie prime, con conseguenze riconducibili all’aumento del rischio idrogeologico del territorio, all’effetto serra e alla riduzione della biodiversità; le emissioni di anidride carbonica dovute allo svolgimento dei processi produttivi

e logistici, anch’esse all’origine del cambiamento della composizione

167Si ricordi che gli effettivi, il cui numero determina l’appartenenza di un’azienda a una determinata

categoria dimensionale, includono anche i proprietari – gestori e i soci che svolgono un’attività regolare nell’impresa, per cui i dipendenti costituiscono solo una parte del personale aziendale.

atmosferica e delle variazioni climatiche.

Il criterio che meglio consente di classificare i costi ambientali sostenuti dall’azienda è quello proposto dall’EPA e basato sul loro grado di misurabilità o tangibilità (v. supra par. 2.3), essendo rappresentati da:

costi per materie prime e impianti, costi per consulenze ambientali, costi per la formazione ambientale e per il personale specializzato (in eco-design e controllo qualità ambientale), costi legati all’implementazione e miglioramento del software di valutazione dell’impatto ambientale (I livello);

canoni di assicurazione ambientale, costi legati agli audit per l’ottenimento di certificazioni (come la ISO 14067 o l’etichetta ambientale AssoSCAI conforme allo standard ISO14021168) nonché alle attività di valutazione dell’impatto

ambientale (II livello);

costi di gestione delle relazioni con fornitori, clienti, banche e comunità locali legati allo sviluppo della reputazione e dell’immagine aziendale (IVlivello)169.

Abbracciando anche il criterio di classificazione basato sulle attività che comportano il sostenimento di tali costi (v. supra par. 2.3), il quale consente di esaminarne la composizione, è possibile osservare che la maggior parte di essi appartiene alle categorie dei costi ambientali di prevenzione e valutazione. Il loro sostenimento fa sì che le aree di rischio ambientale da presidiare e, quindi, i costi sostenuti in conseguenza di offese causate all’ambiente siano meno rilevanti. In particolare, i maggiori costi associati allo sviluppo del software per le rilevazioni ambientali, all’impiego di personale specializzato (circa 100ֺ000 euro all’anno per l’ingegnere che segue la progettazione e il medico che controlla la qualità ambientale), allo svolgimento di consulenze e audit ambientali per l’ottenimento e il mantenimento delle certificazioni (circa 50ֺ000 euro all’anno), all’acquisto di sole materie prime certificate per fronteggiare la deforestazione, alla Ricerca e Sviluppo (pari a circa il 2% del fatturato annuo) che, più che come meri costi sono visti come investimenti da cui sono attesi ritorni nel medio – lungo termine, sono compensati da risparmi su altri fronti: consumi energetici, acquisti di materiali (a seguito del minor fabbisogno reso possibile dal miglioramento dell’efficienza produttiva), premi assicurativi, smaltimento dei rifiuti, oltre al minor rischio di incorrere in multe e sanzioni.

168Le certificazioni appartenenti alla serie ISO 14000 afferiscono tutte alla gestione ambientale.

169Si ricordi che i costi ambientali di III livello sono costi potenziali riferiti a eventi futuri di incerta

manifestazione la cui stima dipende dalla probabilità di accadimento di questi ultimi, come: risarcimenti, multe e spese legali.

Le principali determinanti dei costi ambientali sopra elencati (cost drivers), intese come “qualsiasi evento che influenza l’entità di tali costi”170, sono riconducibili a fattori inerenti

la variabile organizzativa e sono:

il grado di complessità del processo produttivo, che vede la presenza di fasi prettamente legate alla riduzione dell’inquinamento (si pensi alla fase di sottoposizione a trattamento termico degli imballaggi recuperati per procedere alla loro sanificazione rimuovendo eventuali elementi inquinanti contenuti nel legno);

il controllo di buona parte della filiera del pallet; in particolare, l’anello che apporta i principali benefici in termini di contenimento dei costi ambientali è l’approvvigionamento in quanto la selezione di fornitori certificati assicura che il legname provenga da foreste gestite responsabilmente evitando così di incorrere in multe, sanzioni e blocchi dell’attività che potrebbero venire imposti secondo Legge qualora vengano accertate delle responsabilità in ordine alla deforestazione;

il ridimensionamento dei lotti di produzione (da 2ֺ500 a 400 pezzi) che contribuisce alla riduzione dell’impatto ambientale e dei costi a esso associati grazie a una minore movimentazione di flussi di materiali in entrata e in uscita. Non si sono verificati in conseguenza di ciò aumenti nei costi fissi unitari poiché la capacità produttiva continua ad essere ben sfruttata essendo cambiata la tecnologia (in altri termini gli impianti sono stati sostituiti proprio per poter realizzare lotti più piccoli oltre che per ridurre i costi legati alle emissioni e agli sprechi).

Con riferimento alla classificazione di Riley (1987), i primi due driver prendono il nome di cost driver strutturali poiché influenzano strutturalmente l’ammontare e la tipologia dei costi ambientali; l’ultimo invece va sotto il nome di cost driver operativo poiché consente di conseguire ulteriori risparmi entro la struttura di costo esistente, derivando “dalla capacità dell’azienda di operare con successo e, quindi, di ridurre i costi”171.

Essendo stato il sistema ERP aziendale recentemente sostituito, l’intero sistema di contabilità industriale sta attraversando una fase di reimpostazione per cui ad oggi risulta difficile operare delle quantificazioni monetarie corrette rendendosi così necessario il

170

Cfr. Foster G. e Gupta M. (1990), p.309.

ricorso a stime dei costi ambientali. Tuttavia, il sistema di costing su cui si basa la contabilità analitica aziendale nonché lo strumento di EMA adottato si presterebbero ad un loro completamento in termini di ECA in modo tale da ottenere più precise informazioni monetarie inerenti la variabile ambientale. Palm infatti conduce analisi di Life Cycle Assessment (v. supra par. 1.3), strumento di Physical EMA che, nell’ottica del Life Cycle Management, troverebbe naturale completamento nel Life Cycle Costing (LCC). Sempre allo scopo di quantificare in termini fisici l’impatto ambientale delle attività aziendali, Palm calcola la Carbon Footprint, ossia procede con l’analisi dell’impronta di carbonio del ciclo di vita del pallet in legno per il trasporto di merci. Ma poiché il sistema di calcolo dei costi che alimenta la contabilità analitica aziendale è il Direct Costing, integrando tale informazione con il Margine di Contribuzione Assoluto si potrebbero facilmente individuare, come visto nel paragrafo relativo all’utilità dell’informazione di costo ambientale nelle decisioni di product mix, i prodotti che a parità di impatto ambientale contribuiscono in misura maggiore alla copertura dei costi fissi aziendali o, viceversa, che a parità di marginalità assoluta impattano meno sull’ecosistema.

La ragione per cui manca ancora un sistema formalizzato di contabilità ambientale e si ricorre solo a stime dei costi ambientali, pur essendo in realtà già disponibile buona parte degli elementi a esso necessari, i quali richiederebbero semplicemente di essere integrati, risiede nella carenza di personale dotato di competenze specifiche che lo possa implementare. L’unica risorsa che avrebbe potuto farlo ha lasciato l’azienda dopo aver ricevuto una stimolante offerta di lavoro e il naturale avvicendamento del personale ha visto l’inserimento in azienda di giovani collaboratori il cui apprendimento sul campo richiede un certo periodo di tempo prima di condurre al consolidamento delle competenze progressivamente acquisite.

In ogni caso, il software impiegato per la conduzione delle rilevazioni tecnico-contabili, la cui tecnologia si fonda sostanzialmente sull’utilizzo del foglio elettronico, è attualmente in fase di miglioramento proprio allo scopo di tradurre in termini monetari l’impatto ambientale dell’azienda.

4.2.2 La strategia ambientale perseguita e le iniziative volte alla sua implementazione

La strategia ambientale perseguita da Palm riflette, come è già intuibile dalle considerazioni finora effettuate, un atteggiamento di tipo proattivo nei confronti

dell’ecosistema; l’azienda dichiara infatti di essere fortemente consapevole del fatto che la gestione della variabile ambientale permetta di tradurre quest’ultima in una fonte di vantaggio competitivo di medio – lungo termine nonché dell’importanza che la conoscenza delle ripercussioni delle attività aziendali sull’ecosistema e dei costi ambientali ad esse associati riveste ai fini dell’identificazione delle aree di intervento più opportune per minimizzare le esternalità scaricate sulla collettività e accrescere contestualmente la marginalità dei prodotti.

A questo proposito sono state intraprese molteplici iniziative che puntano alla riduzione o, comunque, a una compensazione dell’impatto delle attività svolte sull’ambiente naturale, tra cui:

la sostituzione degli impianti precedenti con nuovi impianti in grado di offrire una maggiore resa, di esalare minori fumi (derivanti dalla marchiatura a fuoco del legno) e di dar luogo a minori emissioni di anidride carbonica grazie alla riduzione dei consumi di energia elettrica;

l’adozione dei principi dell’Eco-Design allo scopo di garantire elevate prestazioni del prodotto pur riducendone lo spessore e, quindi, il quantitativo di materia prima naturale utilizzata;

la stipula di un accordo di rete per incentivare l’utilizzo di materia prima locale non solo per conseguire un risparmio nei costi logistici lavorando a chilometro zero ma anche per soddisfare la volontà di creare valore là dove il legno nasce, ossia di favorire lo sviluppo dell’economia locale, nonché contenere la dispersione di polveri sottili nell’atmosfera riducendo i trasporti su lunga distanza; la compensazione del taglio con la piantumazione di nuovi pioppi;

l’adozione di politiche di riciclo del legno sia in termini di recupero degli sfridi di produzione che di impiego di pallet usati per la realizzazione di altri manufatti come tavoli, sedie e scaffali;

l’erogazione di un servizio di riparazione affinché il ciclo di vita del pallet possa essere ulteriormente prolungato.

Tali iniziative influenzano positivamente la performance economico – finanziaria dell’azienda avendo finora permesso il conseguimento, a fronte del loro proprio costo, di risparmi economici di ammontare pari a circa 90˙000 euro all’anno, la cui stima avviene confrontando a consuntivo i costi per acquisto di materie prime, consumi energetici, gestione dei rifiuti, contributo CONAI, ecc. sostenuti successivamente all’adozione di tali iniziative e quelli che l’azienda sosteneva prima che le stesse venissero intraprese, e il

consolidamento del fatturato (nonostante la crisi economica degli ultimi anni) rappresentando esse una leva di differenziazione che consente di agire sulla variabile del prezzo di vendita attraverso l’applicazione di un premium price. I clienti riconoscono questo valore aggiunto, dandone dimostrazione con la loro fedeltà anche di fronte alla pratica di un prezzo di vendita che risulta più elevatodunque rispetto a quello praticato dai concorrenti.

Entrambe le categorie di attività, primarie e di supporto172, della catena del valore sotto

riportata sono coinvolte nelle iniziative ambientali intraprese dall’azienda nel perseguimento della sostenibilità:

Figura 2: iniziative ambientali lungo la catena del valore in Palm SpA

Fonte: Pizzurno E. (2011), p.30.

Procedendo in ordine logico, poiché gran parte dei costi e degli impatti ambientali di prodotto sono determinati nella fase di progettazione, è proprio la Ricerca e Sviluppo la prima attività della catena del valore cui l’azienda presta attenzione. Nel rispetto dei principi del Design for Environment (tra cui, ad esempio, la riduzione dei rifiuti e dei materiali impiegati, la minimizzazione della presenza di sostanze tossiche, l’estensione della durata del ciclo di vita dei prodotti, l’agevolazione del recupero e del riciclo, ecc.), l’azienda collabora con il cliente allo scopo di progettare un prodotto innovativo in grado di soddisfare gli scopi d’uso e che, al tempo stesso, sia caratterizzato da minor peso, volume e rifiuti all’origine.

172

Si ricordi che le attività di supporto non sono secondarie rispetto alle attività primarie in termini di importanza; esse sono tali poiché atte a garantire un più efficace svolgimento delle attività primarie.

Significativi riflessi sulla variabile ambientale derivano inoltre dalle attività di approvvigionamento e logistica: l’azienda acquista solo legname certificato FSC e PEFC (allo scopo di garantirne la provenienza da foreste gestite responsabilmente) a un costo sicuramente maggiore rispetto a quello del legname non certificato, materie prime a ridotto impatto ambientale (es.: chiodi senza metalli pesanti) ed energia elettrica derivante da fonti rinnovabili. L’azienda, inoltre, si rivolge a segherie locali per poter, tra le altre cose, ridurre le emissioni di biossido di carbonio associate ai trasporti.

Per ottimizzare costi e impatti ambientali legati alla logistica in uscita, Palm collabora con le aziende clienti cercando di sfruttare, laddove possibile, i loro autocarri (vuoti) di rientro, cosa che consente di evitare la spesa logistica e contestualmente ridurre le emissioni inquinanti complessive dato che viene risparmiata la mobilitazione di un secondo autocarro dando senso a quello che, per l’autocarro dell’azienda cliente, sarebbe stato un “viaggio a vuoto”. La gestione delle relazioni con clienti e fornitori comporta chiaramente il sostenimento di costi ma garantisce la creazione di valore condiviso, oltre all’apporto di benefici ambientali maggiori.

Per quel che riguarda le attività di produzione, i processi sono progettati nel perseguimento degli obiettivi prioritari di riduzione dei consumi energetici e limitazione o, comunque, recupero degli scarti di lavorazione (segatura e legname).

Buona parte dei costi ambientali sostenuti dall’azienda sono legati alle attività e agli strumenti di comunicazione ambientale, in particolare le già citate certificazioni ambientali di prodotto e la partecipazione a eventi e fiere per la costruzione di una reputazione e un’immagine aziendali di ecologicità.

Entro le attività infrastrutturali rileva, come già sottolineato, la raccolta di informazioni ambientali attraverso strumenti di EMA (con prevalenza di strumenti in grado di fornire informazioni di tipo fisico-tecnico).

4.2.3 Considerazioni

Le ragioni che hanno condotto Palm a dotarsi di tali strumenti possono essere lette, almeno in parte, nell’ottica dell’isomorfismo, in particolare mimetico e normativo (quest’ultimo favorito anche dall’abituale predisposizione aziendale alla collaborazione con le istituzioni universitarie che, si ricordi, rientrano nella categoria dei “management fashion setters”) in quanto, alla luce delle dichiarazioni rilasciate dall’azienda in ordine al fatto che ciò che la consapevolezza dei costi ambientali orienta maggiormente sono le sue scelte di investimento (trattandosi di uno strumento che consente di operare

valutazioni di convenienza degli interventi di miglioramento che si intendono realizzare), emergono alcune zone d’ombra, pur nell’ambito di un evidente approccio proattivo, che si cercherà ora di illustrare.

Alla domanda su come l’azienda valuti il costo di un investimento reputato ambientale (es.: impianto) poiché dotato di una tecnologia tale da consentirle di conseguire nel tempo risparmi nei consumi energetici e di generare meno rifiuti, è stato risposto che ad oggi l’azienda non è ancora in grado di rilevare con precisione quanta parte del costo di un impianto possa essere qualificato come tale, per cui le scelte di investimento si fondano prevalentemente sull’esperienza e le valutazioni sulla percezione soggettiva di quanto “ambiente” vi sia incluso. Inoltre, sebbene l’azienda stia lavorando allo scopo di ottenere un “disaccoppiamento” più preciso tra la quota di costo qualificabile come ambientale (poiché prioritariamente finalizzata all’ottenimento di migliorie ambientali) e quella sostenuta nel perseguimento di altre finalità, dovendo adempiere agli oneri previsti dalla L.388/2000 per poter beneficiare della detassazione concessa dal Legislatore alle pmi che realizzano investimenti ambientali, tra cui la loro valutazione secondo l’approccio “incrementale” appunto (anche noto come “approccio pro-quota”173

poiché identifica come ambientale il differenziale di prezzo corrisposto dall’impresa per l’acquisto del bene avente funzione di tutela ambientale rispetto a quello che avrebbe pagato per l’acquisto di un impianto tradizionale174), occorre sottolineare che

quest’ultimo risulta oggettivamente applicabile solo a fronte di un cambiamento di tecnologia come, ad esempio, nel caso di un cespite la cui alimentazione proviene da fonte energetica rinnovabile posto a confronto con un cespite la cui alimentazione proviene da combustibile fossile. Cambiando tecnologia, il differenziale di prezzo d’acquisto dei due cespiti può essere facilmente attribuito per intero al minore impatto ambientale. Ma come applicare l’approccio incrementale nel caso in cui si intenda rimanere nell’ambito della stessa tecnologia? Quanto costa, ad esempio, impattare 10g di CO2 in meno per prodotto

realizzato con un impianto alimentato con la medesima fonte energetica dell’impianto da sostituire? Nell’ipotesi di un mantenimento tecnologico, risulta evidentemente più complesso seguire l’approccio descritto.

Un’ulteriore riflessione richiede di richiamare brevemente i diversi atteggiamenti propri delle imprese che perseguono una strategia ambientale adattativa e di quelle che adottano

173Cfr. Mio C. (2002), p.101 e L.388/2000, art.6. 174

L’approccio incrementale o pro-quota si contrappone all’approccio globale o allargato che qualifica come ambientale l’investimento nella sua interezza – cfr. Mio C. (2002), p.101.

una strategia proattiva nei confronti dell’ecosistema (v. supra par. 2.1): nel primo caso l’unico obiettivo aziendale è la generazione di profitto (che rimane ovviamente lo scopo istituzionale, la ragion d’essere dell’impresa) per cui l’azienda si limiterà ad adottare tecnologie pulite nella misura in cui esse agevolino il conseguimento di tale obiettivo e, chiaramente, rispettino le normative; d’altro canto, si ha a che fare con un’impresa più sensibile nei confronti della tutela del patrimonio naturale e quindi disposta a realizzare minori profitti pur di inquinare meno.

Nel momento in cui viene imboccata la via della strategia proattiva tuttavia, questa dovrà risultare coerente con tutto un altro insieme di segnali, specialmente se si tiene conto del fatto che coloro che si differenziano facendo leva su di essa si rivolgono ad un pubblico edotto in materia; pertanto, dichiarare che un’impresa non dovrebbe parlare di sostenibilità come cosa nuova per migliorare la sua visibilità sul mercato in quanto dovrebbe già nascere sostenibile, per poi non dare prova oggettiva della coerenza di quest’affermazione con l’adozione preventiva delle migliori tecniche di valutazione degli investimenti da realizzare, sembrerebbe suggerire che l’azienda esaminata, pur mostrando un atteggiamento indiscutibilmente proattivo verso l’ecosistema, si sia avvicinata agli strumenti di EMA anche allo scopo dell’ottenimento di consenso e legittimazione sociale delle proprie attività.

Naturalmente, non si dimentichi che Palm è un’azienda di dimensioni contenute e che, pertanto, è chiamata a fronteggiare nel quotidiano quelle problematiche di ordine tecnico, organizzativo ed economico, di cui si è ampiamente discusso nel corso della trattazione, che rallentano, se non addirittura rendono razionalmente sconveniente in termini di onerosità e dispendiosità, l’implementazione di un sistema formalizzato di ECA.

CONCLUSIONI

Scopo della trattazione era quello di esaminare il rapporto tra pmi, ambiente e cost management, il grado di responsabilità delle aziende di ridotte dimensioni in ordine al degrado ambientale nonché i meccanismi che determinano la diffusione entro queste ultime di pratiche di rilevazione dei costi ambientali.

Dalle informazioni ottenute dall’azienda intervistata emergono fattori che consentono di condividere le osservazioni condotte da Passetti et al. (2014) nell’ambito della discussione dei risultati della più volte citata ricerca condotta a proposito di sustainability accounting nel nostro Paese, e in particolare il sostenimento dell’esistenza di un approccio imprenditoriale alla sostenibilità per cui quest’ultima tende ancora a rappresentare talvolta un mezzo piuttosto che un fine quando le informazioni inerenti la variabile ambientale vengono raccolte e utilizzate per scopi di legittimazione sociale e compliance normativa (cosa che segnala a sua volta che il modello di business profittevole e rispettoso delle leggi continua a prevalere sul modello, talvolta in grado di generare minori profitti, ma più sensibile verso le problematiche ambientali a beneficio dell’attuale e delle future generazioni175).

Il singolo caso, così come è stato esaminato in questo lavoro, riteniamo che non possa costituire una prova sufficiente per giungere a conclusioni generalizzabili.

Aver ipotizzato cioè che allo stato attuale la rilevazione dei costi ambientali da parte delle pmi avvenga principalmente “perché altri lo fanno” oppure perché consulenti aziendali,