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3. I SISTEMI DI COSTING NELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

3.4 La rilevazione dei costi ambientali secondo l’Activity-based Costing

3.4.1 Descrizione del modello

L’Activity-based Costing (d’ora in avanti ABC) è il sistema, introdotto nella seconda metà degli anni Ottanta da Kaplan e Cooper132, che nasce semplicemente per sopperire

alle mancanze dei modelli tradizionali ma che, date le sue potenzialità, si presta ad essere impiegato per molteplici scopi, inclusa la determinazione e l’analisi della configurazione di costo ambientale.

La figura riportata a pagina seguente illustra che ciò che segna il distacco dell’ABC rispetto ai sistemi di contabilità analitica preesistenti è la logica di base su cui esso si fonda: non sono più, come precedentemente ritenuto, i prodotti a determinare il consumo di risorse ma le attività di cui i prodotti richiedono lo svolgimento.

Viene qui accolta la definizione di “attività” fornita da Bagliani e Martini (2012) che le identificano come “combinations of people, methodologies and the environment, aimed

at the provision of a service”. Più semplicemente, le attività possono essere individuate

abbinando logicamente un verbo e un complemento per cui, con specifico riferimento alla gestione ambientale si avranno, ad esempio, attività del tipo: “depurazione delle acque”, “bonifica del sito”, “monitoraggio dei valori di sostanze inquinanti” e così via. Poiché per poter essere svolta ciascuna attività richiede il consumo di risorse, essa determina il sostenimento di costi. Conseguentemente, il costo delle attività dovrà essere ripartito tra i vari oggetti di costo secondo l’entità della loro richiesta da parte di questi ultimi.

132

Kaplan R.S. e Cooper R. (1988), Measure costs right; make the right decisions, Harvard Business Review, vol.66, no.5, pp.96–103.

Figura 1: logiche di funzionamento dei sistemi tradizionali e dell’ABC a confronto

Sistemi tradizionali Activity-based Costing Risorse (costi) Risorse (costi) consumate da impiegate in

Prodotti ATTIVITÁ

assorbite da

Prodotti

Fonte: adattamento da Cinquini L. (2013), p.155.

Dalle considerazioni di base effettuate deriva un sistema di costing che si articola nelle seguenti fasi133:

Identificazione delle attività, ossia delle macroattività formate da più microattività omogenee tra loro, fino a rintracciarne le operazioni elementari (purché i relativi costi siano reputati significativi). Il livello di dettaglio dell’analisi sarà poi perfezionato al momento della scelta degli activity drivers (v. infra); in presenza di più microattività che condividono il medesimo parametro ai fini dell’imputazione del loro costo ai prodotti infatti è opportuno limitare l’analisi a un livello sintetico di macroattività per evitare di accrescere eccessivamente la complessità del sistema. Tale mappatura iniziale delle attività può avvenire per mezzo di interviste al personale impiegato, della consultazione di documenti già esistenti in azienda (ad esempio quando la stessa è dotata di certificazioni) o, addirittura, a partire dal cliente per poi risalire a ritroso per identificare le attività necessarie a raggiungere un certo risultato. Segue solitamente l’individuazione di

133

Cfr. Bagliani M. et al. (2012) pp.149-150, Cinquini L. in Miolo Vitali P. (2009), pp.121-143 e Cinquini L. (2013), pp.155-160.

centri di attività (activity centers) riconducibili a reparti, uffici, funzioni o processi aziendali nei quali le stesse vengono localizzate;

Creazione di una gerarchia delle attività sulla base della relazione causale che le lega all’oggetto di costo. Alcune attività infatti non hanno un’influenza diretta sui prodotti ma il loro svolgimento è comunque necessario ai fini della conduzione di un determinato processo, ossia supportano lo svolgimento di altre attività134. Ecco

quindi che, con riferimento alla gerarchia proposta dagli Ideatori del modello, le attività il cui costo non varia all’aumentare dei volumi evidentemente non sono svolte a livello di unità bensì a livello di lotto; allo stesso modo, le attività il cui costo non varia all’aumentare del numero dei lotti sono svolte a livello di linea di prodotto; da ultime, le attività il cui costo non si modifica al variare delle caratteristiche della linea sono svolte a livello generale aziendale. Una delle ragioni di utilità del conoscere a quale livello gerarchico le attività sono condotte ha a che fare con la realizzazione di efficaci interventi di cost reduction in quanto, una volta noto il livello gerarchico in cui si annida la causa del sostenimento dei costi, risulterà più facile comprendere dove (e come) agire per ridurre questi ultimi. Non sempre è utile calcolare quindi l’incidenza unitaria di tutti i costi; infatti, se ai fini del Costing for Pricing, quale tipica funzione del cost accounting (v. supra par. 2.4.3), è necessario che tutti i costi vengano riportati sul volume di produzione, lo stesso non è richiesto per individuare opportunità di riduzione degli stessi, obiettivo fondamentale del cost management;

Imputazione dei costi delle risorse alle attività per mezzo di misurazioni dirette (es.: tempo impiegato), stime o dell’impiego di parametri, noti come “resource

drivers”, che riflettano l’ammontare di risorsa impiegato in una certa attività (es.:

numero di addetti, superficie occupata, ecc.). È chiaro che qualora l’attività richieda l’impiego di una determinata risorsa per intero non vi sarà alcun bisogno di ricorrere all’utilizzo di basi di riparto poiché l’attribuzione del suo costo avverrà in maniera esclusiva;

Identificazione degli “activity drivers”, ossia dei “fattori determinanti la domanda di attività”135 da parte degli oggetti di costo. È possibile distinguere tra tre

tipologie di activity drivers:

134

Cfr. Cagno E. et al. (2012), p.139.

- transaction drivers, che forniscono una misura della frequenza di svolgimento dell’attività;

- duration drivers, che indicano la durata temporale dell’attività;

- intensity drivers, che esprimono la diversità di costo di risorse eterogenee impiegate nello svolgimento della medesima attività.

È opportuno abbandonare i transaction drivers a favore dei duration drivers quando interventi dello stesso tipo presentano tempi di svolgimento differenti per cui l’impiego di drivers appartenenti alla prima categoria comporterebbe distorsioni di calcolo in quanto farebbe sì che a parità di numero di interventi si avrebbe anche parità di costo e i duration drivers a favore degli intensity drivers quando per lo svolgimento di attività analoghe, anche dal punto di vista della durata, vengono impiegate risorse diverse a costi diversi (es.: periti e ingegneri). Risulta evidente come tale classificazione ordini gli activity drivers secondo accuratezza e difficoltà di rilevazione crescenti. La scelta degli stessi dovrebbe riflettere il più possibile l’entità della richiesta di attività da parte dell’oggetto di costo; pragmaticamente però occorre considerare molteplici fattori, quali: la semplicità e il costo di ottenimento dei dati, il grado di correlazione tra il consumo indicato dal driver e il consumo effettivo nonché gli effetti motivazionali che alcuni driver possono esercitare, dato il sistema di controllo di gestione in vigore in azienda, sui responsabili di determinati parametri – obiettivo136.

Raggruppamenti di attività il cui costo è imputabile agli oggetti di calcolo mediante il medesimo activity driver vanno sotto il nome di “activity cost pools”; Imputazione dei costi delle attività agli oggetti di costo che le hanno domandate per mezzo degli activity drivers appena identificati e rilevati. Questa fase prevede dapprima il calcolo dell’activity rate, ossia del valore di costo per unità di driver, ottenuto rapportando il costo totale dell’attività al valore totale dell’activity driver, e a seguire la ripartizione vera e propria del costo tra i vari prodotti moltiplicando il valore così ottenuto per l’ammontare di activity driver riferibile a ciascuno di essi;

Calcolo dell’incidenza unitaria del costo delle attività (passaggio eventuale, stando a quanto affermato al secondo punto);

136Cfr. Cagno E. et al. (2012), p.139.

Calcolo del costo di prodotto sommando il totale dei costi diretti che gli vengono attribuiti in maniera esclusiva oppure andando a moltiplicare la quantità di fattore produttivo impiegata (per unità di prodotto) per il suo prezzo (anch’esso unitario) e il totale dei costi indiretti relativi alle attività che la metodologia descritta avrà consentito di ottenere.

Un aspetto di natura tecnica meritevole di un breve approfondimento riguarda l’importanza del quantificare gli activity drivers secondo la capacità pratica, intesa come il potenziale produttivo conseguibile per mezzo delle migliori procedure tecnologiche e manageriali tenendo conto degli inevitabili vincoli normativi, tecnici e di mercato, e non secondo la capacità realizzata a consuntivo. In quest’ultimo caso infatti, variando il valore del driver impiegato nel calcolo dell’activity rate in funzione dei livelli effettivi di attività svolta, si otterrebbero valori finali di costo anch’essi variabili nel tempo, pur essendo assai verosimile che lo svolgimento delle attività preveda il sostenimento di costi fissi, e soprattutto si finirebbe per caricare sui prodotti (per poi “scaricare” sul prezzo di vendita praticato al cliente) il costo della capacità produttiva inutilizzata per inefficienze che non si sono sapute evitare. È possibile scongiurare siffatte distorsioni impiegando coefficienti di riparto che siano indipendenti dalla domanda effettiva di attività da parte degli oggetti di costo e, quindi, ricorrendo alla capacità pratica137.

Il sistema di analisi dei costi basato sulle attività appena descritto è ritenuto da Marelli (2009) “una via percorribile per meglio comprendere i driver che guidano il consumo di risorse nella materia ambientale”. Se si utilizza l’ABC per la rilevazione dei costi ambientali, nella fase di mappatura delle attività occorre identificare gli impatti ambientali ad esse associati per poter risalire alle risorse impiegate. Il costo di queste ultime viene, come noto, imputato alle attività svolte con finalità di protezione ambientale (ad esempio, con riferimento all’attività di depurazione delle acque reflue, possibili risorse impiegate sono gli agenti chimici, gli addetti, l’energia necessaria al funzionamento dell’impianto e così via). Già riuscire anche solo a quantificare il costo delle attività ambientali costituisce un buon traguardo considerato che ciò equivale ad acquisire consapevolezza in ordine all’impatto ambientale derivante dalle scelte passate dell’azienda e a rendere quindi visibili le opportunità di miglioramento della performance ambientale138. Se a questo si aggiunge anche l’identificazione di activity drivers che

137

Cfr. Cinquini L. in Miolo Vitali P. (2009), pp.144-146.

riflettano correttamente l’entità della richiesta delle attività ambientali da parte dei prodotti sarà possibile conseguire anche tutti gli altri vantaggi associati all’informazione di costo ambientale illustrati nel capitolo precedente.

3.4.2 Ragioni della scarsa diffusione presso le piccole e medie imprese

Nonostante le elevate potenzialità del sistema di costing appena descritto, il suo tasso di adozione è rimasto al di sotto delle aspettative sia all’estero che nel nostro Paese. Questo fenomeno è stato definito come “paradosso dell’ABC” da Gosselin, che in una pubblicazione del 2007139 afferma: “[…] despite favourable context for the adoption and

implementation of ABC and even though ABC exists since almost 20 years, survey have shown that the diffusion process of ABC has not been intense as it may have been expected”. Nelle pmi l’adozione di tale modello di calcolo dei costi risulta ancor più rallentata140.

Vengono di seguito analizzate le principali ragioni che si celano dietro la scarsa diffusione dell’ABC entro le realtà aziendali minori e che possono essere lette senza alcuna soluzione di continuità rispetto al complesso delle caratteristiche distintive delle pmi e dei loro sistemi di costing illustrate nel corso dei paragrafi precedenti.

In primo luogo va segnalata la generale incompatibilità del modello rispetto alla forma

organizzativa che tende ad essere adottata dalle pmi. L’ABC infatti si presta ad essere

implementato entro un modello organizzativo per processi141 mentre la struttura

organizzativa tipicamente riscontrabile nell’ambito delle aziende di minori dimensioni è quella funzionale, che raggruppa le attività condotte su uno stesso oggetto per mezzo delle medesime competenze secondo il criterio della specializzazione. L’implementazione dell’ABC nelle pmi potrebbe quindi richiedere un cambiamento organizzativo; ma l’idea del cambiamento in generale si scontra talvolta con l’atteggiamento inerziale di chi, avendo operato a lungo in un certo modo, si dimostra scettico dinanzi alle novità. Una seconda motivazione ha a che fare con la scarsa conoscenza del modello da parte di numerose piccole imprese. Oltre il 60% delle pmi messicane partecipanti alla già citata

139Gosselin M. in Chapman C.S., Hopwood A.G. e Shields M.D. (2007). 140Cfr. Hall O.P. et al. (2011), p.11.

141Si definisce processo “una sequenza di attività logicamente correlate che impiegano risorse (persone,

macchine, materiale) per fornire uno specifico risultato finale. Tale sequenza è caratterizzata da: input misurabile, attività con valore aggiunto, output misurabile, attività ripetitive. Gli input provengono dai fornitori (interni e/o esterni) e gli output sono destinati ai clienti. I processi sono quindi catene di fornitori/clienti ed in questa logica ogni fase del processo deve conoscere i bisogni sia del cliente finale che del cliente a valle” – cit. Biroli M. (1992), Process Analysis o Process Management, Sistemi & Impresa,

ricerca condotta da Rios-Manrìquez et al. (2014) ha dichiarato di non conoscere tale sistema di costing; questo aspetto, precedentemente osservato anche da Bubbio (2007) in Italia, può essere ricondotto alla già nota carenza di personale qualificato. Occorre inoltre tenere presente che, quando il numero di dipendenti è limitato, gli stessi sono impegnati nello sbrigare questioni correnti per cui, anche ammesso che vi siano risorse umane in possesso delle competenze necessarie per progettare un sistema ABC, può accadere che queste non dispongano del tempo materiale per farlo142 (si pensi, ad esempio, al dispendio

temporale correlato all’effettuazione di interviste al personale per misurare la durata di svolgimento delle attività).

Anche altre condizioni per la diffusione di tale modello finiscono generalmente per non sussistere nell’ambito delle pmi.

La bassa complessità e la bassa varietà che caratterizzano la produzione delle imprese di minori dimensioni infatti spesso non giustificano il sostenimento dei notevoli sforzi richiesti per l’implementazione e il mantenimento dell’ABC, ritenuto quindi più appropriato nell’ambito delle aziende di dimensioni maggiori, generalmente multi- business e aventi un modello organizzativo più sofisticato.

Il fattore dimensionale, oltre a condizionare la disponibilità di risorse su cui non occorre più soffermarsi ulteriormente, influenza anche l’entità dei costi indiretti di

coordinamento. Più piccole le aziende sono ed elementari le strutture che le

caratterizzano, minore sarà anche l’incidenza di tali costi sul totale dei costi aziendali e, così, l’esigenza di ricorrere a sistemi di costing più analitici.

Dal punto di vista tecnologico inoltre le pmi sono solite ricorrere all’utilizzo di software

generici (primi tra tutti i fogli elettronici Excel) per via della loro economicità e semplicità

d’uso piuttosto che a quello di sistemi informatici avanzati che tuttavia meglio supporterebbero la conduzione delle rilevazioni richieste dal sistema ABC, in particolare la quantificazione degli activity drivers (sebbene ad oggi vi sia la possibilità crescente di accedere a software gestionali open source o, comunque, a costi relativamente contenuti). Un’ulteriore elemento di discriminazione tra pmi e grandi imprese che si colloca tra le possibili ragioni della scarsa diffusione dell’ABC presso le prime è stato osservato empiricamente da Armitage et al. (2016) a conferma delle argomentazioni di altri Studiosi143 e risiede nella diversa natura delle operazioni che aziende di dimensioni

142

Cfr Hall O.P. et al. (2011), p.21.

differenti tipicamente conducono. In particolare, gli Autori sostengono che l’impiego di sistemi di costing evoluti si collochi entro le “execution activities” cui le imprese più grandi e da tempo consolidate si dedicano in conseguenza della necessità di disporre di informazioni accurate a coordinamento di organizzazioni caratterizzate da un più elevato livello di complessità e non tra le “search activities” (es.: segmentazione del mercato, definizione della proposta di valore per il cliente, ecc.) condotte dalle piccole imprese, specialmente se impegnate nelle prime fasi di sviluppo, e finalizzate alla strutturazione del modello di business.

Da ultimo, non perché meno importante ma perché già in qualche modo anticipato, si segnala la frequente impossibilità per le pmi di sostenere gli elevati costi di progettazione,

implementazione e mantenimento del modello di costing in questione. Tali costi

impattano negativamente sul profitto e, determinando uscite monetarie, sui flussi di cassa; tutto ciò è visto con sfavore dal piccolo imprenditore144.

Spostando ora il focus dalla specificità dell’ABC, quale sistema di costing efficacemente utilizzabile ai fini dell’Environmental Cost Accounting, in cui ci si è addentrati e riportandolo sulla generalità dei sistemi di ECA, a loro volta collocati nel più ampio framework degli strumenti di Environmental Management Accounting, è possibile affermare che sebbene rilevare e gestire i costi ambientali sia utile sia per l’ecosistema che per l’economicità dell’azienda (come visto nel secondo capitolo dell’elaborato), “the use of ECA in small and medium-sized enterprises (SMEs) is still relatively rare, so practical examples available in the literature are few and far between”145 in conseguenza

delle caratteristiche proprie di tali aziende e dei loro sistemi di costing viste finora, che lasciano passare in secondo piano la gestione della variabile ambientale.

Alla luce di tutto ciò, quali sono dunque i meccanismi per mezzo dei quali la tecnica manageriale di rilevazione e gestione dell’informazione di costo ambientale tende attualmente a diffondersi nell’ambito delle pmi? Nel prossimo ed ultimo capitolo della trattazione si cercherà di fornire una risposta a tale interrogativo.

144

Cfr. Hall O.P. (2011), p.21.

145

4. L’INFORMAZIONE DI COSTO AMBIENTALE NELLE