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2. IL RAPPORTO TRA PICCOLE E MEDIE IMPRESE, IMPATTO AMBIENTALE E COST MANAGEMENT

2.4 Utilità dell’informazione di costo ambientale

Come già affermato nel primo capitolo dell’elaborato a proposito della scarsa capacità delle metodologie convenzionali di contabilità analitica nel far luce sull’ammontare, sulla composizione e sulla significatività dei costi che costituiscono l’oggetto della trattazione, emerge per le imprese la necessità di supportare i processi decisionali integrando i propri sistemi di costing tradizionali con metodi di rilevazione e analisi delle informazioni monetarie inerenti la variabile ambientale.

Ditz, Banks e Ranganathan rispondono piuttosto intuitivamente alla domanda sul perché le imprese dovrebbero misurare i costi ambientali affermando che “Firms should account for environmental costs for the same reason they account for other costs: because they affect the bottom line”98.

Ma, di nuovo coerentemente con quanto già sottolineato in precedenza (v. supra par. 1.4), gli Autori proseguono “[…] firms will not go through the trouble and expense of developing a more rigorous accounting for environmental costs unless it can be used to enhance productivity and profitability”99. Lo scopo del presente paragrafo, pertanto, è

quello di permettere al Lettore di comprendere l’utilità della rilevazione dei costi ambientali attraverso l’esame delle principali funzioni e finalità di tale informazione di costo, riconducibili ai seguenti punti:

supporto alla realizzazione di interventi di cost reduction; indirizzo nelle decisioni di product mix;

impiego nel product pricing; supporto alla contabilità generale;

contributo alla creazione di valore per clienti e azionisti.

Come avvenuto per la lista dei criteri di classificazione dei costi in esame, anche l’elencazione dei motivi di utilità della loro misurazione non intende presentare l’attributo dell’esaustività in quanto molteplici possono essere gli utilizzi delle informazioni monetarie inerenti gli aspetti ambientali che rientrano nella sfera di influenza dell’azienda (si pensi, ad esempio, anche al supporto offerto nella scelta dei materiali da impiegare nei processi di produzione o delle modalità di smaltimento dei rifiuti); ciò che invece preme sottolineare in questa sede sono le ragioni ritenute più significative per cui è opportuno che anche le pmi procedano alla rilevazione dei costi ambientali.

98

Cit. Ditz D. et al. (1995), p.6.

2.4.1 Interventi di cost reduction

Poiché normalmente i costi ambientali confluiscono nella categoria dei costi generali aziendali (overhead costs), solo rilevandoli è possibile risalire alle loro cause di sostenimento e quindi perseguire l’obiettivo di cost reduction, che costituisce il cuore del cost management, identificando correttamente le priorità di intervento e riducendo il rischio di incorrere in tagli indiscriminati dei costi.

Per spiegare meglio questa prima, rilevante, ragione di utilità dell’informazione di costo ambientale è necessario fare riferimento al sopra riportato criterio di classificazione di tali costi basato sulla qualità (che, si ricordi, consente di distinguere tra costi di prevenzione, di verifica e degli insuccessi, interni ed esterni).

È evidente che, a fronte della necessità di contenere le spese, risulterebbe erroneo procedere al taglio orizzontale dei costi di prevenzione poiché in tal modo aumenterebbe il rischio di procurare incidenti ambientali che comporterebbero a loro volta il sostenimento di costi di ripristino ambientale e la possibilità che vengano comminate all’impresa sanzioni pecuniarie, oltre al danno d’immagine che la stessa subirebbe sul mercato.

Grazie alla consapevolezza in ordine all’ammontare e all’effettiva composizione dei costi ambientali che la loro misurazione permette di acquisire, invece, è possibile individuare le aree e le modalità di intervento più opportune per cui, ad esempio, in presenza di elevati costi di responsabilità (interna ed esterna), risulterà logico incrementare le azioni di prevenzione ambientale.

Il grafico seguente illustra la relazione che, se è vero quanto sopra affermato, si ritiene possa intercorrere tra le diverse tipologie di costi ambientali e il loro ammontare complessivo: sostenendo maggiori costi di prevenzione potrebbero sensibilmente ridursi i costi associati agli insuccessi; rimarrebbero invece pressoché costanti i costi di verifica, essendo legati alle attività di monitoraggio che è necessario continuare a condurre. Ma il cambiamento che interverrebbe nei rapporti di composizione grazie all’aumento dei costi di prevenzione potrebbe dare luogo ad un risparmio più che proporzionale nell’ambito delle altre due categorie di costo per cui, in ultima analisi, risulterebbe inferiore l’ammontare complessivo dei costi che riflettono gli effetti che l’organizzazione esercita sull’ambiente100.

Occorre precisare che il grafico proposto mostra andamenti che non si fondano sulla

COSTI AMBIENTALI COMPLESSIVI

raccolta di dati empirici per cui, qualora venissero condotte delle verifiche sul campo, potrebbero emergere delle differenze rispetto ai trend evidenziati. In ogni caso, si è scelto di adattare la rappresentazione grafica che De Risi propone in Miolo Vitali (2009) con riferimento a un’altra configurazione di costo, rappresentata dai costi della qualità, poiché si ritiene che il concetto illustrato sia analogo, almeno a livello teorico.

Figura 3: relazione tra costi ambientali di prevenzione, di verifica, degli insuccessi e costi ambientali complessivi

Costi degli insuccessi Costi di verifica Costi di prevenzione

COMPOSIZIONE PUNTUALE DEI COSTI AMBIENTALI

Fonte: adattamento da De Risi P. in Miolo Vitali P. (2009), p.191.

2.4.2 Decisioni di product mix

Tra i fattori che è necessario considerare nella scelta dei prodotti di cui spingere la produzione e le vendite (es.: domanda di mercato, vincoli di capacità produttiva, redditività, ecc.) rientrano anche gli aspetti ambientali, di cui il consumatore tiene conto sempre più frequentemente nella scelta dei beni da acquistare.

Un possibile strumento adatto a supportare le decisioni di composizione del portafoglio prodotti tenendo conto anche del grado di ecologicità di questi ultimi è il Margine di Contribuzione Ambientale, appartenente alla famiglia di indicatori di eco-efficienza (v. supra par. 2.2). Esso rappresenta un complemento alla metodologia del Direct Costing poiché vede collocato al numeratore il margine di contribuzione assoluto di un

Obiettivo di eliminazione totale dell’inquinamento

determinato prodotto (dato dalla differenza tra il prezzo unitario e il costo variabile unitario) e al denominatore una qualunque grandezza espressiva dell’impatto ambientale a esso associato, come ad esempio la sua Carbon Footprint101:

Margine di Contribuzione Ambientale = . .

. [2].

Se il margine di contribuzione assoluto esprime ciò che residua dei ricavi di vendita dopo la copertura dei costi variabili per la copertura dei costi fissi (e a seguire per la generazione di profitto), integrando al suo interno la variabile ambientale è possibile estendere la portata informativa dell’analisi e orientare, talvolta diversamente, le decisioni aziendali. L’impresa troverà infatti conveniente spingere le vendite del prodotto che a parità di marginalità assoluta presenta un minore impatto ambientale o, viceversa, che a parità di quest’ultimo è in grado di contribuire maggiormente alla copertura dei costi fissi. L’azienda inoltre sarà incentivata a migliorare tale indice di marginalità relativa (ossia rapportata, appunto, alla dimensione ecologica) dei prodotti cui è particolarmente affezionata realizzando azioni volte a ridurre l’impatto degli stessi sull’ecosistema.

2.4.3 Product Pricing

Una delle funzioni della contabilità analitica è il supporto alla determinazione del prezzo di vendita dei prodotti. Le tecniche più diffuse di Costing for Pricing sono il Cost Plus

Pricing, che prevede la maggiorazione del costo pieno del prodotto di un importo pari al

margine di profitto desiderato (per cui risulta che il prezzo minimo da praticare è pari al costo economico-tecnico, essendo quest’ultimo comprensivo anche degli oneri figurativi) e il Direct Cost Pricing, che prevede la fissazione di un prezzo perlomeno superiore al costo variabile sostenuto per la realizzazione del prodotto in modo tale che la vendita dello stesso apporti comunque un contributo alla copertura dei costi fissi, ossia indipendenti dai volumi di produzione e vendita.

La tradizionale inclusione dei costi ambientali tra i costi generali aziendali e la loro arbitraria imputazione agli oggetti di costo implicano, come già visto, il fenomeno del sovvenzionamento incrociato, ossia la sottostima del costo dei prodotti maggiormente responsabili della generazione dei costi ambientali, con conseguente determinazione di un prezzo di vendita più basso di quello che sarebbe necessario praticare, e la sovrastima

101

L’Impronta di Carbonio rappresenta la quantificazione delle emissioni di gas serra lungo le diverse fasi del ciclo di vita del prodotto. Il riferimento normativo per procedere al suo calcolo è lo standard ISO 14067.

del costo e del prezzo delle produzioni che, impattando meno sull’ecosistema, comportano anche il sostenimento di minori costi ambientali. Entro un quadro così distorto potrebbero risultare profittevoli prodotti che in realtà non lo sono ma che appaiono come tali poiché i costi ambientali che essi generano non gli vengono imputati nella giusta misura e venire invece penalizzati i prodotti migliori dal punto di vista ecologico fino a subire la quotazione di prezzi più bassi da parte della concorrenza. Caricare sul prodotto i costi ambientali ad esso riferiti potrebbe ovviamente rendere lo stesso più costoso. A questo proposito però non bisogna dimenticare che l’eco- compatibilità può rappresentare un elemento di differenziazione che accresce la disponibilità a pagare dei clienti, offrendo all’azienda la possibilità di applicare un premium-price.

L’allocazione dei costi ambientali secondo l’effettiva entità della loro richiesta da parte degli oggetti di costo a sostegno delle politiche di pricing e l’evidenziazione delle cause di sostenimento di quanto altrimenti confluirebbe in “overhead pools”102 rendono il

sistema di calcolo dei costi basato sulle attività (v. infra par. 3.4.1) la metodologia che più si addice alla rilevazione dei costi ambientali.

2.4.4 Supporto alla contabilità generale103

Misurare i costi ambientali non solo consente di tenerne traccia per finalità interne di gestione ma può supportare anche il processo di redazione del bilancio di esercizio, nell’ambito del quale, al pari di tutti gli altri costi, essi risultano classificati per natura. A titolo di esempio, l’acquisizione di consapevolezza in ordine alla variabile ambientale agevola la costituzione di “fondi rischi ambientali” (ovvero le sopramenzionate passività ambientali individuate in base al criterio di classificazione fondato sulla causa di sostenimento dei costi) nel momento in cui si ritiene che l’attività produttiva possa determinare o aver determinato offese all’ambiente di cui l’azienda sarà tenuta probabilmente o con certezza a rispondere negli esercizi a venire. Qualificabili come costi ambientali sono quindi gli accantonamenti operati a copertura di passività che avranno esistenza certa, ma indeterminata nell’ammontare e nel momento di manifestazione (ad esempio nel caso di avvenuta contaminazione di un corso d’acqua per la quale però l’autorità giudiziaria non ha ancora provveduto a stabilire la relativa sanzione) oppure

102

Cit. Ditz D. et al. (1995), p.9.

solo probabile (come nel caso del rimborso dei prodotti venduti qualora ne venisse accertata l’impossibilità di utilizzo a causa della pericolosità ambientale dei materiali componenti).

Un altro esempio di come la contabilità dei costi ambientali presenti dei legami con i processi di rilevazione propri della contabilità generale è rappresentato dalla possibilità di capitalizzare nell’attivo patrimoniale i costi sostenuti allo scopo di apportare miglioramenti strutturali nella gestione ambientale aventi utilità pluriennale. Coerentemente con la caratteristica di addizionalità dei costi ambientali, il Legislatore stabilisce che gli investimenti ambientali vengano calcolati secondo l’approccio incrementale, che separa la quota parte dell’investimento destinata all’ottenimento di migliorie ambientali dalla restante parte avente diversa finalità104.

È inoltre necessario procedere, in caso di dichiarazione di nocività per l’ambiente di materie prime o prodotti finiti o di bonifica di terreni dell’azienda in conseguenza di una loro contaminazione causata dall’attività produttiva, alla consueta svalutazione per perdite durevoli di valore.

2.4.5 Incremento di valore per clienti ed azionisti

La finalità ultima dell’impresa è la creazione di valore, ossia la generazione di nuova ricchezza allo scopo di remunerare congruamente le attese dei soggetti portatori di interessi nei confronti dell’azienda in modo da garantire la sopravvivenza e il successo duraturi della stessa.

In generale, “il valore di un oggetto corrisponde al sacrificio che si è disposti a sopportare per acquisirne la disponibilità e che è funzione dei benefici che si ritiene di poter trarre da esso”105. Quando si parla di creazione di valore tuttavia è necessario precisare il

soggetto di riferimento poiché, a fronte del loro apporto, le diverse categorie di stakeholders (azionisti, finanziatori, prestatori di lavoro, clienti, ecc.) nutrono diverse attese di remunerazione. In particolare, occorre distinguere tra:

valore per il cliente, rappresentato dalla sua disponibilità a pagare (prezzo) che è funzione della qualità del prodotto/servizio (sebbene egli auspichi l’acquisto di un bene di qualità a un prezzo contenuto);

valore per l’azionista, rappresentato dall’apprezzamento del capitale che egli ha

104

Cfr. Mio C. (2002), pp.100-106.

investito nell’impresa.

Costi ambientali e creazione del valore si collocano entro un circolo virtuoso in cui “doing good”, attraverso una buona gestione della variabile ambientale attuata anche grazie al supporto delle relative informazioni di costo, permette all’azienda di conseguire risultati economico-finanziari soddisfacenti e quindi i mezzi “to do better”106. In altri

termini, una buona performance ambientale è fonte di valore poiché influenza positivamente il profitto107.

Si parla di creazione di valore per il cliente, ossia di incremento del valore monetario che egli è disposto a spendere pur di acquistare un certo bene, quando vengono migliorate le prestazioni di quest’ultimo oppure ridotti gli oneri e i costi a carico del primo associati al consumo e allo smaltimento dello stesso. Più volte nel corso della trattazione si è menzionato l’attributo dell’eco-compatibilità come leva di differenziazione e motivo di pratica di prezzi più elevati rispetto alla concorrenza.

Per quanto riguarda invece lo shareholder’s value, lo studio condotto da Passetti et al. nel 2014 rivela che nelle aziende aventi riconosciuto l’importanza dell’environmental accounting i risparmi di costo che è possibile conseguire operando secondo eco-efficienza contribuiscono ad incrementare il valore creato per gli azionisti in quanto una riduzione nei costi a parità di ricavi conduce a maggiori profitti e quindi, a parità di tasso di rischio, a un più consistente valore del capitale investito108. In chiave di lettura inversa,

Schaltegger e Figge considerano il valore per gli azionisti “as a measure to judge the economic effects of environmental management activities of the company”109.

È possibile concludere quindi che è anche nell’interesse degli azionisti conseguire una buona performance ambientale e che, stando a quanto affermato finora, l’adozione di strumenti di contabilità dei costi ambientali (e, in generale, rientranti nel framework dell’EMA) non può che agevolare il raggiungimento di tale obiettivo.

106Cfr. Martin J. et al. (2009), p.111. 107Cfr. Martin J. et al. (2009), p.115. 108

Cfr. Passetti E. et al. (2014), p.304.

3. I SISTEMI DI COSTING NELLE PICCOLE E MEDIE