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3. I SISTEMI DI COSTING NELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

3.2 Tratti distintivi delle piccole e medie imprese

Sebbene siano i parametri quantitativi stabiliti dal Legislatore e illustrati nel paragrafo precedente quelli ad essere normalmente utilizzati per qualificare le pmi come tali, dato che l’appartenenza alla categoria comporta anche la possibilità di beneficiare delle agevolazioni fiscali e finanziarie appositamente pensate per le aziende che vi rientrano, per cui è logica l’esigenza di discriminare le classi dimensionali secondo criteri certi e precisi, è possibile cogliere la limitatezza dell’estensione di un’impresa anche solo riscontrando in essa quelle peculiarità istituzionali, organizzative e gestionali tipiche delle pmi. Nel presente paragrafo viene pertanto presentata una panoramica degli aspetti caratteristici generalmente rintracciabili nell’ambito delle aziende di ridotte dimensioni e ritenuti da Barretta (1999) ancor più opportuni dei parametri quantitativi nel trattare del problema definitorio della piccola e media impresa poiché “influenzanti il modo di operare delle unità economiche”116 che si collocano entro uno stesso raggruppamento

dimensionale.

Il primo aspetto da segnalare riguarda la prevalenza dell’imprenditorialità rispetto

all’approccio manageriale alla gestione, da cui consegue spesso una possibile

commistione tra obiettivi dell’impresa e interessi personali del soggetto economico. L’imprenditore tende infatti ad accentrare presso di sé la totalità delle decisioni e a condurre l’attività secondo uno stile direzionale autoritario essendone spesso anche il principale finanziatore.

Questo aspetto si collega anche ai risultati di alcuni studi empirici riportati da Barretta (1999), secondo i quali coloro che avviano una nuova realtà aziendale spesso vantano alle spalle un’esperienza lavorativa pluriennale come dipendenti presso imprese operanti nel medesimo settore di attività, cosa che consente loro di formarsi quel bagaglio di conoscenze e competenze cui attingono nel gestire pragmaticamente e in prima persona qualunque tipo di problematica.

In termini organizzativi, tutto ciò implica che nell’ambito delle pmi risultano prevalentemente diffuse strutture elementari che vedono la generale assenza di figure manageriali cui affidare responsabilità gestionali e la presenza di soli organi esecutivi che dipendono direttamente dalla figura centrale dell’imprenditore, il quale non si occupa esclusivamente dell’attività decisionale e di gestione strategica (che segue, come già

115

Cfr. Barretta A. (1999) e Arcari A. (2004).

emerso, una logica top-down) bensì risulta spesso coinvolto al pari dei suoi collaboratori in molteplici attività operative (produzione, gestione delle relazioni con i fornitori, commercializzazione, amministrazione, ecc.), motivo per cui si parla di “multi-functional

role”dell’imprenditore.

Una seconda caratteristica che occorre sottolineare ha a che fare con l’irrilevanza della

delega decisionale che consegue sia alla mancata precisa definizione dei compiti che

all’accentramento della gestione cui si è appena fatto riferimento.

Il processo di delega non va confuso con l’assegnazione di compiti ma consiste nel decentrare l’assunzione di decisioni (e relative responsabilità) aventi ripercussioni sull’attività aziendale a membri dell’organizzazione che abbiano a disposizione i mezzi necessari per procedere in tal senso. In questi termini, la delega decisionale è tipica delle aziende in cui si assiste alla separazione tra proprietà e controllo, che viene quindi affidato ai manager. Come affermato dall’economista Peter Drucker (1909-2005) infatti, “il management è il conseguimento di obiettivi tramite terzi”.

Nelle aziende di ridotte dimensioni questo non avviene; al più, come sostenuto da Barretta, si assiste a una forma di “pseudo-decentramento” in cui l’imprenditore si limita ad assegnare ai suoi collaboratori attività per lo più di natura operativa da svolgere secondo le direttive dal primo stabilite.

Peraltro, l’affidamento di incarichi più complessi e delicati tende a interessare i dipendenti nei confronti dei quali l’imprenditore nutre una certa fiducia in conseguenza della loro consolidata esperienza in azienda o, comunque, del suo giudizio favorevole nei confronti della persona.

I rapporti interpersonali nelle pmi sono infatti caratterizzati da un’elevata informalità; tra i fattori che concorrono allo sviluppo di un clima familiare tra i membri dell’organizzazione (incluso l’imprenditore o i soci che prestano il loro lavoro in azienda, qualora questa sia esercitata in forma collettiva) attraverso la creazione di punti di contatto e occasioni di socializzazione, si ricordino:

il fatto che spesso si tratta di aziende a conduzione familiare o, comunque, di ambienti lavorativi che vedono coinvolte conoscenze dirette del titolare;

la minore rigidità e formalità del processo di selezione del personale rispetto a quanto avviene nelle aziende di maggiori dimensioni;

la tendenza alla cura dell’addestramento dei neo-assunti da parte del personale più datato e quindi più esperto;

In conseguenza di quanto affermato sinora, è la condivisione dei valori che l’imprenditore si impegna a trasmettere ai suoi collaboratori a garantire che l’agire individuale e organizzativo sia coerente con gli obiettivi del soggetto economico per cui, a differenza di quanto avviene nelle grandi imprese in cui il controllo di gestione svolge in primo luogo funzioni di indirizzo dei comportamenti, incentivazione e responsabilizzazione del personale attraverso il monitoraggio di parametri – obiettivo, nelle pmi esso si limita a svolgere una mera funzione informativa a supporto delle decisioni mentre le forme di controllo sulla condotta che tendono a prevalere sono il controllo del personale e della cultura interna, ossia modalità di controllo di tipo sociale improntate sulla comunicazione e sulla diffusione di una cultura condivisa, volte a far sì che i dipendenti si controllino autonomamente e reciprocamente e siano indotti a svolgere bene il proprio lavoro117. In contesti dove la meritocrazia poggia sulla

compatibilità tra le attitudini e i comportamenti dei singoli con i valori e i principi etici propri dell’imprenditore infatti non occorre che il sistema di incentivazione o “punizione” sia rigorosamente basato sul calcolo di indicatori di performance che esprimano in termini economico-finanziari il grado di raggiungimento di obiettivi prestabiliti.

Un’ulteriore ragione alla base della generale assenza di strumenti formali di

programmazione e controllo nelle pmi risiede nella scarsa presenza entro la funzione

amministrativa di personale qualificato; ciò è dovuto alla tendenziale incapacità da parte di tali aziende di offrire interessanti percorsi di carriera e profili remunerativi al pari delle aziende di maggiori dimensioni e quindi di attirare a sé figure professionali dotate di competenze elevate.

Per questo stesso motivo si assiste di frequente all’esternalizzazione dei servizi amministrativi o, comunque, alla generale limitazione alla tenuta della contabilità generale e alla redazione del bilancio di esercizio che, come visto precedentemente, in presenza dei requisiti di cui agli artt.2435-bis e 2435-ter del Codice civile, può essere redatto in forma abbreviata.

Dal punto di vista finanziario si riscontrano numerosi casi di sottocapitalizzazione, ossia di scarsa autonomia finanziaria e quindi forte dipendenza dai terzi finanziatori, situazione questa talvolta imputabile alla presenza di uno o, comunque, pochi soggetti detentori del capitale di rischio, che per giunta mostrano spesso una tendenziale avversione all’allargamento della compagine sociale.

117Cfr. Marchi L. et al. (2013), pp.18-25.

Tutto questo fa sì che le piccole aziende debbano lottare pur di mantenere inalterate le proprie condizioni di equilibrio finanziario dato che la ridotta disponibilità di mezzi propri comporterebbe l’incontro di maggiori difficoltà qualora si dovesse rendere necessario reperire nuovi finanziamenti che, se ottenuti, lo saranno a un costo maggiore conseguentemente al più alto tasso di rischio.

La carenza di risorse finanziarie limita le opportunità di sviluppo delle pmi che restano ancorate al proprio core business, continuando cioè a concentrare gli sforzi entro l’ambito competitivo che origina l’ammontare di profitti più consistente, e si colloca a sua volta all’origine della limitatezza di risorse umane e tecnologiche. Un’azienda che non dispone di ingenti mezzi monetari infatti non può permettersi di innalzare al di là dell’indispensabile il numero di salari e stipendi da corrispondere né vanterà, come affermato poc’anzi, figure professionali aventi percorso un cammino di formazione particolarmente qualificante poiché ovviamente queste richiederebbero un profilo remunerativo adeguato, dovendosi accontentare quindi di adattare i collaboratori di cui dispone allo svolgimento, secondo le esigenze, di svariate attività senza che vi sia, come già visto, una precisa definizione dei compiti e delle responsabilità.

Allo stesso modo, le scarse risorse finanziarie condizionano fortemente le possibilità di avvicinamento delle pmi alle sofisticazioni tecnologiche; in particolare, ad essere penalizzati dalla generale presenza di componenti hardware e software a basso costo sono soprattutto i sistemi di elaborazione elettronica dei dati, con conseguenti difficoltà di integrazione informativa tra le diverse aree di gestione (produzione, ufficio commerciale, magazzino, amministrazione, ecc.).

Per quel che riguarda le principali criticità gestionali, si ravvisa nelle pmi un prevalente

orientamento all’orizzonte temporale di breve periodo in conseguenza del fatto che ciò

che interessa più di ogni altra cosa all’imprenditore nella quotidianità operativa è la disponibilità di mezzi liquidi per assolvere agli impegni di pagamento nei confronti dei fornitori.

Ecco quindi che nelle realtà aziendali di minori dimensioni si assiste a un frequente

apprezzamento in chiave strategica delle decisioni operative. In altri termini, quelle che

nelle grandi aziende sono tipicamente considerate problematiche che, a meno che non vengano cumulate tra loro, non eserciteranno una forte influenza nel medio – lungo termine sull’immagine aziendale né sui rapporti con fornitori e clienti abituali (si pensi, ad esempio, all’accettazione o meno di un ordine speciale o alla scelta tra l’acquisto esterno o la realizzazione interna di un componente necessario ai fini della produzione di

un determinato lotto), nelle pmi richiedono un’attenta valutazione economica che vada oltre l’orizzonte temporale di breve periodo e la considerazione delle loro ripercussioni sul piano strategico, poiché in grado di condizionare la formazione del profitto118.

È opportuno sottolineare inoltre come nell’ambito delle aziende di minori dimensioni sia diffusa la tendenza a operare al limite della saturazione della capacità produttiva, che in generale può essere definita come la quantità di output ottenibile dall’impiego di una risorsa (o di un insieme di risorse) nell’arco temporale prestabilito. Ciò significa che prima di procedere, ad esempio, con l’assunzione di un nuovo addetto o l’acquisto di un nuovo macchinario, l’azienda cercherà di sfruttare al massimo le risorse di cui dispone spingendo il livello di attività fino a un livello di compatibilità con la capacità di utilizzo delle stesse.

Ma non sono solo le peculiarità intrinseche alle pmi, ossia derivanti dal loro assetto istituzionale e organizzativo, bensì anche le caratteristiche dell’ambiente competitivo nel quale esse si collocano a influenzare il loro modo di operare e, nel caso specifico, a lasciar passare spesso in secondo piano la gestione della variabile ambientale.

A questo proposito, se da un lato la maggiore elasticità strutturale che le pmi presentano rispetto alle aziende di maggiori dimensioni garantisce loro anche una maggiore

flessibilità, intesa come prontezza di risposta al cambiamento, dal momento che minore

è la rigidità che caratterizza la struttura degli impieghi e minori saranno anche le difficoltà che si incontreranno di fronte all’eventuale esigenza di smobilizzo, dall’altro sono

limitate le capacità di difesa che le stesse possono vantare dinanzi alle minacce di

concorrenti più forti.

Nonostante le possibilità di specializzazione in ambiti particolari infatti, cosa che determina solitamente il perseguimento da parte delle pmi di strategie di focalizzazione in una determinata nicchia, esse presentano una quota di mercato relativamente bassa per cui è difficile che un’azienda di estensione limitata possa ricoprire una posizione di dominanza nel settore complessivo di appartenenza.

In ogni caso, l’elemento su cui le pmi possono far leva nel fronteggiare le pressioni competitive è l’elevata capacità innovativa che le contraddistingue e che si accompagna alla già accennata flessibilità.

La concorrenza tuttavia non rappresenta l’unica minaccia per la sopravvivenza delle aziende di minori dimensioni in quanto esse detengono uno scarso potere contrattuale

118Cfr. Arcari A. (2004), p.27.

nei confronti di fornitori, clienti, distributori, istituti di credito e si mostrano vulnerabili di fronte ai provvedimenti delle istituzioni pubbliche. Si pensi, ad esempio, alle difficoltà che potrebbero derivare dall’introduzione di una normativa fiscale più stringente o alle ripercussioni negative sulle vendite in conseguenza di inaspettati cambiamenti nei gusti dei consumatori. Allo stesso modo risulta evidente la limitatezza del potere negoziale detenuto dalle pmi nei confronti dei fornitori se si pensa che lo stesso può essere commisurato alla capacità di una delle due parti di fare a meno della transazione. Sempre a titolo di esempio è possibile riportare la condizione di subordinazione in cui versano le piccole aziende che raggiungono il cliente finale passando attraverso la grande distribuzione: in simili circostanze accade spesso che le piccole imprese vedano dedicare ai propri prodotti spazi limitati sugli scaffali, essendo ad essi preferiti i marchi di aziende più grandi e conosciute allo scopo, per i venditori, di ottenere il maggior rendimento dagli spazi occupati e mancando inoltre solitamente per le prime la disponibilità di liquidità sufficiente perché possano venire corrisposte delle somme di denaro note come “slotting

allowances” proprio per accaparrarsi l’accesso agli scaffali119.

Lo scarso potere negoziale nei confronti delle banche invece è già emerso precedentemente quando si è fatto riferimento alle difficoltà che le pmi sottocapitalizzate spesso incontrano nel reperire nuovi finanziamenti e agli elevati tassi di interesse applicati nel momento in cui i ridotti mezzi propri lascerebbero aumentare il rischio di incapacità di assolvere alle obbligazioni nei tempi e negli importi dovuti.

Come emerso dalla lettura del presente paragrafo, le pmi presentano una serie di caratteristiche distintive non solo dal punto di vista istituzionale e organizzativo ma anche sotto il profilo gestionale e competitivo che permettono di condividere l’affermazione di Welsh e White secondo cui “una piccola impresa non è una grande impresa di piccole dimensioni”120. Conseguentemente, anche gli strumenti manageriali, primi tra tutti i

sistemi di costing, “non devono essere mutuati acriticamente dalle grandi realtà aziendali, ma al contrario devono essere progettati e realizzati avendo presenti le specificità […] delle imprese di minori dimensioni”121. L’obiettivo è infatti quello di disporre a un costo

ragionevole di informazioni contabili utili ai decision – makers per finalità interne di gestione (tra cui l’informazione di costo ambientale), cercando di avvicinare le due

119Cfr. Hall O.P. et al. (2011), p.12.

120 Tale affermazione costituisce il titolo della pubblicazione degli Autori sulla rivista “Problemi di

gestione”, anno XIII, n°6.

variabili di accuratezza e gestibilità del sistema (v. supra par. 1.4).

3.3 Come le caratteristiche delle piccole e medie imprese si riflettono sui loro