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Meccanismi di diffusione dell’Internal Environmental Cost Accounting nelle piccole e medie imprese

4. L’INFORMAZIONE DI COSTO AMBIENTALE NELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

4.1 Meccanismi di diffusione dell’Internal Environmental Cost Accounting nelle piccole e medie imprese

L’Internal ECA (v. supra par. 1.4) rappresenta una tecnica manageriale, ossia un insieme di metodi e procedure finalizzati all’ottenimento di un determinato risultato, rientrante nell’ambito di una più ampia forma di tecnologia, l’EMA, che combina conoscenze teoriche e strumenti allo scopo di collegare gestione ambientale e risultati economici146.

È possibile perfezionare questa affermazione aggiungendo che si tratta di una tecnica manageriale innovativa, se si considerano il fatto che le sue prime applicazioni risalgono alla fine degli anni Novanta147 nonché i suoi attuali bassi tassi di adozione, specialmente

tra le pmi.

Di conseguenza è lecito chiedersi secondo quali meccanismi avvenga la diffusione della tecnica manageriale in questione nell’ambito delle aziende di minori dimensioni tenendo al contempo presente che, nell’indagare i fattori che spingono all’adozione di una tecnica innovativa, non si può prescindere dalla considerazione di quegli aspetti che, sul piano pragmatico, la ostacolano o, addirittura, inducono un’organizzazione ad abbandonarla dopo qualche tempo.

Vi sono almeno due distinti approcci alle dinamiche dell’adozione (o del rifiuto) delle tecniche manageriali da parte delle aziende:

la teoria delle scelte basate sull’efficienza (v. infra par. 4.1.1); la teoria istituzionale (v. infra par. 4.1.2).

Secondo la prima teoria, la diffusione di tecniche manageriali innovative deriva dalla necessità di “affrontare e risolvere nuovi e più complessi problemi decisionali”148. Ciò

implica che una certa tecnica verrà adottata nel momento in cui essa risulterà all’impresa, intesa come agente razionale, tecnicamente e/o economicamente efficiente nel colmare

146Cfr. Rikhardsson P. et al. (2005), p.2. 147

Cfr. Marelli A. in Mitchell F. et al. (2013), p.330 e Rikhardsson P. et al. (2005), p.4.

gap tra obiettivi prefissati e correntemente ottenibili149.

Per quanto l’ECA (inteso sempre come rivolto alla misurazione dei soli costi privati) sia effettivamente in grado di influenzare positivamente la performance economico – finanziaria dell’azienda sia in maniera diretta che indiretta, come verrà ripreso nel prosieguo del paragrafo, non è la cosiddetta “efficient-choice perspective” ad essere ritenuta in questo lavoro il meccanismo principale attraverso il quale avviene la diffusione della rilevazione dei costi ambientali nell’ambito delle pmi. L’ipotesi avanzata infatti è quella per cui le pmi tendano ad avvicinarsi (ancora relativamente in poche) alla tecnica manageriale in questione non tanto per ragioni riconducibili alla teoria dell’eco-efficienza (v. supra par. 2.2), come sarebbe desiderabile, quanto più per la ricerca di legittimità all’interno del contesto sociale in cui operano. In questo senso, la diffusione dell’ECA nell’ambito delle aziende di minori dimensioni viene vista come soggetta al fenomeno dell’ “isomorfismo” che, nelle sue diverse accezioni, determina l’omogeneizzazione tra le imprese e, più in generale, le organizzazioni.

Come emerge dai contributi offerti il letteratura da Di Maggio e Powell (1983), Abrahamson (1991) e altri Autori neo-istituzionalisti infatti, occorre affiancare alla teoria delle scelte basate sull’efficienza un secondo tipo di approccio in quanto le organizzazioni, al pari di tutte le altre istituzioni sociali, tendono a imitarsi tra loro in conseguenza di pressioni esterne esercitate da soggetti detentori di potere, condizioni di incertezza di contesto o semplici mode che determinano i meccanismi isomorfici che nell’interpretazione di Abrahamson (1991) vanno, rispettivamente, sotto il nome di “forced-selection prespective”, “fad perspective” e “fashion perspective” (Tab.1).

Tabella 1: meccanismi di diffusione (e rifiuto) di tecniche manageriali innovative

Fonte: Abrahamson E. (1991), p.591.

149Cfr. Abrahamson E. (1991), pp.592-593.

Nei sotto-paragrafi successivi, dopo aver dedicato uno spazio alla efficient-choice perspective rispetto all’informazione di costo ambientale (il cui approfondimento è comunque ritenuto necessario) e illustrato quelli che sono i meccanismi per cui si sostiene, nell’ambito del presente elaborato, che l’ECA tenda attualmente a diffondersi entro le realtà aziendali di minori dimensioni, si farà riferimento alle ragioni per cui, nonostante tale molteplicità di percorsi teorici, siano ancora relativamente poche le pmi che procedono alla rilevazione dei costi ambientali. In altri termini, il tema della diffusione dell’ECA nelle pmi deve essere guardato attraverso una duplice lente: la teoria istituzionale che la favorisce da un lato e le barriere tecniche che la ostacolano dall’altro.

4.1.1 La teoria delle scelte basate sull’efficienza

Nell’ambito del primo approccio all’adozione delle tecniche manageriali si sostiene che, data la limitatezza delle risorse, gli agenti razionali scelgano l’innovazione che consentirà loro di realizzare nel modo più efficiente gli output necessari al raggiungimento dei propri obiettivi. Ciò fa sì che una tecnica manageriale inefficiente nel colmare gap di performance non venga mai adottata e, per contro, una tecnica efficiente non venga mai respinta150.

Osservando quindi la rilevazione dei costi ambientali da questa prospettiva, Marelli (2013) sostiene che “l’adozione della MEMA (si ricordi che l’ECA rientra nella componente monetaria dell’EMA) può essere presa in considerazione allo scopo di permettere alle aziende di conseguire i propri obiettivi, ridurre il rischio ambientale e sociale e migliorare una scarsa performance economica” coerentemente con i principi dell’eco-efficienza.

Per di più, l’influenza positiva della rilevazione dei costi ambientali sulla performance economico – finanziaria dell’azienda è esercitata sia direttamente che indirettamente in quanto tale tecnica permette sia di conseguire risparmi entro la struttura di costo esistente (si pensi ai già visti vantaggi connessi a decisioni di product mix o politiche di pricing che tengano conto anche degli aspetti ambientali) sia di identificare aree di miglioramento entro le quali implementare iniziative ambientali (es.: riprogettazione di prodotto e di processo ispirata a principi ecologici, sostituzione di materiali, riciclo, ecc.) che conducono a una nuova struttura di costo in quanto fondate sul ridisegno della catena del valore e sul ripensamento della value proposition per il cliente. Ciò significa che

l’adozione dell’ECA, funge da catalizzatore non solo di miglioramenti di efficienza nel breve periodo con un impatto diretto sulla performance economico – finanziaria, ma anche di attività di cost management strutturale che rappresentano l’anello di congiunzione tra la rilevazione dei costi ambientali stessa e la performance economico- finanziaria di lungo periodo151, come sintetizzato nello schema seguente:

Figura 1: relazione tra ECA, gestione strategica dei costi e performance economico-finanziaria

Cost management Cost management

operativo strutturale Performance Rilevazione dei Implementazione di economico-finanziaria costi ambientali iniziative ambientali

Fonte: adattamento da Henri J.-F. et al. (2016), p.271.

Dalla ricerca empirica condotta da Henri et al. (2016) su un campione di aziende canadesi operanti nel settore manifatturiero emerge che l’influenza positiva che l’ECA esercita sulla performance economico – finanziaria può essere attribuita per l’80% all’effetto diretto e per il restante 20% all’effetto indiretto, mediato dall’implementazione di iniziative ambientali.

Secondo la efficient-choice perspective si ritiene quindi che la rilevazione dei costi ambientali debba essere condotta in quanto, favorendo l’individuazione di aree di intervento che possono riguardare, ad esempio, l’efficienza nei consumi di materiali ed energia, l’uso di risorse rinnovabili, il corretto smaltimento dei rifiuti, il riciclo degli scarti e dei prodotti a fine vita, ecc., risulta utile nel colmare i gap rilevati tra la performance potenziale e i risultati ottenibili allo stato attuale.

Sarebbe certamente auspicabile che fosse questo il principale meccanismo di diffusione presso le pmi della contabilità ambientale analitica, ossia il riconoscimento della validità dell’ECA dal punto di vista tecnico ed economico a favore della tutela del patrimonio naturale e dell’economicità aziendale ma, come già anticipato, in questa sede viene avanzata un’ipotesi diversa in quanto non sono stati ancora considerati alcuni fattori che

151Cfr. Henri J.-F. et al. (2016), pp.271-273.

intervengono nel processo di adozione (o rifiuto) di tecniche manageriali innovative. A questo proposito, è possibile condurre almeno tre osservazioni che contrastano l’esaustività della efficient-choice perspective e che permettono quindi di sviluppare oltre l’analisi:

anzitutto è ben possibile che l’ECA (così come le altre tecniche di EMA in generale) non vada a rimpiazzare alcuna tecnica precedente, ipotesi ancor più plausibile entro le aziende di minori dimensioni dove i sistemi di contabilità dei costi, se presenti, risultano particolarmente semplici (come visto nel capitolo precedente), quando invece un modo per valutare l’efficienza tecnica e/o economica di un’innovazione e decidere quindi se adottarla o respingerla consiste proprio nel confrontarla con l’attuale modus operandi152;

in secondo luogo, occorre notare come la efficient-choice perspective si fondi sull’ipotesi per cui le organizzazioni appartenenti ad uno stesso gruppo siano perfettamente in grado di scegliere le tecniche da adottare in maniera libera e indipendente dalle organizzazioni esterne al gruppo. In realtà, come verrà approfondito successivamente, queste ultime possono essere dotate di un potere, più o meno forte, di influenza (si veda l’ultima riga della Tabella 1);

allo stesso modo, l’altra ipotesi su cui poggia il primo approccio, difficilmente riscontrabile nell’ambiente competitivo entro cui si collocano le pmi, riguarda l’assenza di incertezza da parte delle organizzazioni in ordine ai propri obiettivi nonché alle condizioni di contesto dove operano (si veda l’ultima colonna della medesima tabella); occorre invece ricordare che la razionalità che caratterizza gli agenti economici (e quindi anche le organizzazioni aziendali) è limitata poiché tali sono la conoscenza e la capacità prospettica per cui, maggiori sono le condizioni di incertezza (ossia minore è il grado di controllabilità dell’ambiente in cui l’impresa opera), e più il processo decisionale inerente l’adozione o il rifiuto di una certa tecnica manageriale tenderà a spostarsi da logiche ottimizzanti a logiche incrementali (ossia per soluzioni successive) fino a logiche imitative in cui i terzi svolgono un ruolo fortemente condizionante153.

Lungi dall’operare rigide generalizzazioni, come già avvenuto su altri punti nel corso della trattazione, la tesi sostenuta non intende quindi escludere la possibilità che

152

Cfr. Rikhardsson P. et al. (2005), pp.4-5.

l’adozione dell’ECA da parte delle pmi possa avvenire anche secondo la efficient-choice perspective (anche nota come “prospettiva della domanda”154), tant’è che anche

Rikhardsson et al. (2005) sostengono che “the efficient-choice theory might thus explain some cases of EMA adoption […]”; si ritiene tuttavia, ancora una volta, che non sia questo il principale meccanismo di diffusione dell’ECA nell’ambito delle pmi ma si ipotizza che quest’ultima avvenga secondo logiche che trovano fondamento nella teoria istituzionale, di seguito illustrate.

4.1.2 La teoria istituzionale155

Non è detto che le scelte di un’organizzazione rispondano sempre a criteri di efficienza e che siano guidate dal desiderio di migliorare la performance; come sostenuto da Di Maggio e Powell (1983) infatti, “organizations compete not just for resources and customers, but for political power and institutional legitimacy, for social as well as economic fitness”. Ne deriva un processo di imitazione e quindi di omogeneizzazione tra le imprese che va sotto il nome di “isomorfismo istituzionale”, il quale si contrappone all’“isomorfismo competitivo”, corrispondente alla efficient-choice perspective di cui sopra.

Il concetto di isomorfismo è stato oggetto di studi sociologici già a partire dagli anni ’60 del secolo scorso; Hawley lo definì come “un processo vincolante che induce un’unità di

una popolazione ad assomigliare alle altre unità che fronteggiano le medesime condizioni di contesto”156.

È possibile distinguere entro l’approccio di Di Maggio e Powell tra tre diverse accezioni di isomorfismo, rispettivamente corrispondenti alle già citate forced-selection, fad e fashion perspectives dell’approccio di Abrahamson, ossia:

isomorfismo coercitivo, derivante dalle pressioni esercitate da soggetti detentori

di potere politico come agenzie governative, organizzazioni commerciali e così via;

isomorfismo mimetico, risultante come forma di risposta all’incertezza che

generalmente caratterizza le condizioni di contesto in cui le imprese operano;

isomorfismo normativo, derivante dall’influenza delle istituzioni di formazione

154Cfr. Cinquini L. et al. (2011), p.13 e Abrahamson E. (1991), p.592. 155

Cfr. Di maggio P.J. et al. (1983), pp.147-160.

professionale (università e business schools), delle reti professionali che si collocano trasversalmente rispetto alle organizzazioni (società di consulenza), dei management gurus nonché dei business mass media, ossia dei cosiddetti “soggetti ispiratori delle mode (management fashion setters)”.

Nonostante le differenze che intercorrono tra i sopraelencati meccanismi isomorfici, occorre tenere presente che gli stessi non si escludono reciprocamente per cui si potrebbero riscontrare delle situazioni in cui una certa tecnica manageriale tenda a diffondersi secondo processi isomorfici complementari157.

Più nel dettaglio, l’isomorfismo coercitivo risulta dalle pressioni formali e informali esercitate, sotto forma di norme, atti di persuasione o inviti, sulle organizzazioni dalle organizzazioni da cui dipendono nonché dalle aspettative culturali del contesto sociale dove sono collocate. Gli Autori riportano l’esempio dei gruppi di imprese, dove le controllate finiscono per dover adottare gli stessi strumenti di contabilità direzionale della controllante, non necessariamente dietro imposizione, ma poiché persuase dal bisogno di garantire una certa compatibilità con quest’ultima e con la sua politica.

Questo meccanismo corrisponde alla forced-selection perspective secondo cui organizzazioni detentrici di potere esterne all’impresa esercitano pressioni politiche che inducono quest’ultima all’adozione (o al rifiuto) di una determinata tecnica manageriale innovativa quando i loro interessi e le loro preferenze spingono in questa direzione. Secondo Jamil et al. (2015), autori di uno studio empirico condotto su un campione di pmi malesi, la coercizione rappresenta un fattore essenziale ai fini della diffusione delle pratiche di EMA tra le aziende di minori dimensioni; gli Autori sostengono infatti che a un intervento più consistente in tal senso da parte del governo locale conseguirebbe il superamento di molte delle barriere alla loro adozione. Tuttavia, andando a contestualizzare la rilevazione dei costi ambientali nel nostro Paese, occorre ricordare che tale processo rientra nell’ambito della contabilità analitica che, a differenza della contabilità generale, non è obbligatoriamente prevista dal Legislatore per cui si ritiene che la strada della coercizione rappresenti, tra i meccanismi isomorfici, quello meno in grado di spiegare la diffusione dell’ECA tra le pmi.

Non resta quindi che ipotizzare che le pmi che procedono alla rilevazione dei costi ambientali lo facciano prevalentemente seguendo l’esempio di aziende all’avanguardia, riconosciute come le “best in class” all’interno del settore, oppure sotto l’influenza dei

soggetti ispiratori delle mode nei confronti dei quali le aziende nutrono una certa fiducia, anche senza una piena comprensione dell’essenza della tecnica in questione.

In condizioni di incertezza infatti, seguire l’esempio di un leader riconosciuto o il consiglio delle migliori business schools può risultare, anche sotto il profilo economico, il corso d’azione più razionale158.

Si parla quindi di isomorfismo mimetico (o di managerial fad) quando, in presenza di ambiguità di obiettivi, scarsa comprensione delle logiche di funzionamento delle tecniche manageriali e generale incertezza di contesto, un’organizzazione tende a modellarsi sulle organizzazioni che percepisce come più legittimate nel suo campo o alle quali è riconosciuto un maggior successo.

In letteratura sono state teorizzate molteplici spiegazioni a questo fenomeno: alcuni Autori (tra cui lo stesso Abrahamson) sostengono che le imprese spesso imitano i propri concorrenti adottando le medesime innovazioni nel timore che essi possano trarre dallo sfruttamento di queste ultime un vantaggio competitivo (in realtà, questa tesi è parte di un più ampio dibattito che vede anche altre posizioni159 secondo le quali nel momento in

cui un’organizzazione si rende conto di essere stata imitata e che in conseguenza di ciò il suo vantaggio competitivo si è ridotto, essa potrebbe essere indotta ad adottare tecniche diverse ostacolando così l’omogeneizzazione); altri Autori (tra cui Di Maggio e Powell) invece, attribuiscono il processo imitativo al desiderio di migliorare la propria reputazione seguendo l’esempio di chi è considerato appunto “un modello da imitare” (anche rispetto a questa prospettiva è stato, per contro, osservato che nel momento in cui un’azienda adotta una tecnica allo scopo di distinguersi rispetto alle imprese dotate di una reputazione più bassa, quanto più essa verrà imitata tanto più il margine reputazionale guadagnato tenderà ad assottigliarsi per cui, la stessa potrebbe essere indotta ad abbandonare quella tecnica e ad adottarne un’altra, interrompendo di nuovo il processo di omogeneizzazione)160.

Quando una tecnica manageriale si diffonde per imitazione o per moda (come verrà a breve illustrato), più che la sua efficienza dal punto di vista tecnico e/o economico viene apprezzata la sua “efficienza simbolica” nel riflettere la ricerca di una risposta all’incertezza e di un mezzo per l’ottenimento di consenso e approvazione da parte delle

158Cfr. Rikhardsson P. et al. (2005), p.6. 159

Si fa qui riferimento a Nystrom P.C. e Starbuck W.H. (1981) e a Carroll G.R. e Hannan M.T. (1989).

varie categorie di stakeholders161.

Sia la fad che la fashion perspective si fondano inoltre sull’ipotesi di influenzabilità di un’impresa nelle sue scelte in condizioni di incertezza. Si parla tuttavia di managerial fad quando la diffusione di una innovazione avviene, come già visto, per imitazione delle tecniche di organizzazioni simili dotate di un livello reputazionale elevato; vanno invece sotto il nome di managerial fashion i casi in cui l’imitazione avviene nei confronti dei modelli promossi dalle “fashion – setting organizations” che, pur non essendo dotate di potere coercitivo tale da costringere le imprese ad adottare (o rifiutare) una certa tecnica (a differenza delle organizzazioni governative, commerciali, sindacali, ecc.), sono comunque in grado di ispirare fiducia nei loro confronti e delle tecniche da loro promosse. Si fa qui riferimento pertanto all’ultima accezione di isomorfismo, l’isomorfismo normativo, che scaturisce dal processo di professionalizzazione condotto dai soggetti che ricoprono una stessa posizione lavorativa allo scopo di definire e circoscrivere le metodologie del proprio lavoro. Mentre le figure professionali che operano all’interno di una stessa azienda possono differire fortemente le une dalle altre, le stesse possono infatti mostrare notevoli somiglianze rispetto ai loro pari che lavorano presso altre imprese; questo porta alla formazione di reti professionali trasversali che, unitamente alle istituzioni di formazione e alle società di consulenza, orientano l’evoluzione delle pratiche manageriali creando modelli che prendono ad essere imitati.

Tali modelli potrebbero venire ampiamente condivisi e resistere a lungo nel tempo, finendo quindi per essere accolti tra le “buone pratiche”, oppure potrebbero comportarsi da semplici mode destinate ad essere presto rimpiazzate, a prescindere dalla loro effettiva validità tecnica ed economica.

Come già accennato infatti, vale anche (e soprattutto) di fronte alle mode il concetto di efficienza simbolica, anche detta “efficienza emotiva”162, per cui una certa tecnica

manageriale verrà adottata e continuerà ad essere esercitata fino a che persisterà il convincimento per cui, grazie ad essa, l’impresa risulti più legittimata e rispettabile, in grado di attrarre personale qualificato, così come di ottenere approvazione da parte di clienti, fornitori e istituzioni finanziarie, di concludere contratti e così via.

La teoria istituzionale, lo si ribadisce, non esclude necessariamente la teoria delle scelte basate sull’efficienza; gli studi condotti nel corso degli anni mostrano tuttavia la tendenza

161

Cfr. Abrahamson E. (1991), pp. 596.

a prevalere l’una nelle prime e l’altra nelle ultime fasi del processo di adozione di una certa tecnica manageriale. Abrahamson (1991) sostiene infatti che scelte razionali favoriscano l’adozione di tecniche efficienti soprattutto nelle prime fasi della loro diffusione e che le mode e i processi imitativi favoriscano invece l’adozione di tecniche inefficienti negli stadi tardivi in quanto maggiore è il numero di organizzazioni aventi adottato queste ultime e più consistenti sono anche le pressioni ricevute da quelle che non le hanno ancora adottate e che le spingono a procedere in tal senso, pur non essendone pienamente convinte.

4.1.3 Aspetti pragmatici

Per comprendere appieno il processo di istituzionalizzazione di una tecnica manageriale occorre non prescindere dalla considerazione degli aspetti concreti del cambiamento che potrebbero talvolta risultare tali da ostacolare la stessa163. In presenza di essi la mancata

adozione o, addirittura, l’abbandono delle pratiche di ECA nelle pmi, potrebbero razionalmente risultare la scelta più efficiente.

Se è vero che la mancata adozione da parte di un buon numero di imprese (in particolare piccole e medie, data la loro prevalenza) non agevola la costruzione di una più equilibrata relazione tra aspetti economici e aspetti ambientali rientranti nella loro sfera di influenza, studi empirici dimostrano che alla base di una mancata adozione o di un successivo abbandono delle pratiche di sustainability accounting (o sue sotto-dimensioni, tra cui anche l’ECA) vi sono generalmente problemi di ordine tecnico, organizzativo, psicologico nonché di matrice economica164. Tali fattori sono in gran parte riconducibili

alle caratteristiche distintive delle pmi e dei loro sistemi di costing, viste nel capitolo