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Caratterizzazione meccanica avanzata: le prove a fatica Le analisi finora presentate mostrano che la scelta del bitume modificato,

I materiali legati con bitume: il ruolo del legante nel conglomerato bituminoso

3.2. Materiali e analisi sperimentale

3.2.3. Caratterizzazione meccanica avanzata: le prove a fatica Le analisi finora presentate mostrano che la scelta del bitume modificato,

bitume hard la resistenza a trazione indiretta del campione realizzato con pressa giratoria è sempre notevolmente maggiore di quella del campione compattato con tecnica Marshall.

Ulteriori aspetti dei risultati ottenuti nei test verranno evidenziati più avanti, nel confronto con i dati dell’elaborazione numerica.

3.2.3. Caratterizzazione meccanica avanzata: le prove a fatica

con o senza rest period (intervallo di tempo che intercorre tra due cicli di carico), ottenendo un necessario compromesso tra la semplicità del set-up di prova e la riproduzione della realtà. Per quanto riguarda la temperatura, si osserva che il fenomeno di fatica è preponderante alle temperature medie di esercizio della strada, ragione per cui la prova è generalmente realizzata a temperature variabili tra 0 e 25°C.

Ulteriore aspetto da considerare nel set-up delle prove a fatica è la frequenza:

questa deve poter garantire un compromesso tra le capacità dei macchinari utilizzati e la durata della prova. Inoltre deve essere un parametro il più possibile rappresentativo delle condizioni reali di carico ovvero della velocità più rappresentativa del traffico veicolare. Da questo punto di vista, le frequenze abitualmente utilizzate sono comprese tra 10 e 40 Hz.

In seguito a studi teorico-sperimentali (Di Benedetto e De La Roche, 1996; Di Benedetto e Cortè, 2005), la prova a fatica messa a punto è caratterizzata dall’imposizione di un’onda di carico sinusoidale con frequenza di 16 Hz e ampiezza pari ad una aliquota del carico di rottura per trazione indiretta del corrispondente provino: questa configurazione ha lo scopo di sollecitare il materiale in modo più severo per il legante, che è l’unico elemento in grado di resistere alle tensioni di trazione che si generano nelle pavimentazioni stradali.

La stessa prova risulta di rapida esecuzione e consente l’individuazione in modo univoco della rottura del campione. Le prove sono state eseguite con l’apparecchiatura MTS 810 del Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Parma con il set-up di prova caratteristico di una prova di trazione indiretta, riportato in Figura 3.17, dove gli abbassamenti del campione rispetto alla direzione di carico sono misurati attraverso due trasduttori verticali di spostamento (LVDT). Un estensimetro registra la dilatazione indotta in direzione ortogonale alla direzione di carico.

Figura 3.17 – Allestimento della prova a fatica in configurazione di trazione indiretta.

La temperatura di prova è stata fissata a 25°C. I provini utilizzati sono cilindrici di diametro 100 mm e spessore 40 mm, ottenuti tagliando provini di conglomerato bituminoso compattati a 100 giri mediante pressa giratoria e avendo cura di scartare le parti affette da possibili disturbi derivanti dalla operazione di confezionamento dei provini, come schematizzato in Figura 3.18.

Figura 3.18 – campioni per la prova di fatica e tecnica di rettifica

Nel corso dei test il sistema di acquisizione registra in continuo i valori del carico imposto espresso in kN, il tempo in secondi, il numero di cicli, le letture dei due trasduttori verticali di spostamento espresse in mm e l’allargamento orizzontale del provino in mm.

Particolare attenzione è stata prestata all’ampiezza dell’onda di carico imposta, funzione del relativo valore di carico a rottura per trazione indiretta, ottenuto su formelle di dimensioni analoghe. Ampiezze uguali sono spesso risultate eccessivamente basse per il conglomerato realizzato con bitume modificato hard e contemporaneamente troppo elevate per il conglomerato realizzato con bitume tal quale comportando in quest’ultimo caso fenomeni di plasticizzazione e punzonamento locale che snaturano la tipologia di indagine (Figura 3.19).

Figura 3.19 – Fenomeni di punzonamento nei punti di applicazione del carico.

A questo proposito si è calibrata l’ampiezza della prova in relazione al conglomerato testato. Sono stati quindi eseguiti test di trazione indiretta secondo la normativa SHRP con il solo scopo di determinare il carico massimo di rottura per provini cilindrici di spessore 40 mm, uguali a quelli utilizzati successivamente nelle prove a fatica, per entrambe le miscele. La scelta della normativa SHRP, anziché dell’omologa italiana del CNR, consente un più agevole confronto con le esperienze condotte in ambito europeo.

In seguito sono state effettuate le prove a fatica, imponendo un’ampiezza pari al:

• 30-40-50-60-70% del carico di rottura per il conglomerato confezionato con bitume tal quale;

• 40-50-60-70% del carico di rottura per il conglomerato realizzato con bitume modificato hard.

Tabella 3.11 – risultati del test di trazione indiretta per l’impostazione delle prove di fatica

NORMA: SHRP NATURALE HARD

ripetizione 1/2 2/2 1/2 2/2

Φ iniziale (cm) 10.00 10.00 10.00 10.00

h iniziale (mm) 38.60 35.63 37.42 37.57

h iniziale (cm) 3.86 3.56 3.74 3.76

carico rott (kN) 4.87 4.88 9.70 9.50

carico rott (kg) 487 488 970 950

Media (kN) 4.87 9.60

Tabella 3.12 – Impostazione della prova a fatica.

Test

f=16Hz T=25°C

TAL QUALE

Pmax=4.87 kN

HARD

Pmax=9.60 kN

P (kN) %Pmax P (kN) %Pmax

f/01 1.50 30% 2.90 30%

f/02 2.00 40% 3.90 40%

f/03 2.45 50% 4.80 50%

f/04 2.90 60% 5.75 60%

f/05 3.40 70% 6.70 70%

Sulla miscela modificata si è preferito non effettuare prove con ampiezza pari al 30% di carico massimo a rottura in quanto si è sperimentalmente osservato che l’eccessiva durata del test non permette di trascurare il fenomeno di plasticizzazione del campione, falsando quindi i risultati ottenuti. La Tabella 3.12 mostra i dati utilizzati per l’elaborazione delle diverse prove.

L’analisi dei risultati è stata condotta in riferimento a precedenti studi presenti in letteratura. Diversi autori hanno infatti valutato la possibilità di ricavare un’unica relazione tra la durata della vita a fatica e l’energia totale dissipata a rottura.

Più precisamente, sottoponendo un campione di conglomerato bituminoso a una sollecitazione ciclica, è possibile determinare analiticamente la densità di energia locale Wi prodotta per dissipazione viscosa nel corso dell’i-esimo ciclo:

i i i

i sen

W =πεσ φ (3-5)

dove:

• εi ampiezza della deformazione all’i-esimo ciclo;

• σi ampiezza della sollecitazione all’i-esimo ciclo;

• φi angolo di fase all’i-esimo ciclo.

La sommatoria dei diversi contributi ottenuti da ogni ciclo fornisce l’energia totale WN dissipata durante lo svolgimento dell’intera prova:

=

=

n

i i

N W

W

1

(3-6)

Nel 1977, Van Dijk (Van Dijk e Visser, 1977) ipotizzò inizialmente una relazione tra l’energia dissipata accumulata durante la prova WN e il numero di cicli a rottura Nf. Evidenze sperimentali hanno però mostrato che la stessa relazione è dipendente dalle condizioni di sollecitazione. Per questo motivo è stata sviluppata una nuova teoria basata sul “rapporto di Energia” (Energy Ratio):

Energy ratio=nW0/Wn dove

W0 è l’energia dissipata al primo ciclo

Wn è l’energia dissipata all’n-esimo ciclo

n è il fattore di proporzionalità, pari al numero di cicli di sollecitazione.

Il passo successivo fu compiuto da Rowe e Buoldin (2000), che tradussero l’Energy Ratio in termini di modulo complesso E*, trasformando, di conseguenza, la deformazione del materiale in una funzione del modulo stesso: così facendo, nelle prove in controllo di carico, è possibile scrivere un Energy Ratio ridotto (R ), in cui tutte le variabili dell’espressione originaria sono trascurabili in nσ confronto alla grande variazione del modulo complesso:

* n

n NE

R =σ (3-7)

Questa teoria permette di analizzare in termini di fessurazione del provino la variazione dell’Energy Ratio in funzione del numero di cicli di carico imposti durante una prova a fatica in controllo di forza: in questo tipo di prove, infatti, dopo la formazione delle prime fessure, le tensioni locali si accrescono notevolmente, fino a provocare rapidamente la rottura del campione. In quest’ottica si considera il punto di inizio della fessura macroscopica nel materiale il numero N1 di cicli corrispondente a una brusca variazione dell’Energy Ratio.

Un ulteriore passo in avanti fu fatto, infine, da Collop e Read (1997), dimostrando che l’andamento di R in funzione del numero di cicli è il medesimo di quello σn

della grandezza N/∆s, rapporto tra il numero di cicli di carico e l’abbassamento assiale relativo.

Da questa teoria prende spunto l’analisi dei risultati utilizzata nel corso della presente ricerca ed evidenziata in Figura 3.20.

Nel grafico sono stati riportati:

• In ascissa il numero di cicli N della prova;

• In ordinata il rapporto tra il numero di cicli e l’abbassamento registrato.

Si precisa che per calcolare l’abbassamento del campione ci si è riferiti al valore della media delle letture dei due trasduttori LVDT.

Una volta riportati i dati nel grafico, è immediato notare che questi si dispongono secondo una curva continua, caratterizzata dalla presenza di un punto di massimo. In corrispondenza di questo punto, coerentemente con quanto riportato in letteratura, si configura l’innesco della prima fessura.

Figura 3.20 – Determinazione del numero di cicli a rottura secondo Collop.

Figura 3.21 – Innesco della fessura per fatica.

Per ogni ampiezza dell’onda di carico è stato individuato il corrispondente numero N di cicli che porta a rottura il provino con la procedura appena esposta.

La rappresentazione finale dei valori ottenuti è caratterizzata da una curva di fatica di legge lineare, se rappresentata nel piano bilogaritmico del diagramma di Wohler (Figura 3.22), dove in ascissa è riportato il numero N di cicli che porta a rottura il campione e, in ordinata, la massima tensione orizzontale di rottura per trazione σx max.

10 100 1000

1000 10000 100000 1000000

N - numero di cicli a rottura

σx max (N/cmq)

TRADIZIONALE HARD

R2=0.83 R2=0.92

Figura 3.22 – curve di fatica

Così facendo è possibile considerare anche lo spessore dei provini, non sempre costante a causa dell’incertezza dovuta al taglio: la massima tensione di trazione, espressa in kPa è infatti funzione, in analogia con la prova di trazione indiretta, sia del carico massimo imposto sia delle dimensioni del campione:

dt P

x π

σ 2

max= (3-8)

dove:

P è il carico massimo imposto al provino nel corso della prova (in N);

d è il diametro del provino in cm;

t è l’altezza del provino in cm.

Le curve di fatica ottenute per le due miscela testate sono le seguenti:

• Conglomerato con bitume Tal Quale: σxmax= -0.269 Log (N) + 667.60

• Conglomerato con bitume modificato Hard: σxmax= -0.181 Log (N) + 544.04 L’elevato coefficiente di regressione (0.92 per la miscela realizzata con conglomerato modificato e 0.83 per la miscela realizzata con bitume tal quale) evidenzia l’attendibilità dell’espressione delle leggi di fatica ottenute per questi conglomerati.

Il confronto tra i due conglomerati mette in luce alcuni aspetti fondamentali:

• il conglomerato realizzato con bitume ad alta modifica presenta una maggiore resistenza a fatica: la retta è infatti traslata verso l’alto, ossia verso tensioni significativamente più elevate, rispetto a quella del conglomerato tal quale;

• a parità di cicli di carico, ossia, estendendo il concetto alle pavimentazioni stradali, a parità di vita utile, il conglomerato modificato riesce a sopportare una tensione a fatica maggiore rispetto a quello tal quale;

• a parità di carico imposto e quindi di tensione sollecitante, la miscela confezionata con bitume modificato resiste per un numero di cicli notevolmente maggiore (circa 10 volte di più) rispetto a quella confezionata con bitume tal quale.

Ulteriore aspetto da considerare è la pendenza delle due curve di fatica: nel passare dal bitume tal quale a bitume modificato la pendenza della curva diminuisce, evidenziando che, in termini relativi, all’aumentare del numero di cicli N l’incremento di resistenza a fatica del conglomerato realizzato con bitume modificato rispetto al tal quale aumenta ulteriormente.

L’elevata resistenza alla fatica, maggiore di circa 10 volte nel caso di bitume modificato di tipo hard rispetto al bitume tradizionale, evidenzia pertanto l’apporto decisivo di questo legante alla realizzazione di sovrastrutture durevoli, intrinsecamente pensate per garantire nel tempo la necessaria resistenza alle più severe azioni indotte dalle temperature e dal traffico veicolare giustificandone appieno l’utilizzo non solo nella realizzazione di strati drenanti ma anche per conglomerati di tipo chiuso.

3.2.4. Caratterizzazione meccanica avanzata: il test di ormaiamento