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Carmina in codice L collecta

PREMESSA AL CARME I

L’epigramma In Phisicarpaga murem è una libera parafrasi dei vv. 110-121 della

Batracomiomachia, il poemetto pseudo-omerico che il Marsuppini traduce per intero con ogni

probabilità intorno al 1431.124 L’interesse per gli aspetti meno paludati e solenni del mondo classico, da Renata Fabbri sottolineato a proposito della versione latina, è dunque nell’umanista profondo e tutt’altro che occasionale. Sulla scorta di Culex, Copa e Priapea, scritti disimpegnati e scherzosi falsamente attribuiti a Virgilio, il Marsuppini considera la Batracomiomachia opera giocosa del giovane poetarum pater e non solo si impegna a latinizzarla, ma anche la sceglie quale banco di prova per misurare la propria abilità poetica.125

Il carme è costruito come un’epigrafe tombale: il defunto topo Rubabriciole (Ψι̃́χαρπαξ) rievoca in prima persona le tristi disavventure dei due fratelli (uno caduto nelle grinfie di un gatto, l’altro catturato da una trappola), per poi rimpiangere la propria ingenuità di essersi fidato della rana Gonfiagote, che lo ha ingannato affogandolo nelle acque di uno stagno. Il testo, dunque, si configura come un triplice epitafio, perché ben tre sono le morti che in esso vengono ricordate e deplorate.

Particolarmente interessante è notare che in quattro codici della tradizione (E L2 L3 N5) l’epigramma dell’Aretino è preceduto da un altro ad esso del tutto analogo per forma e contenuto: stesso numero di versi (otto), stesso metro (distici elegiaci), stesso titolo (in

Psicharpaga murem epigramma), soprattutto stesso argomento e stessa strategia narrativa

(puntuale parafrasi dei vv. 110-121 della Batracomiomachia, con inversione del soggetto parlante). Una mia edizione critica di questo testo è fornita in Appendice III.

I manoscritti ne attribuiscono la paternità ad un filosofo bolognese di nome Gaspare,126 che verisimilmente proporrei di identificare con Gaspare Sighicelli da Bologna.127 Il Sighicelli,

124

La datazione non è certa. Il Sabbadini ritiene che la traduzione sia degli anni 1429-1430 sulla scorta di una data, congetturale riguardo all’anno, di un’epistola di Giovanni Marrasio ad Antonio Panormita in cui ci si riferisce alla versione dell’amico comune: cfr. SABBADINI, Biografia di Giovanni Aurispa, pp. 179-81. Renata Fabbri posticipa il

lavoro di qualche anno per un tenue indizio che ricava dalla lettera prefatoria del Marsuppini al Marrasio. In essa l’autore afferma di aver lodato Omero «apud quosdam praestantissimos iuvenes studiis humanitatis mirifice deditos» i quali, dice, «et precibus et vi a me exegerunt ut id (scil. Batrachomyomachiam) in latinum converterem». La Fabbri identifica i giovani cui qui si accenna con gli allievi dello Studio fiorentino e ritiene dunque la traduzione ispirata dall’ambiente scolastico; non nega tuttavia che la traduzione potrebbe essere motivata proprio dal desiderio di garantire la qualificazione come insegnante allo Studio e quindi precedere l’inizio dell’attività didattica ufficiale: cfr. FABBRI, Batrachomyomachia, pp. 557-58. La lettera del Marrasio al Panormita è pubblicata in MARRASII

Angelinetum, pp. 253-55.

125

Sull’attribuzione della Batracomiomachia ad Omero cfr. la lettera di prefazione del Marsuppini al Marrasio edita in MARRASII Angelinetum, pp. 152-55.

126

Una mia edizione critica di questo carme inedito si trova qui in appendice II.

127

Gaspare Sighicelli da San Giovanni in Persiceto fu un’apprezzato docente di filosofia negli anni 1419-1433. Di lui si dice che fosse lettore nello Studio bolognese ancor prima di ottenere la laurea nel 1424 (anni 1419-1420: lettura di logica; 1420-1421; 1424-1425: lettura di filosofia naturale; 1425-1427 lettura di filosofia naturale nei giorni ordinari e filosofia morale nei giorni festivi). Fu conteso dallo Studio senese (dove presumibilmente insegnò nel trienno 1427-1429) e da quello fiorentino (al settembre 1429 risale la partenza da Siena per raggiungere il capoluogo toscano), ma nel 1431 o 1432 tornò nuovamente nella Facoltà di Arti a Bologna

Nel 1435 vestì l’abito monastico a Bologna, divenendo uno dei massimi esponenti dell’Ordine Domenicano ed orientando il suo interesse allo studio della teologia, nella quale conseguì il magistero il 12 ottobre 1440 (in questa data è infatti ricordato con il titolo di maestro). Nel 1439 il Capitolo generale dell’Ordine lo nominò baccalario pro

primo anno nel convento di Bologna; tre anni dopo fu promosso reggente. Ricoprì l’incarico di Inquisitore, ma non

cesso di insegnare filosofia naturale e morale all’Università di Bologna.

Durante il periodo bolognese fu amico di Raimondo Ramponi, allievo di Niccolò Volpe, presso cui il pare anche abbia cercato di depositare i Commentaria di Boezio. Fu maestro di Francesco da Castiglione e soprattutto di Giovanni Tortelli, prima e dopo i voti, come quest’ultimo esplicitamente dichiara nel prologo alla versione e al commento agli Analytica psoteriora per il medico Niccolò Tignosi da Foligno («Verum ego cum theologiae studiis detentus essem et Bononiam illico contendissem, ut eam divinam Facultatem sub magistro Gaspare Bononiensi de Praedicatorum religione, viro sane in omni theologia et philosophia clarissimo, a quo olim in seculo degente dyalecticis et philosophicis institutus fueram, labori et diligentie quam huiusmodi traductio exquirere videbatur, ne

apprezzato docente di filosofia, soggiornò infatti a Firenze intorno agli anni Trenta del ’400 e proprio come il Marsuppini fece parte dello staff insegnante dello Studio della città. Vespasiano da Bisticci nelle sue Vite informa che venne chiamato dagli Ufficiali a leggere l’Etica aristotelica e che ebbe modo, durante il suo soggiorno, di stringere rapporti cordialissimi con Giannozzo Manetti, Niccolò Niccoli e Carlo Marsuppini.128

ab inceptis studiis qualibet occasione divertere non facile parcendum putabam. Inter<rim> contigit, ut sensisti [Nicolae Fulginas] ipsum Gasparem meum hos libros Fratribus suis me cum mira eruditione exposuisse, ita ut licet sua peritia interpretis duritiam demolliret et illius errores, quos [comparatione, marg.] et emendatissimi codicis nonnumquam dependebar…(?) palliare conaretur, indigne tamen ferre videbamur tam admirabilem tamque necessariam in hiis libris Aristotelis doctrinam ita inepte nobis traditam fuisse ut sine frequentium expositorum revolutionem et tedio etiam apertissima queque delitescerent»; cfr. Firenze, Biblioteca Riccardiana, cod. 110, f. 1r; C. PIANA, Nuove ricerche su le Università di Bologna e di Parma, Firenze, Quaracchi, 1966, pp. 324-25.

Con ogni probabilità il Tortelli iniziò a frequentare la scuola di teologia a Bologna nel 1441 (forse nella prima metà). A lui il Sighicelli, decano, insieme a Filippo Fabbri, del Collegio dei maestri, conferì la licenza e il magistero in teologia.

Il 27 marzo 1450 il Sighicelli fu eletto vescovo della diocesi di Imola, che resse fino alla morte avvenuta a Ferrara nel 1457 in concetto di santità.

Un dicepolo ha lasciato un suo ricordo nel cod. Marciano cl. XII. 16 di Venezia: «Finis commenti profundissimi Alberti Magni super libro de anima, quem scripsi ego Ioannes Abioxius de Bagnacavallo, Bononiae studens in artibus, sub egregio ac famosissimo artium doctore, necnon s.p. professore mag. Gaspare da S. Ioanne, comitatus Bononiae, ord. Praedicatorm, et hoc 1444, die 23 augusti (anno quarto studii mei), quo tempore comes Franciscus de Cotignola» (VALENTINELLI, V, p. 185).

Della sua produzione letteraria si conservano alcuni trattati filosofici: In philosophia quaedam acutissima et

longe suspicienda; una summa contro le eresie ed un’altra di casi di coscienza; Commentari sopra i quattro Libri delle Sentenze; Commentari sopra gli otto libri phisicorum. Al Sighicelli sono attribuiti i Commentaria in VIII libros physicorum Aristotelis .

Nella corrispondenza intrattenuta dal Tortelli con gli amici ed i maestri bolognesi, che sollecitarono la stesura

del trattato De orthographia e ne promossero una non autorizzata diffusione, corrispondenza conservata nel manoscritto Vat. lat. 3908 e risalente agli anni 1445-1455, si legge una lettera autografa del Sighicelli che si scusa con l’amico per il ritardo nella risposta, addebitabile alla sua malferma salute (la vista precaria), confidando nella benevolenza e nella carità dell’amico, dal quale è stato immeritatamente elogiato in un colloquio con l’autorità ecclesiastica bolognese (n° 101; datata Bologna, non. Martii 1448).

Di tutte queste opere manca comunque una recensio della tradizione manoscritta.

Per le notizie sulla biografia e la produzione del Sighicelli cfr. A. GHERARDI, Statuti della Università e studio

fiorentino dell’anno 1387 seguiti da un’appendice di documenti dal 1320 al 1472, Firenze, Cellini e c. alla

Galileiana, 1881 [ristampa anastatica Bologna, Forni, 1973], pp. 411-13; R. SABBADINI, Cronologia documentata

della vita di Giovanni Lamola, «Il Propugnatore», 23 (1890), pp. 417-36; U. DALLARI, I rotuli dei lettori legisti e

artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799, Bologna, presso la R. Deputazione di storia patria, 1888; G.

MANCINI, Giovanni Tortelli cooperatore di Niccolò V nel fondare la biblioteca Vaticana, «Archivio storico italiano», 78 (1920), pp. 161-282: 4-6; C. PIANA, La Facoltà teologica dell’Università di Bologna nel 1444-1458, «Archivum Franciscanum Historicum», 63 (1960), pp. 361-441: 364-70, 400-03; C. PIANA, Ricerche su le

Università di Bologna e Parma nel sec. XV, Firenze, Quaracchi, 1963, pp. 183, 305; PIANA, Nuove ricerche, pp. 115, 120, 122, 132, 147, 150, 317, 324-25; G. MELLONI, Atti o memorie degli uomini illustri in santità nati o morti

in Bologna, volume postumo a cura di A. BENATI – M. FANTI, Roma, Multigrafica editrice, 1971, pp. 234-43; TH. KAEPPELI, Scriptores Ordinis Praedicatorum Medii Aevi, II (G-I), Roma, Istituto Storico Domenicano, 1975, pp. 12-13; K. PARK, The readers of the Florentine Studio According to Comunal Fiscal Records (1357-1380, 1413-

1446), «Rinascimento», 20 (1980), pp. 249-310: 285-87; A. ONORATO, Gli amici bolognesi di Giovanni Tortelli, Messina, Centro interdipartimentale di Studi Umanistici, 2003, pp. 158-59.

128

VESPASIANO, Le vite, I, pp. 291-92. Manetti, Niccoli e Marsuppini non furono del resto gli unici umanisti con il

quale il Sighicelli intrattenne rapporti di amicizia durante il suo soggiorno fiorentino. Leonardo Bruni, rispondendo ad una lettera di Giovanni Tortelli, spendeva per il filosofo bolognese queste parole di stima: «Suscepi etiam ex eo voluptatem permaximam quod mihi significasti Gasparem Bononiensem, summum meo iudicio hominem, a te auditum superiore anno in disciplina morali fuisse. Crede mihi, Ioannes, fortunatus es huius viri conversatione atque doctrina, quem vera philosophia veraque scientia non fatua umbratilique imbutum sensi iam diu, atque expertus sum. Huic tu inhaereas suadeo, et quoad fieri potest, numquam dimittas […] De quo verissime dici potest:

lux in tenebris lucet» (cfr. BRUNI, Epistolae, n° 9, p. 155). Della fama del Sighicelli è anche testimonianza la contemporanea menzione di Fabio Biondo nell’Italia Illustrata (Basilea, 1559, p 353).

Maestro Guasparre da Bologna fu de l’ordine di Sancto Domenico d’Oservanza et fu vescovo d’Imola, uomo dottissimo in tutte sette l’arte liberali. Fu ne’ tempi di papa Eugenio molto istimato in Firenze per la sua dottrina. Lesse in istudio in filosofia morale l’Etica d’Aristotile, dove ebe grandissimo concorso di grande parte di cortigiani, uomini dottissimi, et il simile moltissimi citadini andavano alle sua letioni et ogni dì allo studio, et al palagio del podestà si facevano i circuli dove si disputava. Maestro Guasparre, per essere uomo sottilissimo et di grande ingegno, sempre prevaleva a tutti gli altri nelle disputationi. Trovavasi in questo tempo uno bellissimo istudio in ogni facultà, v’era i più dotti uomini si trovavano. Era in Firenze l’abate de Cicilia a legere et meser Lodovico da Roma, de’ principali uomini si trovassino. Era sempre maestro Guasparro con Nicolaio Nicoli et con meser Gianozo Maneti et meser Carlo d’Arezo, et con tutti e’ dotti di quella età, perché oltre alla sua dottrina era di gentilissimi costumi, et la sua dottrina era molto istimata. Dovè compore qualche opera, ma per nonne avere notitia nonne fo mentione, lasciolo a quegli n’aranno più piena notitia non ho io.

La notizia è interessante: è probabile infatti che l’epigramma dell’Aretino e quello del Sighicelli ci siano traditi in ‘coppia’ dalla maggior parte dei testimoni della tradizione manoscritta a testimonianza di uno scambio poetico, finora inedito, incorso tra i due intellettuali. Difficile d’altra parte precisarne la reale dinamica. In base all’unico elemento interno ai testi, vale a dire la loro disposizione nei manoscritti, si potrebbe forse tentare di individuare la successione della sue fasi e ipotizzare che il carme del Sighicelli sia precedente a quello del Marsuppini. Il carme di quest’ultimo, infatti, segue sempre l’altro, che si legge immeditamente prima.129

Nei titoli e nei versi dei due carmi non è possibile rintracciare la benchè minima espressione di carattere responsivo, ma se da un lato è vero che gli epigrammi potrebbero essere la contemporanea e indipendente soluzione offerta dai due autori per un confronto poetico organizzato e stabilito nei minimi dettagli, è difficile pensare che il Marsuppini nello stilare una risposta che esprime lo stesso concetto di quello del Sighicelli, possa non aver intenzionalemente imitato il modello dell’amico. Le consonanze tra i due carmi sono infatti stringenti anche dal punto di vista lessicale: in clausola ai v. 1, 4 e 5 ricorrorno le medesime parole urna (urnam Sighicelli), fuit e arte; a v. 5 i sintagmi alius laqueo (Marsuppini) e alium

laqueus (Sighicelli); a v. 6 il termine dente in identica posizione metrica; a v. 7 lo stesso

pronome personale me in posizione incipitaria, unitamente all’avverbio nimium; nel distico finale l’epressione territa rana. A tali corrispondenze, difficilmente spiegabili con la casualità, si affiancano però anche delle significative varianti tra i due testi: il Marsuppini sostituisce infatti il riferimento del Sighicelli al padre dei tre topolini defunti (v. 3: patri nostro) con quello ad entrambi i loro genitori (v. 3: nostri parentes); la piccolezza degli animali, espressa dal filosofo bolognese a v. 4 dal solo aggettivo petita accordato a preda, è resa dal Marsuppini ai vv. 1 e 6 con gli aggettivi parva e tenui riferiti rispettivamente ai termini urna e dente; soprattutto a v. 6 l’appetitoso bocconino agognato del topo, ingenuamente caduto nella trappola che l’uomo ha abilmente ordito a suo danno, è identificato con del lardum anziché con una

placita nux. Ci sono dunque sufficienti elementi per avanzare l’ipotesi che il Marsuppini abbia

preso parte alla gara con la deliberata intenzione di emulare il modello proposto dall’amico. La stretta intertestualità che lega i due componimenti induce inoltre a ritenere che essi siano stati composti a breve distanza l’uno dall’altro, per una circoscritta occasione che non si può dire con certezza quale sia stata, ma che verisimilmente potrebbe coincidere con un elegante e

129

Sulle gare poetiche in età umanistica mi limito a rinviare a S. SANTANGELO, Le tenzoni poetiche nella letteratura

italiana delle origini, Genève, Leo S. Olschki, 1928 e D. COPPINI, Un’eclisse, una duchessa, due poeti, in

Tradizione classica e letteratura umanistica. Per Alessandro Perosa, a cura di R. CARDINI – E. GARIN – L. CESARINI MARTINELLI – G. PASCUCCI, I, Roma, Bulzoni, 1985, pp. 333-73.

spontaneo gioco letterario, destinato a consumarsi rapidamente nella ristretta cerchia di intellettuali che entrambi gli umanisti frequentavano. Da escludere con risolutezza sembra infatti l’ipotesi che i due epigrammi possano essere la risposta ad una proposta imposta dall’alto o allo stimolo di un’avvenimento esterno. Difficile anche pensare che il Marsuppini abbia riscritto a distanza di tempo il testo del Sighicelli. Alla luce degli ottimi rapporti interpersonali intercorsi a Firenze tra i due autori, è ragionevole presumere che entrambi i carmi siano il documento di un rinnovato interesse in ambito accademico per il testo pseudo-omerico, dal Marsuppini letto nelle lezioni allo Studio e successivamente tradotto. Essi si presentano come due variazioni sullo stesso tema e lo stesso artificio, pensate per una cordiale e assolutamente pacifica gara poetica. I titoli stessi con i quali i due epigrammi sono introdotti nei manoscritti non lasciano infatti trapelare il benchè minimo indizio di un’esplicita contesa o tenzone. L’ipotesi che le rubriche di invio siano state soppresse per la smarrita coscienza dell’originario carattere polemico dei due componimenti è poco probabile.

Non ho trovato per il momento testimonianze che attestino la partecipazione alla competizione di altri concorrenti, ma non escludo in modo assoluto che la tradizione manoscritta possa aver scisso e disperso i componimenti di altri autori.

Ciò detto, non resta che proporre una data plausibile per la gara. Come abbiamo già accennato, è verisimile che essa debba risalire proprio al periodo dell’insegnamento del Sighicelli a Firenze, che, stando alle parole di Vespasiano da Bisticci, coincide con il soggiorno di Eugenio IV in città.130 Poiché il papa si trova a Firenze sia nel 1434-1436 (quando è costretto a fuggire da Roma dove è stata proclamata la Repubblica) sia nel 1439 (quando da Ferrara è trasferita nella città la sede del Concilio per l’unione della Chiesa latina e greca), il rapporto tra i due umanisti e la conseguente stesura dei loro epigrammi deve collocarsi intorno ad una di queste due date. A far sbilanciare per gli anni 1434-1436, oltre al fatto che sembra difficile poter far risalire la composizione di un così ludico componimento al periodo monastico del Sighicelli (1435-1457), è un secondo passo delle Vite di Vespasiano, che esplicitamente dichiara l’amicizia del filosofo con il Marsuppini risalente alla prima delle due visite del papa:131

Partitosi papa Eugenio da Roma, per certe insidie gli avevano fatte contro i Romani, ne venne a Firenze, et collui il cardinale di Sancta Croce et maestro Tomaso venne a Firenze, dov’erano in questo tempo molti singulari uomini, et il simile in corte. Et perché meser Lionardo d’Arezo, meser Gianozo Manetti, meser Poggio, meser Carlo d’Arezo, meser Giovanni Aurispa, mestro Guasparre da Bologna, uomo dotissimo, et infiniti altri dotti venivano ogni sera et ogni mattina in sul canto del palagio, dove disputavano e conferivano di varie cose, maestro Tomaso, subito acompagnato aveva il cardinale a Palazo.

Le perplessità sul fatto che la data della gara poetica possa essere sucessiva e non contemporanea a quella ipotizzata da Renata Fabbri per la marsuppiniana traduzione della

Batracomiomachia (il 1431), trova conferma nell’aporia che si riscontra confrontando le

affermazioni di Vespasiano con le altre fonti documentarie. Se non ci sono valide ragioni per mettere in dubbio l’amicizia tra i due umanisti, altre ce ne sono per ritenere che il cartolaio abbia commesso un errore nell’indicare l’esatta cronologia della lettura del Sighicelli nello Studio fiorentino. I rotuli dell’Università mostrano infatti che Gaspare ottenne l’insegnamento di filosofia naturale (e non quello di filosofia morale, come dice Vespasiano)132 solo per gli anni accademici 1429-1430 e 1430-1431, dopo una lunga trattativa con Siena che non voleva che un così celebre maestro abbandonasse la città.133 Del Marsuppini, dunque, non fu mai un vero e

130

D. HAY, Eugenio IV (Gabriele Condulmer), in Dizionario biografico degli italiani, XLIII (Enzo – Fabrizi), Roma, Istituto della enciclopedia italiana, 1993, pp. 496-502.

131

VESPASIANO, Le vite, I, pp. 42-43.

132

Cfr. VESPASIANO, Le vite, I, pp. 291-92; citato supra.

133

Il Gherardi pubblica la corrispondenza con cui la Repubblica Fiorentina prega Siena di rimuovere le difficoltà e gli impedimenti che trattengono il Sighicelli dal raggiungere Firenze, dove ha ricevuto l’elezione nell Studio (gli è

proprio collega allo Studio, perché quest’ultimo ottenne per la prima volta l’insegnamento di poesia, retorica, filosofia, greco ed etica soltanto nell’anno accademico 1431-1432.134 Si tenga inoltre presente che nel 1433 il Sighicelli si era già stabilmente trasferito a Bologna, perché il Traversari lì si recò per congratularsi con l’amico del noviziato appena assunto.135

L’incongruenza tra la cronologia proposta dalla fonte letteraria e quella proposta dai Rotuli circa l’insegnamento fiorentino del Sighicelli, già rilevata da Celestino Piana,136 mi pare possa trovare una definitiva risoluzione proprio grazie al ritrovamento della gara poetica, che induce ad accordare un’assoluta preminenza ai documenti di archivio. Il 1431, piuttosto che il 1434- 1436, sembra infatti la data più probabile per la composizione dei due epigrammi. Quell’anno infatti fu l’ultimo del Sighicelli allo Studio, ma anche il primo del Marsuppini, che dall’entusiasmo e dalle sollecitazioni dei suoi allievi ricevette lo stimolo per la traduzione della

Batracomiomachia. Vespasiano potrebbe aver confuso la materia insegnata da Gaspare nella

Facoltà e non aver voluto indicare l’esatta simultaneità tra la presenza del filosofo e di Eugenio a Firenze, ma soltanto mettere in rilievo la familiare consuetudine degli umanisti che in quegli anni frequentavano la città di esercitarsi in dotte dispute.

infatti negato il permesso di lasciare la città perché non gli è ancora scaduto il mandato e l’incarico). Gaspare è definito nella lettera inviata ai senesi il 7 novembre 1429 un uomo prudens et gravis. Molto interessante anche la lettera del 27 settembre 1431 spedita al governatore di Bologna, nella quale la Repubblica di Firenze afferma che il Sighicelli docuit iam aliquot annis in Studio civitatis nostre e che egli, deputato con pubblico salario alla lettura di Filosofia, insegnamento nel quale era stato eletto dagli Ufficiali dello Studio anche per l’anno avvenire, non può abbandonare lo Studio, perché non esiste un nome altrettanto valido con cui poterlo sostiuire. Bologna tuttavia continua a reclamarlo perché attenda all’analogo insegnamento (cfr. GHERARDI, Statuti della Università, passim).

Non ho trovato l’indicazione degli argomenti trattati dal Sighicelli durante l’isegnamento a Firenze. Il solo

Vespasiano infarma di una sua lettura dell’Etica Aristotelica. I Rotuli dell’Università specificano soltanto che quella dell’anno accademico 1429-1430 fu una lettura di tipo ‘ordinario’ (svolta nei giorni feriali, mattina e sera) e basata sugli argomenti principali; per uno stipendio di 140 fiorini (cfr. PIANA, Nuove ricerche, p. 120, 324-25.