Nel primo caso si potrebbe pensare che le lezioni versaque regna e verba nefanda fossero state annotate dal poeta una in alternativa all’altra già nel subarchetipo a, ma in modo confuso, poco chiaro, così da consentire al copista di c di operare una scelta diversa da quella della restante tradizione e a quello di L di contaminare due lezioni accettabili nell’errore verbaque
regna. Il fatto che nelle lezioni di tutti e quattro i manoscritti compare la parola verba induce
però ad escludere una tale ipotesi e formulare quella più verisimile che l’errore singolare di L, che non dà senso e sembrerebbe essersi prodotto per un banale fraintendimento paleografico, fosse già presente in a e che anche c lo leggesse. Poiché R N C, ma in particolare R (come si avrà modo di dimostrare tra breve), sono portatori di altre varianti verisimilmente imputabili alla volontà dell’autore, si può presumere un intervento emendatorio dello stesso Marsuppini in c, volto non tanto a migliore il verso, quanto a correggere una lezione priva di senso. La variante
verba nefanda, del resto, non è migliorativa di versaque regna ed ha l’aspetto di una soluzione
rabberciativa, di una correzione in ‘econonomia’: sostituzione di una soltanto delle due parole (regna con nefanda) ed omissione della congiuzione enclitica –que. Risulta difficile, ma non impossibile, pensare che una variante di così alta qualità (la lezione è plausibile sia per significato, sia per prosodia) possa essere una felice congettura del copista di c. Difficile, del resto, pensare ad un errore di ripetizione dell’espressione verba nefanda che, ugualmente preceduta come a v. 44 dal sostantivo deos, si legge a v. 112 per indicare le ingiuste lamentele e imprecazioni che gli uomini rivolgono alla divinità. Un salto d’occhio di ben 68 versi pare improbabile, anche se non si esclude la possibilità che proprio l’espressione a v. 112 possa aver suggerito un’emendazione accettabile per l’errore a v. 44.
Non pare possano esserci dubbi a proposito della terza lezione: essa è accettabile per senso e
prosodia e non può essere giustificata con un errore paleografico.
Alle due lezioni appena citate si potrebbe aggiungere aut per et a IV 66, anche se non si può escludere del tutto la possibilità di un errore di ripetizione delle congiunzioni dei vv. 62 e 64. Hanno l’aria di essere delle varianti anche due lezioni registrate dal solo codice R: IV 22 percoluisse] excoluisse; V 6 illa] ipsa.
Per quanto riguarda la lezione a IV 22 excoluisse in luogo di percoluisse, attestata dalla
maggior parte della tradizione, si potrebbe avanzare il sospetto di un errore di copia, perché graficamente simile all’altra, della quale è sinonimo. La lezione procoluisse attestata dal codice
L, induce tuttavia a prendere in considerazione l’ipotesi che essa potesse essere presente già in a
e che anche c la leggesse e trascrivesse. Analogamente a quanto già detto a proposito della lezione verba nefanda, si è dunque legittimati a credere che anche excoluisse possa essere l’‘economica’ correzione apportata dal poeta ad un errore, procoluisse, presente nel codice. Del resto è sufficiente un sguardo all’apparato di tradizione per constatare che la giusta lezione
percoluisse si è ampiamente corrotta, per banale confusione delle abbreviazioni per, prae e pro,
nelle improbabili forme precoluisse (che non dà senso) e procoluisse (forma verbale inesistente nel latino classico), ma non in excoluisse, che è registrata solo da R e da M5 (M5 ha l’errore
execalisse), la seconda mano che corregge il codice M4 (tra R ed M5, come si avrà modo dimostrare successivamente, non pare comunque che esistano affinità).
La lezione ipsa per illa si potrebbe forse spiegare paleograficamente, ma la presenza in R di alcune varianti d’autore ‘sicure’ induce a non escludere dalla serie questa di qualità più incerta. Posto che tutte le lezioni presentate si possono considerare varianti, il problema che conseguentemente si pone è quello della loro successione. Pur con la debita incertezza, pare di poter dire che le lezioni attestate da R, talvolta in concordanza con N C, sono in linea di massima ‘peggiori’ di quelle attestate dalla restante tradizione e da L (fa eccezione, ovviamente, il suo erorre verbaque regna a IV 44).
La variante verba nefanda a IV 44 ripete il termine verbis che si legge nel verso precedente ed un’identica formula che si legge a v. 112, mentre l’espressione qui decus omne sue a IV 158 ripete il termine decus che si legge a v. 155. L’ipotesi che il Marsuppini abbia preferito un’enfatica ripetizione delle due parole non è improbabile, ma, alla luce di quanto osservato circa la prima variante, non convince del tutto. Sarei propensa a non escludere la possibilità che anche la lezione qui decus omne sue, al pari di excoluisse a IV 22 e verba nefanda a IV 44, sia stata inserita dall’autore per correggere un errore di c. La sola forma ipsa per illa a V 6 potrebbe sembrare migliorativa, perché evita la ripetizione del pronome dimostrativo che si legge a v. 4. Assolutamente equivalenti appaiono invece excoluisse e percoluisse a IV 22.
Ciò detto, l’ipotesi che prospetto è quella di un intervento dell’autore nell’antigrafo comune a R N C (intevento che sul manoscritto potrebbe essere stato apportato direttamente dal poeta, ma anche indirettamente, per mano di altra persona che gli aveva chiesto soluzioni a passi oscuri o dubbi che aveva riscontrato nella lettura dei testi; il che ben spiegherebbe la non sistematicità delle correzioni degli errori comuni ai tre codici). Ritengo infatti che c possa aver accolto la variante migliorativa ipsa per illa a V 6 e le lezioni excoluisse per percoluisse a IV 22, verba
nefanda a IV 44, qui decus omne sue a IV 158, che verisimilmente interpreterei come
emendazioni desultorie apportate dal Marsuppini senza avere a disposizione le lezioni originali, determinate non tanto dalla volontà di migliorare e rendere definitivo il testo delle poesie, quanto piuttosto di sanare gli errori di un codice che occasionalmente era capitato alla sua attenzione, al fine esclusivo di renderlo maggiormente fruibile.
Conseguentemente con quanto affermato ritengo che il mancato accordo di R con N C negli errori est per ast a IV 45, indicet per iudicet a IV 69, est per et a V 34, talamos per calamos a VII 42 possa essere spiegato con correzioni d’autore, anziché di copista.
Tale, del resto, sembrerebbe essere anche la lezione atque in luogo di ac a VIII 61. Ac, che è congiunzione attestata da tutti i testimoni del carme, eccetto R N C, e determina nel verso una anomalia prosodica, potrebbe essere un errore d’autore, corretto tardivamente dallo stesso Marsuppini in c.
L’assenza delle varianti di R excoluisse per percoluisse a IV 22, ipsa per illa a V 6 e delle corezioni di ast in luogo di est a IV 45 e est in luogo di et a V 34 nei codici N e C può essere imputata alla distrazione o allo scarso interesse del copista di d di registrare tutti gli interventi annotati nell’esemplare di copia c; ma si può anche pensare che d sia stato copiato da c prima che il poeta avesse terminato i suoi saltuari controlli sul codice e fosse copiato R. Alla luce di quest’ultima possibilità si potrebbe anche pensare che l’omissione di multa a VII 6 fosse presente già in b e da lì si fosse trasmessa fino a d (N e C, infatti, la registrano entrambi). Il copista di V4 potrebbe aver tentato una soluzione arbitraria, introducendo l’aggettivo docta;
mentre R, esemplato dopo c, potrebbe aver accolto l’emendazione dell’autore (una certa attitudine di V4 a congetturare potrebbe del resto essere confermata anche dal non accordo nell’errore prosodico Praxiteles per Praxiteleque a VI 31 con L R N C)
Per le osservazioni finora svolte, ho deciso di non accettare le varianti di R N C e quelle esclusive di R nella mia edizione, pur ritenendo possibile che possano essere cronologicamente posteriori all’allestimento del codice Laurenziano.
9. CLASSIFICAZIONE DEI TESTIMONI AL²L3N5
L’ipotesi che L3 possa essere descriptus da L2, preliminarmente suggerita dal fatto che i due codici contengono del Marsuppini gli stessi carmi nello stesso ordine e che un rapporto di questo tipo tra i due testimoni è già stato verificato nelle edizioni critiche di opere di altri autori che essi tramandano,107 è confermata dall’accordo di L3 in tutti gli errori e le varianti (grafiche e non) di L2:
I 2 facta] fata; V 15 Xandram] Sandram; 35 forma] formas; VI 14 que om.; 26 visis] visus; 43 in] iam; 47 tunc] tum; 51 est om.; 65 Martis] Marti; 66 est om.; VII 1 Chyriace] Kyriace; 25 celebranda] celebrata; choris] thoris; 42 calamos] thalamos; 53 tu] nil;VIII 55 bella] bello; 78 ruperit] rupent; tuum] tua; 83 vocat] vocant; 95 armis] aris; 105 gnatam] gnatum; 118 nomina] nomine; 121 abde] abole; 127 Meonios] Moenios; IX 4 secli] seculi; 39 longo] longa; virum] mirum; 54 nunc] non; 71 in om.; 74 forti] sorti; 83 sic] sit; 91 et om.; 100 tu] te; XVI 1 Veggi] Vegi; XVII 1 Veggi] Vegi; XIX tibi] mihi.
Tre, ma assolutamente trascurabili perché di natura grafica, gli errori di L2 che non passano in L3:Cilenius per Cyllenius a VIII 53; solliciter per sollicitet a VIII 86; tristitia per tristia a VIII
111; cum anzichè tum a IX 78. Anche l’errore tunc per tum a VIII 139, che indica una affinità tra
A ed L3, è tale da non poter mettere in discussione l’ipotesi che L3 sia stato copiato direttamente
da L2.
Alla serie di errori condivisi con L2, il codice L3 ne aggiunge alcuni suoi propri:
V 25 fingis] finges; 27 nunc] tunc (fraintendimendo paleografico); 38 rosee] rose (aggettivo da