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161 R. Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, cit., p. 140. 162 F. Renda, La Sicilia nel 1812, cit., pp. 266-267.

163 P. Balsamo, Memorie segrete, cit., p.118. Sulla questione il Palmeri sostiene che «a forza di cavilli, cambiando e contraccambiando parole, il piano della costituzione fu sfigurato, ed in molti luoghi l’espressione delle leggi riuscì ambigua ed oscura» (N. Palmeri, Saggio storico e politico sulla Costituzione del Regno di Sicilia, cit., p. 173).

La costituzione siciliana del 1812 rappresenta un fatto storico importantissimo per la storia della Sicilia. Al di là della sua breve esistenza (1812-1815) essa segna il passaggio dell’isola dalla feudalità alla modernità. Con il suo operato il «Parlamento del 1812 fissa un’epoca memorabile nei fasti siciliani, e quali che siano o saranno per essere le vicende della Sicilia, la costituzione del 1812 brillerà sempre come un astro luminoso nel suo orizzonte politico, e sempre saranno ad essa rivolti gli sguardi e i cuori de’ Siciliani»164.

Cosa stabilisce in concreto quest’atto fondamentale contenente le norme costituzionali? Il testo della Costituzione siciliana del 1812 si articola in un documento contenente i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale – le Basi – tre titoli, Potere legislativo, Potere esecutivo e Potere giudiziario, più una grande quantità di decreti relativi a materie diverse; i consigli civici e le magistrature municipali (a quest’argomento sono dedicati ben 44 articoli), la libertà di stampa (25 articoli), la libertà, i diritti e doveri dei cittadini (13 articoli), l’abolizione della feudalità (26 articoli) e dei fedecommessi (15 articoli), le norme per la successione al trono di Sicilia (28 articoli).

Nella carta siciliana del ’12 il potere legislativo appartiene alle due camere del parlamento (non si danno più i tre bracci dell’antico parlamento siculo), la camera dei Pari, ereditaria, che mette insieme i componenti dell’antico braccio ecclesiastico e quelli del braccio militare o baronale, e la camera dei Comuni elettiva165. Malgrado «il potere di far le leggi, e

164 N. Palmeri, Saggio storico e politico sulla Costituzione del Regno di Sicilia, cit., p.174.

165 Durante la fase di elaborazione del testo costituzionale i criteri in base ai quali si poteva accedere all’elettorato attivo e passivo, nonché la decisione sul numero dei rappresentanti della camera elettiva furono fonte di aspre discussioni. Gli esponenti più noti del partito costituzionale, Castelnuovo, Balsamo e Belmonte avrebbero desiderato che il numero dei rappresentanti dei Comuni fosse inferiore a quello dei Pari e fissavano una rendita abbastanza elevata per l’esercizio dell’elettorato attivo e passivo. Da altre correnti politiche fu avanzata la proposta di porre un censo elettorale di 4 once l’anno (come in Inghilterra) e che il numero dei rappresentanti delle due camere si equivalesse.

quello di dispensarle, interpretarle, modificarle ed abrogarle, risiederà esclusivamente nel parlamento», ogni atto legislativo ratificato da entrambe le camere «avrà forza di legge e sarà obbligatorio, tosto che avrà la sanzione dal Re»166 con le formule del Placet Regiae Majestati o Vetat

Regia Majestas.

Il potere esecutivo risiede nella persona de sovrano che lo esercita attraverso il Consiglio privato (ministero) formato da un massimo di dodici membri, ovvero i quattro segretari di Stato degli Esteri, delle Finanze della Guerra e di Grazia e Giustizia, e un numero variabile (comunque non più di otto) di consiglieri. Il Consiglio è politicamente responsabile solo nei confronti del re il quale avrà facoltà di «curare che i ministri, e generalmente tutti gli amministratori delle cose pubbliche, adempiano i loro doveri; chieder conto, e prendere informazione della loro condotta; ammonire quelli, che a tenore delle leggi saranno convinti rei, per mezzo delle autorità e dei magistrati competenti»167. I ministri e in genere i pubblici impiegati possono essere anche accusati, processati e condannati dal parlamento nel caso in cui siano colpevoli d’inosservanza delle norme costituzionali, delle leggi o per qualche grave colpa nell’esercizio delle loro funzioni. Per quanto riguarda la successione al trono del regno di Sicilia i costituenti avevano voluto sancire la definitiva indipendenza dell’isola dal regno di Napoli, così come da ogni altro regno acquisito in futuro dalla dinastia regnante. L’articolo 17 delle norme sulla successione recita: «se il re di Sicilia riacquisterà il regno di Napoli, o acquisterà qualunque altro regno, dovrà mandarvi a regnare il suo figlio primogenito, o lasciare detto

Alla fine fu raggiunto un accordo in base al quale la camera dei Comuni sarebbe stata composta da 154 rappresentanti e quella dei pari da 185 (124 temporali e 61 ecclesiastici); il censo dell’elettorato passivo e attivo fu stabilito secondo misure variabili a seconda dell’importanza dei vari collegi. Cfr. P. Balsamo, Memorie segrete, cit., pp. 115-117; F. Renda, La Sicilia nel 1812, cit., pp. 269-270.

166 Costituzione di Sicilia del 1812, Titolo I, art. I, in A. Acquarone, M. d’Addio, G. Negri, Le costituzioni italiane, Milano, 1958, p. 405.

suo figlio in Sicilia con cedergli il regno; dichiarandosi da oggi innanzi il detto regno di Sicilia indipendente da quello di Napoli, e da qualunque altro regno o provincia»168.

Il potere giudiziario, «abolite di già tutte le giurisdizioni particolari, ovvero i così detti fori»169, è attribuito a giudici di prima e seconda istanza, con residenza nei centri con più di tremila abitanti, e ai tribunali, dislocati in numero di uno per ogni distretto170. Inoltre la costituzione stabilisce cinque tribunali d’appello, tre nella capitale, uno a Messina e uno a Catania, composti di tre giudici e un presidente. Per tutto il regno è, poi, previsto un solo tribunale di cassazione con sede a Palermo.

L’abolizione della feudalità – decretata dall’articolo XI171 delle basi e specificata nel decreto Della feudalità, diritti e pesi feudali – «avrebbe dovuto essere il merito storico fondamentale della nobiltà siciliana»172, ma risentiva delle influenze della parte più retriva della nobiltà che sì, aveva accettato l’eversione del sistema feudale ma non intendeva rinunciare ai suoi privilegi di casta. In sostanza i feudi posseduti in virtù del diritto feudale diventarono proprietà privata degli ex feudatari che non avevano più l’obbligo di rispettare vincoli feudali come, ad esempio, gli usi civici. Questi rappresentavano un bene per la popolazione, quindi fu stabilito che nel caso in cui fossero di pertinenza signorile sarebbero stati aboliti

168 Costituzione di Sicilia del 1812, art. 17, Per la successione al trono del regno di Sicilia, in A. Acquarone, M. d’Addio, G. Negri, Le costituzioni italiane, cit., p. 423. 169 Ivi, Titolo III, capo I, art. 2, p. 442.

170 L’apparato amministrativo realizzato nel 1812 aboliva la partizione del territorio siciliano in tre valli e ne decretava la suddivisione in ventitré distretti, cfr. Divisione della Sicilia in ventitré distretti onde provvedere alle Magistrature, al Commercio e ad altri oggetti di pubblica utilità, Palermo, 1812.

171 L’articolo XI delle basi affermava «Che non vi saranno più feudi, e tutte le terre si possederanno in Sicilia come in allodii, conservando però nelle rispettive famiglie l’ordine di successione, che attualmente si gode. Cesseranno ancora le giurisdizioni baronali; e quindi i baroni saranno esenti da tutti i pesi, a cui finora sono stati soggetti per tali diritti feudali. Si aboliranno le investiture, relevi, devoluzioni al fisco, ed ogni altro peso inerente ai feudi, conservando però ogni famiglia i titoli e le onorificenze», in Le costituzioni italiane, cit., p. 404.

senza indennizzo, se discendenti da un accordo tra il signore e le popolazioni vassalle sarebbe stato concesso un indennizzo. Ciò in linea di principio, nei fatti gli usi civici furono confiscati, tranne che una sentenza della magistratura ordinaria stabilisse che derivavano da origine contrattuale.

Con l’abolizione dell’ordinamento feudale, quindi, lo Stato diveniva tutore unico della giurisdizione sul territorio; la nobiltà, rinunciava alle sue prerogative di origine feudale, come il mero e misto impero, i baroni così diventano dei semplici proprietari terrieri, «ma acquistando il potere della cosa pubblica insieme col Re in un sistema costituzionale che dava loro la facoltà di far leggi e al Re di applicarle e governare»173. L’eversione del sistema feudale fu quindi vantaggiosa per l’aristocrazia, ma, il grosso della popolazione fu privato degli unici diritti (ad esempio, di pascolo, di legnatico) di cui godeva: gli usi civici sulle terre feudali. La nobiltà riusciva, ancora una volta, a mantenere il suo ruolo di classe dominante politicamente ed economicamente174.

L’abolizione dell’istituto del fedecommesso, appoggiata in parlamento dai bracci demaniale ed ecclesiastico, compromise irrimediabilmente l’unità politica del baronaggio siciliano, provocò una profonda lacerazione in seno all’aristocrazia, lo stesso partito costituzionale risentì delle violente discussioni sull’argomento, che ne determinarono la rottura.

Il principe di Castelnuovo sosteneva la soppressione del fedecommesso, egli comprendeva che mantenere in vita quest’istituto medioevale avrebbe svuotato di significato l’abolizione della feudalità che, nel suo disegno, avrebbe dovuto favorire l’ascesa sociale e politica della borghesia terriera. Borghesia e aristocrazia sarebbero divenute, nelle idee del principe, le due classi dirigenti dell’isola. In parlamento le cose andarono diversamente, di fronte al decreto sull’abolizione del

173 F. Renda, Dalle riforme al periodo costituzionale, cit., p. 279. 174 R. Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, cit., p. 141.

fedecommesso i baroni «senza quasi discussione o esame, tumultuariamente lo rigettarono, e ripugnante lo dichiararono alle basi della costituzione già sanzionate», anche il principe di Belmonte, membro autorevole del cosiddetto partito costituzionale si schierò con i nobili che consideravano «una ed indivisibile la causa della nobiltà e quella de’ fedecommessi»175 . La proposta presentata dal braccio demaniale per l’abolizione dell’istituto prevedeva che i fedecommessi e le sostituzioni di qualunque natura sarebbero stati aboliti a partire dal giorno della sanzione reale, ma in sostanza, ripristinava il maggiorasco vincolando la quarta parte di tutti quei beni relativi a una Paria (gravata da fedecommesso) «non come un fondo addetto alla famiglia, ma come un maiorasco proprio esclusivamente dalla Paria […] inalienabile senza che sulla medesima, per qualunque cagione, possa farsi veruna assegnazione o detrazione in favore di chicchessia»176. Il decreto, malgrado «l’affare non si maneggiò e conchiuse senza bastante contraddizione, e de’ gagliardi dibattimenti», alla fine ottenne l’approvazione dell’assemblea parlamentare. Il sovrano nella sanzione ammetteva la riforma dei fedecommessi, ma affermava che non l’avrebbe approvata fintantoché il parlamento non avesse presentato sulla questione un progetto di legge «interamente uniforme alla Costituzione inglese»177.

Il Decreto per la libertà della stampa e quello sulla Libertà, dritti e

doveri del cittadino178, sono, con ogni probabilità le parti della carta costituzionale che risentono maggiormente dell’influenza liberale e democratica esercitata, in fase di elaborazione della costituzione, dagli esponenti radicali del braccio demaniale che, lo si è già detto, erano

175 P. Balsamo, Memorie segrete, op. cit., p. 121.

176 Costituzione di Sicilia del 1812, Dell’abolizione de’ fedecommessi, art.8, in Le costituzioni italiane, cit., p. 434.

177 Ivi, p. 435.

178 E Sciacca, Riflessi del costituzionalismo europeo in Sicilia (1812-1815), cit., p. 118. I testi dei due decreti in Le costituzioni italiane, cit., pp. 424-429.

esponenti dell’aristocrazia provinciale e della borghesia terriera, sostenitori di principi liberali e di orientamento democratico. Il primo dei due decreti era stato formulato da Belmonte, Balsamo e Castelnuovo ponendo alla libertà di stampa «gravissime restrizioni» salvo poi adeguarlo, nei termini generali, a quanto previsto sull’argomento nella costituzione britannica. In parlamento su proposta di un esponente della camera demaniale, Cesare Airoldi, fu proposta l’assoluta libertà di stampa che fu approvata, «vi aderirono con entusiasmo le due camere demaniale e baronale, e vi contradisse e protestò acrimoniosamente quella degli ecclesiastici»179. Il decreto sulla libertà, i diritti e i doveri dei siciliani presenta dei principi decisamente progressisti rispetto alla realtà isolana; il diritto alla libertà di parola sancito dal capo I secondo cui «ogni siciliano avrà la facoltà illimitata di parlare su qualsivoglia oggetto politico»180; il diritto di resistenza all’abuso di potere (capo II) per cui «ogni cittadino siciliano avrà il diritto di resistenza contro qualunque persona, che senza essere autorizzata dalla legge volesse usargli violenza»; il riconoscimento di ogni cittadino «come faciente parte del potere legislativo direttamente o indirettamente», e che quindi «come tale non riconoscerà altre autorità, salvo quelle stabilite dalla legge»181 (capo VIII); la necessità di una formazione culturale, anche se limitata al saper leggere e scrivere, per poter esercitare i diritti politici (capo X); il capo XI, che riportò il veto regio, stabiliva che ogni cittadino che non avesse vaccinato i figli non avrebbe potuto partecipare, direttamente o indirettamente, alla elaborazione della legge né prendere parte ai consigli civici. Questi ultimi e le magistrature municipali furono regolati, secondo le norme contenute nel decreto

179 P. Balsamo, Memorie segrete, cit., p. 115.

180 Gli articoli di seguito citati in Le costituzioni italiane, cit., pp. 426-429.

181 E. Sciacca, Riflessi del costituzionalismo europeo in Sicilia (1812-1815), cit., pp. 118-119.

apposito182, da principi democratici e basati sul modello dell’auto-governo locale.