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Le basi della nuova costituzione ebbero il voto unanime dei tre bracci del parlamento quindi furono trasmesse al Consiglio di Stato che le avrebbe discusse prima di sottoporle alla sanzione regia. Trascinati dall’entusiasmo per la celerità con cui i principi fondativi della nuova carta erano stati approvati in parlamento, molti tra i parlamentari suggerirono di continuare i lavori sul testo esplicativo della costituzione. I ministri con l’appoggio di Lord Bentinck facevano notare, in risposta a tale proposta, che non poteva iniziarsi il lavoro di formulazione del testo costituzionale se prima le basi, i principi fondamentali, non avessero ottenuto l’assenso reale.

156 P. Balsamo, Memorie segrete, pp. 105-106.

157 Secondo il Balsamo «la soppressione dei dritti angarici senza alcuna perdita dei possessori dava a conoscere il pretto egoismo dei baroni» i quali inoltre «amavano di levare l’amministrazione della rendita pubblica al re, e darla al parlamento, perché non volevano perdere quei favori, che loro si compartivano alla deputazione del regno nell’esazione dei tributi o donativi» per molti di essi inoltre la nazione «perder non dovea quel dritto, che possedeva da secoli, di amministrare i proventi e beni dello Stato, e che in Sicilia non era mai troppo l’imbrigliare il potere esecutivo» (P. Balsamo, Memorie segrete, cit., pp. 106-107).

La questione dell’approvazione regia suscitò una discussione sui poteri del principe vicario; ovvero aveva quest’ultimo con la clausola dell’alter

ego la facoltà di sanzionare le basi o avrebbe dovuto richiedere una nuova autorizzazione al re? Secondo il principe di Cassero e altri baroni la detta clausola autorizzava il principe ereditario a intervenire negli atti ordinari del parlamento, ma non in quelli straordinari come la sanzione sulle deliberazioni parlamentari; inoltre poteva il potere del vicario stravolgere la forma del governo che gli era stato affidato e limitare i poteri della corona? Per i sostenitori delle limitate prerogative del principe occorreva chiedere una nuova autorizzazione al re Ferdinando. Di parere opposto il Castelnuovo, l’abate Balsamo e altri, secondo i quali la clausola dell’alter

ego comprendeva tutti i poteri e se il vicario aveva facoltà di emanare o approvare una legge questo potere non veniva meno se le leggi erano tante. Ebbe la meglio il punto di vista del principe di Cassero, anche nella prospettiva di tutelarsi in caso di futuri attacchi alla costituzione da parte della corte. Lord Bentinck si assunse il compito di recarsi dal sovrano per ottenere una cedola che abilitasse il principe a sanzionare le deliberazioni del parlamento.

La cedola concessa dal sovrano il primo agosto venne registrata dal protonotaro del regno il dieci dello stesso mese, nel giorno in cui furono sanzionati e pubblicati in parlamento gli articoli delle basi dopo l’esame del consiglio di Stato158. Rispetto al documento approvato in sede parlamentare non ottennero la sanzione regia l’articolo X che riportò il vetat, il XIII e il XV su cui venne rinviato l’eventuale assenso. L’articolo X relativo all’amministrazione della rendita pubblica159 basandosi sulle prerogative

158 Sulla figura e l’ufficio del protonotaro cfr. S. Catalano, La riforma costituzionale del 1812 e le nuove funzioni del Protonotaro del regno nei parlamenti degli anni 1813- 1815, in «Archivio storico per la Sicilia Orientale», LXXX, 1984, pp. 109-140.

159 «La disposizione – ha scritto Sciacca – contenuta nell’art. X, che tra l’altro contrastava con l’art. III delle stesse Basi, che attribuiva il potere esecutivo al re ed al suo governo, se poteva avere una propria logica in un ordinamento di origine e di natura feudale, quale era quello siciliano ante 1812, incentrato […] sul palese o latente dissidio

della Deputazione del regno privava l’esecutivo dell’amministrazione finanziaria per attribuirla al parlamento; i baroni cercarono in ogni modo di ottenere che l’amministrazione dei beni e delle rendite della nazione fosse di pertinenza del parlamento, ma il principe di Castelnuovo lottò affinché l’articolo in questione non ricevesse il placet. Il veto apposto dal sovrano provocò le ire dei nemici del ministro delle finanze che, da quel momento, formarono un partito nel braccio demaniale; costoro

«eran così ciechi, che si facean pompa di chiamarsi partito di opposizione. Essi crucciati per esser loro fallito quel colpo andavano predicando, che i ministri si erano lasciati corrompere dal re; che la costituzione non era abbastanza democratica, come i Siciliani l’avrebbero voluto; che essa all’incontro non era che un dispotismo velato; che i bisogni dello Stato erano finti; che il ministro delle finanze nascondea in vero fruttato della rendita, per dar sottomano denaro al re»160.

L’articolo XIII sui diritti angarici, deliberava che la rinuncia ai diritti angarici e privativi si dovesse indennizzare; su questo articolo, come s’è detto, il sovrano non pose il veto assoluto ma decise di rimandare l’eventuale approvazione. Il piano d’indennizzo testimoniava della cattiva coscienza di molti tra i baroni, essi in realtà pensavano a come poter difendere o addirittura accrescere il potere dell’aristocrazia ai danni e della corona e del terzo stato: con l’articolo XIII infatti «si deliberò che i diritti privativi e angarici ai quali si rinunciava dovessero indennizzarsi dai vassalli – anche quando derivavano dalla mera prerogativa signorile – “con ragionare il capitale al cinque per cento sul fruttato, sia della gabella che vi sarà all’epoca della risoluzione, ovvero, mancando questa, sui libri della

tra lo stato e la “nazione”, o sulla loro reciproca diffidenza, non avrebbe potuto trovar posto in una moderna e liberale concezione dello stato» (E. Sciacca, Riflesssi del costituzionalismo europeo in Sicilia (1812-1815), cit. pp. 122-123).

160 N. Palmeri, Saggio storico e politico sulla Costituzione del Regno di Sicilia, cit., pp. 172-173.

rispettiva segrezia”: con che la rinuncia ai diritti feudali si sarebbe trasformata in un ottimo affare per i baroni, analogo a quello che la nobiltà francese aveva cercato di compiere con la solenne rinuncia del 4 agosto 1789»161 . Infine non ottenne il placet regio l’articolo XV relativo all’applicazione di altri principi della costituzione britannica a quella siciliana; su quest’ultimo argomento il principe deliberò che avrebbe deciso quali provvedimenti sanzionare man mano che gli fossero stati presentati. La seconda fase dei lavori parlamentari ebbe inizio il 20 luglio del 1812. L’assemblea facendo riferimento agli articoli delle basi già approvati (ma non ancora sanzionati dal sovrano) doveva adesso elaborare tutti gli articoli esplicativi dei principi fondamentali che avrebbero formato il testo costituzionale vero e proprio.

L’atmosfera più o meno conciliante tra le varie componenti parlamentari, che aveva contraddistinto la prima fase dei lavori sino all’approvazione delle basi, cominciò a venir meno. Il progetto dell’abate Balsamo rappresentò la piattaforma dei dibattiti parlamentari su cui diverse concezioni politiche si scontrarono, le deliberazioni dei tre bracci del parlamento alla fine produssero un nuovo testo costituzionale in cui s’intrecciano concezioni diverse162. Lo stesso abate, autore del progetto originario, nelle sue Memorie dirà che le carte del piano costituzionale furono «da tutti messe sossopra, ed in mille guise sconciate e deturpate»163.