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1812: una costituzione in Sicilia

Dallo scoppio della Rivoluzione francese l’Europa vive il diffondersi di un’intensa stagione costituzionale. Questo fenomeno, interrotto dal Congresso di Vienna con la Restaurazione che ne seguì, comprende anche la promulgazione della costituzione siciliana del 1812. Nello stesso anno fu scritta la costituzione spagnola di Cadice39. Entrambe le carte saranno destinate un notevole fascino come modelli, da imitare o respingere, nei decenni successivi. La rivoluzione dell’ottantanove innescò la miccia di un movimento per la libertà che infiammò l’Europa, non solamente la Francia; per circa venticinque anni dallo scoppio del movimento rivoluzionario vi fu un fiorire di esperienze costituzionali. In Sicilia, come del resto in Spagna, il movimento costituzionalista vide la luce allorquando nel resto del continente la stagione costituzionalista volgeva al termine. Per la Sicilia, che si trovava in condizioni di profonda arretratezza economica, politica, culturale, rispetto all’Europa la costituzione del ’12 – pur con i suoi limiti e le sue contraddizioni – è il primo passo verso la modernità, il primo passo verso la formazione di uno stato costituzionale moderno.

La vicenda storica della costituzione siciliana è stata travagliata sin dal suo apparire è ha avuto così breve vita (1812-1815) da essere stata

39 Cfr. R. Carr, Storia della Spagna (1808-1939), (Oxford, 1966) Firenze 1978, vol. I, pp. 96-147; J. M. Portillo Valdés, La Nazione cattolica. Cadice 1812: una costituzione per la Spagna, Manduria-Bari-Roma, 1998; S. Scandellari, Da Bayonne a Cadice. Il processo di trasformazione costituzionale in Spagna: 1808-1812, Messina, 2009.

consegnata al mito40. L’entusiasmo creatisi attorno alla nuova costituzione si spiega con il risveglio – che essa provocò – degli antichi ideali di libertà e indipendenza della nazione della vecchia costituzione normanna. Questi due ideali contenuti nella carta costituzionale del 1812, il costituzionalismo liberale e l’indipendenza della nazione, non avevano la stessa valenza per tutte le forze politiche dell’isola. Se nella capitale, a Palermo, l’aristocrazia, l’unica classe sociale ad avere rilevanza politica contemplava entrambi gli ideali, nella parte orientale della Sicilia, a Messina e a Catania, più democratiche, si superava la dimensione autonomistica spingendo più sul tema del liberalismo.

L’ottimismo suscitato dalla carta del 1812 si rifà anche alla convinzione, diffusa tra gli intellettuali siciliani, che in realtà non si trattava di una costituzione redatta ex novo sul modello inglese, ma di una revisione della costituzione normanna. Questa convinzione rispondeva a due diverse esigenze, la prima di carattere politico: il sovrano avrebbe avuto maggiori difficoltà ad abrogare un testo accettato per secoli da diversi regnanti. La seconda di carattere ideologico; secondo l’interpretazione tradizionalista ed empirista dello storico inglese Bolingbroke per cui la costituzione è «quell’insieme di leggi, istituzioni e consuetudini, derivate da certi immutabili princìpi di ragione e diretti a certi immutabili fini di pubblico bene, che costituiscono il complesso del sistema secondo il quale la comunità ha convenuto ed accettato di essere governata»41. Pertanto, una carta costituzionale non si crea dal nulla ma nella concezione degli estensori si riprendono le antiche tradizioni siciliane, che avrebbero dovuto fornire la base (consuetudini, leggi istituzioni) su cui edificare il nuovo impianto costituzionale seguendo il modello della costituzione inglese. Tra i siciliani che auspicavano la riforma costituzionale molti erano

40 Cfr. E. Sciacca, Riflessi del costituzionalismo europeo in Sicilia (1812-1815), cit., pp. 15-16.

41 Bolingbroke, A Dissertation upon Parties, London, 1735, citato da E. Sciacca, Riflessi del costituzionalismo europeo in Sicilia (1812-1815), cit., p.18.

sinceramente convinti che tra la costituzione siciliana d’epoca normanna e la costituzione inglese (stabilita nello stesso periodo) in origine non ci fossero differenze, quelle rilevabili agli inizi dell’ottocento erano dovute al mancato rispetto di qualche capitolo nonché agli abusi perpetrati dalle diverse monarchie che avevano regnato sull’isola42. Non tutti i siciliani credevano che le cose stessero realmente così, alcuni, come Tommaso Natale, non mancavano di esprimere la loro diversa opinione anche con accenti ironici miranti a sottolineare che «la Sicilia non è la Magna Britannica né la cappa di un enorme gigante non poteva mai adattarsi alla piccolissima statura di un pigmeo»43.

Una delle figure più importanti della vicenda costituzionale siciliana dei primi anni dell’Ottocento, lord William Bentinck, convinto assertore del sistema costituzionale sia come metodo sia come tipo di organizzazione politica era piuttosto «scettico sulla adattabilità di “modelli” concreti di forme di governo al di fuori del loro contesto storico: non a caso quindi troverà ridicolo per la Sicilia l’imitazione dettagliata della costituzione inglese»44. Bentinck non era propenso a seguire dei modelli specifici e in Sicilia propose l’attuazione di un assetto statuale che garantisse la partecipazione politica anche a quelle classi sociali che, tradizionalmente nell’isola, ne erano rimaste escluse: la borghesia e i medi proprietari terrieri.

In ogni caso, il fascino che la costituzione “all’inglese” ha esercitato negli anni non cancella la sua reale consistenza, ovvero quella di essere un esperimento ancora in embrione quando a causa del sovvenire di

42 N. Palmeri, Saggio storico e politico sulla Costituzione del regno di Sicilia, (1847), Palermo, 1972, p. 156.

43 T. Natale, Memoriale al principe vicario, presso la Biblioteca comunale di Palermo (2 Qq. G. 107); pubblicato da F. Genuardi, T. Natale e la Costituzione del 1812, in «Archivio Storico Siciliano» XLIII (1921), pp. 361-368.

44 C.R. Ricotti, Il costituzionalismo britannico nel mediterraneo fra rivoluzione e restaurazione. Dal “modello corso” (1794) al “modello ionio” (1818), in Il modello costituzionale inglese e la sua recezione nell’area mediterranea tra la fine del 700 e la prima metà dell’800, cit., p. 413.

avvenimenti esterni se ne bloccò lo sviluppo. Da quel momento, da quell’esperienza, la Sicilia, in un certo senso, lega le sue sorti future al destino d’Italia. Molti degli intellettuali e politici siciliani emigrati dopo il 1816 e ancor di più dopo il 1848, infatti, faranno molto per superare il tradizionale autonomismo e separatismo isolano allacciando l’esperienza siciliana alle vicende risorgimentali italiane.