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L’Inghilterra per contrastare l’avanzata delle truppe napoleoniche e delle costituzioni francesi in Europa decide di fronteggiare la Francia non solo sul piano militare, ma anche su di un piano ideologico. Consapevole anche del fatto che i principi di libertà ed eguaglianza esaltati durante la rivoluzione dell’ottantanove sono stati traditi dalla politica accentratrice e dispotica di Napoleone. Farsi sostenitrice di regimi liberali rappresenta per la Gran Bretagna l’occasione di sconfiggere Napoleone mostrando per mezzo della contrapposizione delle sue libere istituzioni all’assolutismo francese come una nazione potesse essere positivamente retta, governata, secondo un modello costituzionale non necessariamente ispirato ai principi democratici e giacobini francesi.

Il progetto inglese di intervento nell’area mediterranea, sostenuto anche da storici, come ad esempio Francis Gould Leckie il quale in alcuni suoi scritti politici (1809 circa) conia in merito la formula Britannizing, consiste nell’abbandonare la lotta contro i francesi sul continente per concentrare le forze (più ideologiche che militari) nell’area mediterranea col proposito di giungere alla «formazione di un vero e proprio “impero insulare” nel Mediterraneo mediante la conquista delle maggiori isole»51. Quest’ultime sarebbero state governate secondo i dettami del costituzionalismo liberale di stampo inglese rappresentando, lo si e già detto, per i popoli sottoposti al dispotismo napoleonico un vessillo di libertà in nome del quale ribellarsi. Nel 1806 il governo britannico decide di intraprendere un’iniziativa politica in Sicilia – che era l’unica parte del Regno di Napoli a essere rimasta libera dal dominio francese – finalizzata a istituire un protettorato inglese sull’isola. Nell’isola si nutrivano rapporti di simpatia e di ammirazione nei confronti dell’Inghilterra e delle sue istituzioni già a partire dalla seconda metà del Settecento.

La cultura inglese penetrava in Sicilia attraverso la traduzione di classici del pensiero empirista britannico; erano frequenti i viaggi di turisti britannici nell’isola, vi furono anche, a partire dal 1750 vari rapporti di tipo commerciale con l’insediamento in Sicilia di attività commerciali e industriali facenti capo a cittadini inglesi; molti i viaggi compiuti da nobili siciliani che torneranno pieni di ammirazione per l’organizzazione politica ed economica di quel Paese52.

Gli esponenti più colti della nobiltà siciliana, appartenenti al cosiddetto partito costituzionale, guardavano alle istituzioni britanniche come a un modello di riferimento cui ispirarsi per rafforzare e rinnovare gli istituti

51 C.R. Ricotti, Il costituzionalismo britannico nel Mediterraneo fra rivoluzione e restaurazione. Dal “modello corso” (1794) al “modello ionio” (1818), in, Il modello costituzionale inglese e la sua recezione nell’area mediterranea tra la fine del 700 e la prima metà dell’800, cit., p. 407.

siciliani colpiti dai tentativi della monarchia borbonica di applicare i princìpi del riformismo illuminista nell’isola. Costoro erano convinti che formulare la carta costituzionale del 1812 altro non era se non rivedere l’antica costituzione del Regno guardando come modello di riferimento la costituzione inglese poiché «la differenza tra la costituzione inglese e l’originaria costituzione siciliana era l’effetto o dell’abuso o dell’inosservanza di alcuni capitoli; laonde, ricondurre la costituzione siciliana al suo antico essere, ed adottare la costituzione inglese non eran che due maniere diverse d’esprimere la stessa cosa»53. In altri termini per uomini quali il Belmonte54, Castelnuovo, Aceto55, Palmeri ed altri in Sicilia vi era una lunga, ininterrotta, storia costituzionale dal regno di Federico II di Svevia che nel parlamento di Melfi (1231) aveva pubblicato la Constitutiones regni Siciliae alla costituzione del 1812. In sostanza la nuova costituzione siciliana non avrebbe dovuto fondare un nuovo ordine, ma emendare quello già esistente e rispondente alla realtà stessa delle cose. Questa posizione, meglio conosciuta con il nome “normannismo”, si diffonde soprattutto per ragioni politiche: il sovrano, la Corona, difficilmente avrebbe potuto abrogare una costituzione in vita da secoli e accettata da dinastie reali diverse senza incontrare difficoltà.

In realtà non c’è continuità tra la costituzione siciliana del 1231 e quella del 1812 esemplata sul modello inglese, quest’ultima fa propri principi costituzionali lontani dagli standard costituzionalistici medioevali. Le due costituzioni medioevali, la siciliana e l’inglese, erano si entrambe risalenti al periodo feudale e ambedue promulgate da principi normanni, ma la carta siciliana non aveva avuto un’evoluzione costituzionale tale da renderla

53 N. Palmeri, Saggio storico politico sulla Costituzione del Regno di Sicilia, Palermo, 1972, p.156.

54 G. Giarrizzo, Belmonte, Giuseppe Ventimiglia, in Dizionario Bibliografico degli italiani, Roma, 1966, vol. 8, pp. 22-26.

55 F. Brancato, Aceto Cattani, Giovanni, in Dizionario Bibliografico degli italiani, Roma, 1960, vol. 1, pp.139-141.

rispondente alle esigenze della modernità ed era rimasta ferma ai suoi istituti medioevali, l’inglese, invece, si era via via andata modificando e con la Gloriosa Rivoluzione, com’è noto, aveva fissato le basi di uno stato costituzionale moderno.

Gli ideali della costituzione inglese, diffusi tra gli intellettuali siciliani grazie alle opere di De Lolme, Blackstone e Montesquieu, erano lontani essi stessi dall’originario costituzionalismo medioevale. La classe aristocratico-intellettuale siciliana tendeva a interpretare il pensiero politico costituzionale secondo parametri ad essa congeniali. Così se Montesquieu teorizzava l’azione mediatrice dell’aristocrazia nel passaggio dalla società feudale alla modernità, alla fine del XVIII secolo «nel pensiero politico della Sicilia […] si tendeva ad interpretare Montesquieu nel senso di un particolarismo aristocratico, che si risolveva […] in una riaffermazione dell’originarietà, se non ancora del ‘potere’ feudale, certamente nel ruolo dell’aristocrazia nelle strutture istituzionali della monarchia, primo fra tutti il Parlamento»56.

Il pensiero costituzionalista siciliano è dunque espressione dell’aristocrazia, ciò ne rappresenta un limite poiché laddove in Europa la classe borghese si faceva portatrice di nuove istanze che avevano ripercussione sul pensiero politico trasformando lo stesso costituzionalismo, nell’isola mediterranea permane una concezione liberal- aristocratica dovuta ad un gap sociale rispetto ai grandi Paesi dell’occidente europeo: non esiste in Sicilia una classe sociale intermedia (se non in ridottissima misura) tra l’aristocrazia e la massa dei contadini. Malgrado la crescente acquisizione di ricchezza finanziaria mancava ai nuovi borghesi la coscienza di sé, ovvero quella consapevolezza che

56 E. Sciacca, La recezione del modello costituzionale inglese in Sicilia, in V.I. Comparato (a cura di), Modelli nella storia del pensiero politico, Firenze, 1989, II La rivoluzione francese e i modelli politici, pp. 314-315.

avrebbe permesso loro di chiedere un riconoscimento politico pari al loro peso economico.