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Il costituzionalismo della Restaurazione

Durante l’ultima fase del triennio costituzionale siciliano circolarono nell’isola i principi del cosiddetto costituzionalismo della Restaurazione85. I fondamenti del costituzionalismo della Restaurazione contemplavano il ripristino del principio del diritto divino alla Corona, tipico dell’ancient

régime e, in una certa misura, la limitazione dei diritti e del potere dell’assemblea legislativa86. In Europa si trattò di uno sconvolgimento di quanto era stato stabilito durante gli anni napoleonici. Dal punto di vista delle precedenti conquiste, durante la Restaurazione si assiste ad un processo involutivo: vengono rinnegate le conquiste civili, giuridiche e politiche, fino a quel momento raggiunte.

L’unico ordinamento costituzionale a rimanere in vigore fu quello francese istituito dalla Charte di Luigi XVIII del 4 giugno 1814. Questo testo costituzionale, che «riafferma il diritto divino della Corona e i diritti naturali», malgrado decretasse la separazione dei poteri, di fatto ristabiliva l’assolutismo del re e del suo governo dato lo svuotamento di valore dei poteri dell’assemblea parlamentare, non più autorizzata a legiferare, ma semplicemente ad esaminare e votare quanto stabilito dal sovrano. Il testo

84 A. De Francesco, La Sicilia negli anni rivoluzionari e napoleonici, in E. Iachello (a cura di), I Borbone in Sicilia (1734-1860), cit., p. 34.

85 L. Bulferetti, La Restaurazione, in Nuove questioni di Storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia, Milano, 1962, vol. I, pp. 387 ss.

86 E Sciacca, Riflessi del costituzionalismo europeo in Sicilia (1812-1815), cit., pp. 31- 33.

costituzionale concesso dal re francese in sostanza «inaugura un sistema intermedio tra la monarchia limitata e il governo parlamentare, frutto di un compromesso tra le concezioni monarchiche dell’antico regime e il principio della sovranità nazionale sancito dalla Rivoluzione francese»87. In Sicilia durante gli anni 1814-1815 i principi contenuti nel testo costituzionale francese palesano la loro presenza nelle riflessioni di intellettuali vicini alla Corona, come si evince dal progetto di revisione della costituzione del 1812 elaborato da Francesco Pasqualino, marchese di Marineo88, e dalle cosiddette “Trenta linee”89, cioè le istruzioni per rivedere il dettato costituzionale del ‘12, che il sovrano Borbone lasciò ad una commissione siciliana al momento di partire dall’isola per raggiungere Napoli. Questo documento, che secondo alcuni dei protagonisti delle vicende dell’epoca «era il risultato delle veglie del marchese Tommasi»90, nelle sue linee guida rappresentava lo stravolgimento dei principi della Costituzione del 1812. Il parlamento, analogamente a quanto stabilito nel modello d’oltralpe, ne usciva fortemente limitato nelle sue prerogative, privato del potere di legiferare era ridotto alla sola possibilità di chiedere al sovrano di proporre una legge, richiesta che non aveva (naturalmente) carattere di obbligatorietà per il re. Di contro erano rafforzati, proprio come nel testo francese del 1814, i poteri del sovrano e del governo «essendo

87 G. Astuto, L’amministrazione italiana. Dal centralismo napoleonico al federalismo amministrativo, Roma, 2009, p. 43.

88 G. Pipitone, Biografia del presidente Francesco Pasqualino scritta dall’avv. Giuseppe Niccolò Pipitone, Palermo, 1846. Sulla revisione costituzionale del Pasqualino cfr. A. Coppola, La Sicilia e la sua crisi politico-istituzionale (1810-1815) nei manoscritti di Francesco Pasqualino, Tesi di dottorato di ricerca di Storia delle istituzioni politiche, V ciclo, Università di Roma “La Sapienza”, Istituto di Studi Politici, 1991-1993. Il testo del Progetto di Costituzione per la Sicilia in E Sciacca, Riflessi del costituzionalismo europeo in Sicilia (1812-1815), cit., pp. 241-258.

89 F. Abbate, Le Trenta linee o Articoli fondamentali di istruzione comunicati da S. M. al membri della Commissione incaricata della rettifica della Costituzione col real Dispaccio del I Giugno 1815, Palermo, 1815.

90 N. Palmeri, Saggio storico e politico sulla Costituzione del regno di Sicilia, cit., p. 267. Anche il Balsamo ‘attribuisce al Tommasi (P. Balsamo, Memorie segrete, cit., pp. 264-265).

riconosciuto […] al primo la potestà di emanare anche i regolamenti e gli editti necessari per l’esecuzione delle leggi e la sicurezza dello Stato»91. Esplicito riferimento alla charte francese si trovava poi nelle disposizioni circa la libertà di stampa che era sì mantenuta ma, si precisava, con le medesime precauzioni adottate l’anno precedente in Francia da Luigi XVIII.

Il marchese Francesco Pasqualino, come funzionario regio, per formazione mirava al rafforzamento del potere del sovrano e non poteva certo considerare favorevolmente la prerogativa parlamentare, stabilita dalla carta siciliana del 1812, di esclusivo esercizio del potere legislativo. Egli, comunque, non abbandona del tutto il testo costituzionale del ’12 di cui salva molta parte. Dopo aver dichiarato il regno di Sicilia una monarchia ereditaria moderata di cui «la successione alla corona continuerà ad essere regolata colle disposizioni contenute nell’atto della solenne cessione fatta dall’Augusto Carlo III il 6 ottobre 1759»92 e l’assoluta indipendenza e separazione del regno di Sicilia da qualsiasi altro possedimento della Corona, il Pasqualino conferma l’obbligo per il sovrano di lasciare sull’isola, in caso di sua residenza altrove, un principe della famiglia reale o altra distinta personalità con pieni poteri di direzione del governo, disposizione questa già presente nel testo costituzionale del 1812. Nel suo progetto di revisione costituzionale, elaborato nel 1815, il marchese, però, toglie il potere di legiferare al parlamento (secondo quanto scritto nella charte) che viene ridotto ad essere «una semplice cassa di risonanza della volontà regia»93 e attribuisce al re la facoltà di eleggere i magistrati e di mutare il numero e gli attributi delle magistrature già istituite. Parimenti a quanto affermato dalla carta di Luigi XVIII nel

91 E. Sciacca, Riflessi del costituzionalismo europeo in Sicilia (1812-1815), cit., p. 218. 92 Ivi, Appendice II, p. 242.

93 D. Novarese, Tra Francia e Inghilterra. Riflessioni siciliane sulla carta costituzionale del 1812, in Il modello costituzionale inglese e la sua recezione nell’area mediterranea tra la fine del 700 e la prima metà dell’800, cit. p. 787.

progetto del Pasqualino vi è piena garanzia i diritti dei siciliani che «sono tutti liberi, ed uguali in diritto davanti la legge non ostante la differenza della loro nascita, fortuna e gradi»94; i diritti dei cittadini sono ampiamente tutelati dall’accesso ai pubblici impieghi ai quali può essere ammesso «indistintamente ogni Siciliano, che abbia le qualità previste dalla legge»95, alla libertà della persona e dei suoi diritti «sotto la garanzia della legge» e al divieto d’arresto «se non per ordine della legittima potestà»96.

Con l’estensione del modello della monarchia amministrativa anche nei possedimenti al di là del Faro Ferdinando I metteva fine ad ogni possibile revisione del testo costituzionale approvato nel 1812 e in Sicilia arrivava «quella rivoluzione francese che finora ne era rimasta esclusa, non certo con tutta la sua capacità di rinnovamento politico e sociale, ma sì almeno come forza demolitrice di vecchi assetti giuridici, come creatrice nell’isola della struttura dello stato moderno»97.

94 F. Pasqualino, Progetto di Costituzione per la Sicilia, in E. Sciacca, Riflessi del costituzionalismo europeo in Sicilia (1812-1815), cit., p. 255.

95 Ibidem. 96 Ivi, p. 256.