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137 P. Balsamo, Memorie segrete, cit., pp. 86-87. 138 Ivi, p. 91.

Il 28 marzo del 1812 venne formato il nuovo governo del regno di Sicilia sotto la reggenza del principe vicario Francesco. Il principe di Belmonte fu eletto consigliere e ministro degli affari esteri; Cassero ministro di grazia e giustizia; il Castelnuovo ministro delle finanze e il principe d’Aci della guerra e della marina. Avvenuta la formazione del governo si poteva finalmente discutere circa i progetti e i lavori della riforma costituzionale che stava a cuore sia agli inglesi sia ai baroni siciliani139. Il Bentinck aveva avuto dei colloqui in proposito con i baroni Belmonte e Castelnuovo già in occasione del loro rientro dai luoghi di detenzione. L’abate Balsamo era stato designato per elaborare un progetto di riforma delle costituzioni140 siciliane

«con praticare le minori possibili innovazioni nell’attuale forma di governo, con adottare per guida, nelle correzioni da farvisi, la costituzione d’Inghilterra, raccomandata dalla esperienza e dal buon successo di secoli, e con rigettare i principî della costituzione francese e spagnuola, che sono troppo democratiche, e perciò tendenti all’anarchia, e suppongono quella saggezza e virtù nelle società, che s’immagina, ma non si ritrova nell’uomo»141.

139 In merito alle origini dell’esperienza costituzionale siciliana del 1812 la storiografia ha avanzato diverse interpretazioni. Secondo gli storici più vicini alle vicende costituzionali come il Balsamo, il Paternò Castello, L’Aceto, e il Palmieri in Sicilia agivano fermenti costituzionali radicati nella tradizione dell’isola che aveva già una sua costituzione e dunque il movimento costituzionalista sarebbe un fenomeno siciliano indipendente da impulsi esterni (l’intervento inglese). Un’altra interpretazione è quella del Pontieri, il quale valutata la capacità politica della nobiltà isolana, sosteneva che l’impulso per un rinnovamento dell’isola doveva essere esterno; per lo storico quest’impulso è dato dalla vicenda siciliana del viceré Caracciolo. Una terza interpretazione è quella dello storico inglese J Rosselli, il quale sottolinea si il valore dell’intervento esterno rappresentato dal Caracciolo, ma pone anche in evidenza la presenza nell’isola di forze politiche che per reazione al Caracciolo si batteranno in difesa dei diritti della “nazione” siciliana. Cfr. E. Sciacca, Riflessi del costituzionalismo europeo in Sicilia (1812-1815), Catania, 1966, pp. 89-99.

140 Costituzioni, con questo termine – insieme a Capitoli e Prammàtiche – si è soliti indicare tecnicamente le fonti della legislazione del Regno di Sicilia (e di Napoli) nel loro complessivo svolgimento sotto le dominazioni normanno-sveva, angioina e aragonese.

L’abate, in tre mesi circa, preparò un piano di riforma che, basato sullo studio delle due costituzioni, siciliana e britannica, senza stravolgere l’ordinamento vigente riformasse la struttura politica del regno.

Il primo maggio, intanto, in un’atmosfera carica di speranza si convocava il parlamento142. Si poneva a questo punto per il governo il problema della composizione dell’assemblea parlamentare. La necessità di avere un gran numero di sostenitori della riforma costituzionale all’interno dei tre bracci del parlamento, spinse molti esponenti del ministero «in una singolare battaglia elettorale: l’acquisto delle procure parlamentari»143. Molti dei baroni che sedevano nel braccio militare riunirono nelle loro mani più mandati. Per quanto riguarda il braccio demaniale gli aderenti al partito costituzionale fecero pressione affinché gli elettori dei comuni eleggessero dei procuratori favorevoli alla costituzione, o per convincere gli eletti a rinunciare a favore di altri procuratori più “vicini” alla riforma. Il principe di Castelnuovo, ministro delle finanze, aveva interesse, per il bene della riforma costituzionale, a che nel braccio demaniale non sedessero dei rappresentanti pronti a piegarsi alle richieste degli altri due bracci. È probabile che il ministro, esercitando la sua influenza sulla designazione dei procuratori parlamentari delle città demaniali, abbia indirizzato le sue preferenze verso coloro che si erano opposti con decisione agli editti reali del febbraio del 1811. Frattanto il principe vicario e il re rifiutarono di appoggiare una congiura – favorita dalla regina Maria Carolina – ordita da esponenti della nobiltà di provincia ostili all’aristocrazia palermitana e alla riforma costituzionale144.

142 Cfr. i documenti relativi alla convocazione del parlamento del 1812 nel volume Costituzione di Sicilia stabilita nel generale straordinario Parlamento del 1812, preceduta da un discorso sulla medesima e da’ diplomi relativi alla convocazione del Parlamento, e dalla sanzione di tutte le proposte di esso, Palermo, 1813.

143 F. Renda, La Sicilia nel 1812, cit., p. 255. 144 Ivi, pp. 259-265.

L’apertura solenne del parlamento si tenne il 18 giugno 1812. Successivamente «si fecero le particolari adunanze dei tre bracci presso i rispettivi capi giusta l’antica costumanza»145, e il parlamento si riunì il 20 luglio 1812. Le aspettative rivolte a quel parlamento, che avrebbe dovuto determinare una nuova epoca della storia siciliana, ammantavano con un alone di solennità l’inaugurazione dei lavori. «Il real vicario nell’apertura di questo memorabile parlamento disse, ch’era ormai necessario di riunirsi in una magna carta tutte le prerogative nazionali, le quali stabilite dai re suoi avi sparse trovavansi ne’ capitoli del regno, e di adattare ai lumi del secolo la forma rappresentativa, che il lasso di tempo in disuso fatto avea cadere. Invitava i membri delle camere a tenere per modello de’ loro lavori la legge britannica, sotto la quale grande nazione erasi veduta prosperare»146.

Il progetto della nuova costituzione elaborato dall’abate economista fu messo a conoscenza di alcuni dei principali parlamentari e qualche articolo fu presentato al principe vicario, si sperava che il Borbone accordasse la nuova costituzione; ma il vicario, malgrado fosse lusingato dall’idea di presentarsi come un sovrano liberale al resto d’Italia, tergiversava poiché temeva che «il parlamento non trascorresse in eccessi di democrazia»147. In realtà il principe Francesco aveva chiesto consiglio al Medici148 – sul da farsi in relazione alle insistenze del ministro inglese sulla costituzione –

145 P. Balsamo, Memorie segrete, cit., p. 102. I lavori parlamentari si distinguono in due fasi, la prima relativa alla redazione e discussione del testo delle Basi va dal 18 giugno al 19 luglio; la seconda, dedicata all’elaborazione e approvazione del testo costituzionale, si protrasse dal 20 luglio al 7 novembre 1812.

146 F. Paternò Castello, Saggio storico e politico sulla Sicilia dal cominciamento del secolo XIX al 1830, (1848), Palermo, 1969, p. 83.

147 P. Balsamo, Memorie segrete, cit., p. 103. Il Balsamo sostiene anche che il Bentinck e i ministri riuscirono a convincere il vicario Francesco a concedere la costituzione «parte con infondergli paura, e parte con pascerlo di speranze che così s’avrebbe fatto un chiaro nome e procacciata gran stima e partito presso i napoletani non meno che presso tutti gl’italiani» (ivi, p. 96).

148 L. Blanch, Luigi de’ Medici come uomo di stato ed amministratore, in Idem, Scritti storici, Bari, 1945, vol. II, pp. 5-126.

prima che il napoletano lasciasse la Sicilia. L’ex ministro partenopeo ebbe un lungo incontro con il principe la sera prima di partire e, sostanzialmente, consigliava al Borbone di non accettare riforme riguardanti la libertà politica, di resistere ai cambiamenti politici e, ove ciò non fosse stato possibile, concedere lui una costituzione anziché accettarne una formulata dal parlamento «da cui non poteva giammai sperare alcun bene ma sempre ogni male»149. Inoltre invitava il sovrano a riprendere le istituzioni di epoca normanna sia perché più vicine alle posizioni inglesi, sia perché gli permettevano di riunire al regno di Sicilia il regno di Napoli, alla stessa maniera che gli inglesi con Scozia e Irlanda. Infine il Medici suggeriva al sovrano di far in modo che la costituzione si facesse con gli inglesi e dopo concederla compiutamente elaborata ai siciliani150.

Considerati i timori del vicario, gli fu proposta l’idea di realizzare una riforma nel sistema politico siciliano il cui risultato fosse uguale a quello della costituzione inglese. Ricevuto l’assenso del principe si chiese all’abate Balsamo di rivedere il progetto della nuova costituzione in modo tale che, senza fare riferimento alle «antiche leggi patrie», tutti gli articoli si basassero sulle forme costituzionali del governo britannico. Il Balsamo rivide il piano in pochi giorni. Il principe di Castelnuovo, a questo punto, fece pressioni affinché lo si presentasse al regnante il quale – stabiliti gli accordi con il ministero e il Bentinck –, nelle intenzioni del ministro delle finanze, l’avrebbe dovuto promulgare in parlamento. Il desiderio del Castelnuovo era quello di evitare le discussioni e le deliberazioni parlamentari, egli propendeva, in realtà, per una carta octroyèe poiché a suo dire

149 F. Renda, Maria Carolina e Lord Bentinck nel diario di Luigi de’ Medici, cit., p. 149.

150 Sui consigli del Medici elargiti al principe vicario in una memoria scritta a Messina, prima d’imbarcarsi alla volta dell’Inghilterra cfr. F. Renda, La Sicilia nel 1812, cit., pp. 229-236.

«il disegno di una nuova costituzione, per trovarvi ordine e regolarità, dev’essere di uno o di pochi, e non già della moltitudine. Molte teste possono formare delle leggi isolate, ma ripugna alla natura dell’uomo il supporre che possano formare un coro di leggi tra loro unite ed armonicamente connesse […] muove l’ammirazione e le risa il volere che dugento e più siciliani co’ scarsi lumi e co’ molti difetti di una lunga servitù, abbiano a scegliere e organizzare i modi secondo i quali dovranno esser governati. Quali gare, interessi e passioni non si sveglieranno tra i parlamentarî con le multiplici proposizioni, e co’ tanti dibattimenti? E quali e quante fazioni e disordini quindi non nasceranno? Proclamandosi al contrario dal vicario la costituzione, ogni pericolo ed inconveniente si eviterebbe»151.

Se il principe vicario avesse presentato la costituzione in parlamento per farla approvare si sarebbero, inoltre, rispettate le antiche leggi del regno, «tutte le riforme essenziali fatte nella costituzione di Sicilia si eran sempre proposte dal re ed accettate dal Parlamento […] Laonde il proporsi la costituzione dal principe, lungi di essere una illegalità, sarebbe stato un seguire fedelmente gli antichi esempi»152. Da parte dei ministri si temeva il dibattito dell’assemblea parlamentare sul testo costituzionale; pensavano che si, il parlamento era in grado di elaborare una legge ma un insieme di leggi fondamentali qual è una costituzione avrebbe sofferto, a parer loro, della molteplicità dei punti di vista.

Il desiderio del Castelnuovo e dei ministri, condiviso anche dalla corte e in ambito baronale, si scontrò con la ferma volontà del Bentinck, il quale sosteneva che dovevano essere i siciliani a darsi una nuova costituzione153; il ministro inglese metteva in chiaro che non poteva permettere che

151 P. Balsamo, Memorie segrete, cit., p. 104.

152 N. Palmeri, Saggio storico e politico sulla Costituzione del Regno di Sicilia, (1847), Palermo, 1972, p. 160.

153 «Il Bentinck in Sicilia, – ha scritto Renda – più che un suo indirizzo politico particolare, applicava un metodo già largamente e positivamente sperimentato in Spagna, dove le Cortes si erano erette a “generale straordinario parlamento”, e non solo avevano nominato una commissione speciale di tredici membri con l’incarico di preparare il testo della nuova costituzione, ma anche avevano “decretato” e “sanzionato” la nuova legge con un atto di sovranità nazionale» (F. Renda, La Sicilia nel 1812, cit., p. 215).

s’insinuasse che il nuovo ordinamento fosse stato dato alla Sicilia «alla punta della baionetta. “È la nazione stessa”, disse egli a’ ministri, “che deve darsi spontaneamente la costituzione, senza che v’abbia alcuna parte l’autorità e molto meno la forza»154. Si giunse a un accordo secondo il quale i tre bracci del parlamento, che di lì a poco si sarebbero adunati, avrebbero votato alla prima riunione le Basi della costituzione «affinché stabilitine una volta i principî, né la corte né il parlamento istesso deviar potesse o aberrare nei posteriori sviluppamenti» 155 . Le paure del Castelnuovo erano in parte giustificate. Infatti, non sempre le discussioni parlamentari, anche in seno al partito costituzionale, furono scevre di rancori e di atteggiamenti di rivalsa che testimoniano l’immaturità politica della classe baronale.

Ancora una volta è Paolo Balsamo ad avere l’incarico, da parte del ministero, di stendere il testo delle basi, ovvero i principi fondamentali della costituzione. In quattordici articoli le basi fissavano i compiti e i limiti dei tre poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, si sanciva l’abolizione della feudalità e dei diritti angarici, la nuova distribuzione della rappresentanza non più nei tre bracci bensì in due camere con la riunione dei bracci ecclesiastico e militare. Il testo delle basi venne discusso insieme ai principi di Belmonte e Castelnuovo e in seguito a casa del principe di Aci il quale insistette per modificare l’articolo in cui si attribuiva il potere di legiferare alle due camere del parlamento e al sovrano. Il principe d’Aci «volle ad ogni conto che si fosse scritto che il potere di far leggi risedeva solamente presso il parlamento, ma che le leggi da lui fatte non avevano forza e vigore alcuno senza la sanzione del re». Un’ultima discussione sul testo delle basi prima di presentarlo al parlamento avvenne a casa del principe di Cassero; qui si apportarono delle

154 N. Palmeri, Saggio storico e politico sulla Costituzione del Regno di Sicilia, cit., p. 161.

modifiche, per volontà dello stesso ospite, che non riguardavano tanto la sostanza degli articoli «ma furono quasi tutte dirette a meglio dichiarare, e a mettere sempre più in sicuro alcuni interessi e privilegi dei baroni»156. Il 20 luglio del 1812 si riunì il parlamento secondo la forma abituale dei tre bracci. Durante una riunione di venti ore furono votati gli articoli delle basi, con l’introduzione di alcune modifiche al testo del Balsamo. Le modifiche sottraevano al sovrano la facoltà di nominare i giudici e i magistrati; a seguito dell’abolizione dei diritti angarici sui fondi stabilivano un indennizzo per i proprietari; privavano l’esecutivo (il re) della facoltà di amministrare la rendita pubblica che veniva attribuita al parlamento157.