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casa come rappresentazione

Nel documento Il corpo (pagine 51-54)

ra ampiamente diffusa - secondo cui la casa è, per definizione, “il teatro della vita privata e dei tirocini più personali”60, luogo in cui dimorano l’affettività, l’intimità, l’oblatività, a differenza di quanto accade negli ambiti specifici della vita pubblica – quelli del lavoro per il mercato e della sfera di intervento delle istituzioni statuali – governati dalle logiche strumentali della razionalità moderna. La separazione tra pubblico e privato è andata di pari passo con un processo che, prima, ha privato la moglie del borghese della sua precedente funzione di guardiana dei confini della “front house” – una zona liminale tra lo spazio domestico della casa e lo spazio pubblico della strada - poi, ha portato a compimento la “domesticazione delle donne”, divenute guardiane del focolare “interno” ai confini della casa61.

Solo in anni recenti, si è iniziato a mettere in evidenza il carattere mitizzato di tale polarizzazione, che non è mai stata così netta come vuole ancora oggi il senso comune. Saraceno, ad esempio, sottolinea come, nello spazio domestico otto-novecentesco, si si- ano riflessi e intrecciati gli interventi di istituzioni e agenzie, ti- piche della sfera pubblica, che hanno avuto una forte influenza sulle condizioni materiali della vita familiare, tramite le politiche sociali. Inoltre, molto differente è stato – ed è – il significato della casa per soggetti appartenenti a classi sociali diverse. L’immagi- ne della casa come “teatro della vita privata” è il prodotto di una cultura urbana e medio-borghese, tendente a mettere in secon- do piano il fatto che casa sia stata anche e soprattutto luogo di socialità allargata (e scenario di agire pubblico) per la famiglia alto-borghese e luogo di lavoro per il mercato per le famiglie con- tadine e artigiane. Tale immagine tende, inoltre, ad ignorare che il lavoro “casalingo” delle donne ha assunto spesso importanti, ben- ché invisibili, valenze pubbliche di natura:

- istituzionale, nella misura in cui ha surrogato le carenze dello stato nel garantire i servizi connessi ai diritti sociali dei cittadini; - e di mercato, nella misura in cui ha prodotto beni e servizi, in una logica di autoconsumo, per certi versi concorrenziale con quella di mercato.

Vi sono modi ancora più invisibili in cui il pubblico ha sempre condizionato l’organizzazione funzionale della casa e lo stile del- le relazioni fra i membri della famiglia, tipicamente attraverso la definizione di precisi ritmi e orari per le attività extra-domestiche (il lavoro, la scuola, i negozi, ecc.) e la codificazione dei criteri le- gati al genere e all’età posti a fondamento della divisione sociale del lavoro e dell’accessibilità a diverse sfere di attività. In questo

60 M. Perrot, Modi di abitare, 1988

61 Pennartz P., Home: The experience of atmosphere, 1999

senso, oggi, è difficile definire lo spazio domestico sulla base di una rigida separazione tra pubblico e privato che, non solo non è mai veramente esistita, ma, come si vedrà più avanti, è conti- nuamente messa in discussione da una serie di fenomeni che stanno destrutturando gli spazi, i tempi e i ruoli che, in passato, hanno contribuito a circoscrivere l’agire nella sfera pubblica. Se ci svincoliamo da questa polarizzazione, possiamo guardare alla casa come ad uno spazio fisico organizzato secondo i criteri che, di tempo in tempo, appaiono più funzionali al soddisfacimento dei bisogni, fisiologici, identitari e relazionali delle persone che la abitano. E, ponendo l’accento sui bisogni delle persone, vediamo emergere la corporeità: un aspetto della domesticità che è stato spesso sottovalutato in passato. In effetti, l’abitare evoca, innanzi tutto, l’idea di corpi che si stabiliscono in un luogo, lo percorrono usualmente, indugiando al suo interno, segnandolo con i propri passaggi, utilizzandolo e adattandolo, nella misura del possibile, alle proprie necessità. E si presenta con significati e forme diffe- renti, secondo il diverso modo in cui le società definiscono i bi- sogni dei soggetti, in funzione del ruolo assunto dalla corporeità nell’immaginario culturale prevalente62.

La cultura moderna è stata plasmata dall’affermazione del prima- to della mente e della ragione sulla naturalità del corpo.

“Veniamo da una cultura in cui tutta la dimensione corporea dell’esperienza umana è stata relegata in una zona marginale, considerata in ogni caso puramente strumentale per l’attività fi- sica o per il lavoro […] La tradizione occidentale, fino all’epoca mo- derna, ha guardato con sospetto tutto ciò che si riferiva all’ordine degli istinti, delle pulsioni, dei bisogno profondi. La civiltà delle buone maniere … nelle sue versioni laiche o religioso-puritane ha guardato alle spinte profonde della natura e quindi del corpo come a qualcosa di pericoloso e incontrollabile.”63

Una conseguenza di ciò è che il corpo, principalmente il corpo con i suoi desideri e bisogni fisiologici, il suo disordine, la sua impuri- tà, va sottratto agli occhi del mondo, deve essere confinato nella casa, anzi, in alcune zone specifiche dello spazio domestico. Tali zone si incominciano a definire con precisione ed a separarsi nettamente dagli altri ambienti abitati dalla famiglia, man mano che avanza il processo di civilizzazione. Ciò che è “sporco”, “indeco- roso”, “impuro”, viene relegato in zone celate allo sguardo di even- tuali visitatori, l’accesso alle quali è rigidamente regolato e gerar- chizzato anche per gli stessi membri della famiglia. Si tratta di zone che stanno nel retroscena, come il bagno, con l’immancabile

62 N. Elias, The civilizing process, 1978 63 A. Melucci, Corpo, 2000

64 Putnam, Postmodern home life, 1999

cesto della biancheria sporca, la camera da letto, dove si confina il desiderio e si nasconde l’indecorosità della degenerazione fisica connessa alla malattia e alla morte.

Sulla ribalta – sala, salotto, soggiorno, cucina – si rappresenta, in- vece, l’ideale di armonia familiare, socialmente definito e norma- to: è la parte dell’interno che si può aprire alla vista del mondo esterno. Tale apertura è comunque condizionata al rispetto di pre- cisi rituali64, finalizzati a preservare da possibili contaminazioni la sacralità degli interni domestici, testimoniata dall’ordine della casa e dei suoi abitanti.

In tal senso, si potrebbe osservare come, nella tradizione culturale che abbiamo ereditato, la domesticità coincida con delle regole, poste a fondamento dell’ordine su cui si struttura lo spazio fisi- co e simbolico della casa, che sono funzionali all’organizzazione della doppia separazione pubblico/privato, mente/corpo. Nell’im- maginario moderno, questa doppia separazione era garantita dal rispetto di una gerarchia familiare, che rispecchiava precise definizioni sociali di ruolo per genere e generazione. Il rispetto di tale gerarchia garantiva il primato del criterio dell’appartenenza familiare su quello dell’identità personale dei singoli membri. Oggi, questo criterio è progressivamente messo in discussione dall’affermarsi dell’individualizzazione anche nei rapporti fami- liari, dando vita a complesse negoziazioni che interessano due ulteriori elementi connessi all’idea moderna di domesticità. Il primo riguarda la gerarchia implicita nelle pratiche di manipo- lazione dello spazio: chi decide le regole su cui si fonda l’ordine do- mestico? Chi si incarica di riportare l’ordine, là dove il movimento quotidiano dei corpi introduce elementi di disordine?

Il secondo elemento si riferisce alla temporalità specifica che ca- ratterizza lo spazio di tali pratiche.

Desperate Housewives - Charles McDougall - 2004

L’ambiente domestico come rappresentazione porta una suddivisione casalinga in ribalta e re- troscena. E’ nella ribalta che si intessono relazioni sociali con individui esterni alla casa, e dove si esibisce una realtà vetrinizzata.

Il mettere ordine è la pratica “principe” della domesticità: essa consiste, come si è notato, nel cancellare le tracce di ciò che vi è di sporco e indecoroso nel movimento quotidiano dei corpi. Ma significa anche stabilire, e ribadire costantemente, i confini del territorio esclusivo di ciascun corpo.

Munro e Madigan65 notano come, in passato, la condizione pa- triarcale sia stata incapsulata nell’organizzazione gerarchica dello spazio domestico, che, attraverso il concetto di privacy e lo stabilimento di precise regole sull’uso di spazi e oggetti presen- ti nella casa, ha separato gli uomini dalle donne, i membri più giovani della famiglia dai più anziani, gli inferiori socialmente (domestici) dai superiori. La casalinga è diventata, così, il nume tutelare della privacy, colei da cui dipende il ripristino quotidiano dell’ordine domestico. In questa prospettiva, il principio ordinato- re dello spazio domestico non è solo rigidamente gerarchizzato, ma è anche, e soprattutto, fondato su un modello di intimità de- finibile in termini di “fusione”, vale a dire, di dominanza della co- munità coniugale, parentale, familiare, sulle singole individualità che la compongono.

04.04

Nel documento Il corpo (pagine 51-54)