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lo specchio in europa

Nel documento Il corpo (pagine 63-67)

In antichità uno dei prodotti ricercati dai ceti più abbienti era naturalmente lo specchio. In questo settore, come in molte altre produzione di vetro, Venezia, in particolare Murano, rappresenta- va il centro dell’innovazione e della più interessante produzione a livello europeo. Qui, già nel XIV secolo si producevano specchi in vetro. Lo specchio d’epoca rinascimentale altro non era che una lastra di cristallo lucidata, con la parte posteriore ricoperta da un sottilissimo strato di stagno fissato con del mercurio in modo che l’immagine potesse riflettersi. L’operazione di applicazione dei due metalli era molto delicata perché il mercurio aveva costi ele- vati. La lastra di vetro veniva adagiata in uno speciale contenitore con base di pietra e dai bordi rialzati. Una volta applicati con una certa pressione dei sottilissimi fogli di stagno vi si versava sopra il mercurio che serviva ad amalgamarli al vetro. Dopo circa 24 ore il contenitore e quindi la lastra venivano sollevati e inclinati in modo che il mercurio in eccesso potesse essere recuperato. Solo verso la metà del XIX secolo questo processo di produzione venne abbandonato e il mercurio e lo stagno furono sostituiti dall’ar- gentatura: ovvero una tecnica che fissava nitrati di argento al ve- tro grazie a una soluzione a base di ammoniaca e acido tartarico. Una volta ottenuto l’amalgama si ricopriva con un sottile strato di gomma lacca. Oggi il fondo riflettente dello specchio è invece costituito da un sottile strato di rame che viene amalgamato al vetro tramite un procedimento elettrolitico.

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lo specchio

cavi, molto fragili e riflettenti in modo assai più impreciso rispetto a quelli metallici. Solo in età romana tardo-imperiale (quando la tecnica si perfezionò con l’applicazione di una lastra metallica re- trostante a quella vitrea) ebbero una più larga diffusione, ma in effetti sino a tutta l’età medievale lo specchio più comunemente usato fu quello metallico. Fu allora assai diffuso, specie in Francia, un tipo di specchio portatile con custodia (miroir de poche): ed è proprio la custodia, quasi sempre in avorio con figure intaglia- te, a costituire la parte più interessante dell’insieme. Fino a tutto il secolo XVI in ogni caso lo specchio metallico ebbe larghissima diffusione; va però rilevato come fin dal secolo XIV, in area germa- nica (Baviera, Norimberga) si avviassero più consistenti tentativi per realizzare specchi vitrei. Ma la modesta riflettenza di questi specchi nei quali la lastra vitrea veniva sul retro rivestita di uno strato di piombo fuso, e per alcuni dei quali era forse già usato il sistema dell’amalgama, determinò una loro assai limitata diffu- sione. La reale affermazione dello specchio vitreo detto “bambola” si ebbe solo ad opera dei maestri veneziani nella seconda metà del secolo XVI. Fin dagli inizi del Cinquecento a Venezia si dovette- ro mettere in atto tentativi per realizzare specchi vitrei, se nel 1507 due maestri muranesi, Andrea e Domenico d’Angelo Dal Gallo, ri- volgevano una istanza al Consiglio dei Dieci intesa ad ottenere il privilegio per fabbricare “specchi de vero [vetro] cristallin”. La tec- nica adoperata dai maestri veneziani è puntualmente descritta da Leonardo Fioravanti nel suo “specchio di scientia universale” (Venezia 1572): “Ne apprendiamo che i maestri vetrai, dopo aver soffiato gli ampi cilindri (che si dicevano ‘versighe’, per cui erano chiamati essi stessi ‘versigheri’), li aprivano e distendevano su una paletta apposita facendone riquadri ritagliati ... Successivamente avveniva la operazione della spianatura e quella della lustratura di tali riquadri o lastre: operazione affidata ad operai specializzati (gli specchieri). Ritagliata poi una foglia di stagno, la si metteva sopra una piastra facendola aderire al vetro con il mercurio” (G. Mariacher 1963, Specchiere, p. 13). Si trattava del sistema dell’a- malgama, cui si è già accennato in precedenza che nel Cinquecen- to ebbe a Venezia la sua applicazione. L’importanza che vi assun- se la fabbricazione degli specchi è confermata dal fatto che nel 1564 gli “specchieri” si staccarono dalla Corporazione dei “verieri” (vetrai), fissando le regole della loro Corporazione in una “marie- gola” (conservata a Venezia, Museo Correr), così da ottenere nel 1570 il riconoscimento della Magistratura dei Giustizieri Vecchi: le officine degli “specchieri”, a differenza di quelle specializzate è la decorazione delle superfici non riflettenti, recanti per lo più

incise scene mitologiche od erotiche. I maggiori centri greci di produzione furono Corinto, la Calcide, la Magna Grecia. Evidenti le influenze greche nella ricca e varia produzione etrusca (fine VI-II secolo a.C.), che predilesse il tipo circolare con manico; molto rari gli specchi con piede e tardi quelli del tipo “a scatola”, per lo più di forma quadrangolare; era assai varia e ricca presso questo popolo la decorazione incisa, che si estende oltre che sul rovescio del di- sco riflettente anche sulla cornice che lo delimita. Di notevole pre- gio ed importanza era la produzione laziale pre-romana, in specie quella prenestina, che sembra più direttamente in rapporto con la Magna Grecia piuttosto che con l’Etruria. Ma nella più tarda produzione romana si ripresero forme e motivi di generica ispi- razione greca ed etnisca, con risultati piuttosto mediocri; tipica la preferenza per specchi di forma quadrata realizzati in argento. Va segnalato che accanto agli specchi metallici fin dall’antichità furono realizzati tentativi di specchi in vetro: già in Egitto, in età tolemaica (inizio IV-fine I secolo a.C.), si fabbricavano piccoli spec- chi rotondi in vetro; sembra che sul vetro non ancora raffreddato venisse applicata una lega metallica di stagno, piombo e antimo- nio; la massa vetrosa era poi soffiata così da ottenere delle piccole sfere che venivano tagliate: si ottenevano così piccoli specchi con-

Specchio - Italia, 1500 ca. - Victoria and Albert Museum, Londra Specchio con cornice e base in legno inciso ed argentato

la limitazione dovuta all’impossibilità di realizzare esemplari di grandi dimensioni. Tra le famiglie di “specchieri” più affermati si ricordano quelle dei Ballarin, Barbin, Bortoluzzi, Briati, Dal Moro, Mazzolà, Motta, Radi, Rioda, Tosi, Viamin. Dalla fine del secolo XVII Vincenzo Della Vedoa, seguito dal figlio Pietro, aveva introdotto a Venezia il procedimento di incisione dello specchio, fatto conosce- re probabilmente da maestri boemi, assai esperti in tale attività. Va rilevato come sin dal secolo XV, sia in Italia che nei paesi nord- europei lo specchio venisse sempre più affermandosi come og- getto da parete; inizialmente si trattava di piccoli specchi, dappri- ma ancora di metallo, poi vitrei, racchiusi in una cornice per lo più lignea, ma anche in stucco e pastiglia. Le forme sono rotonda od ovale (nella produzione nord-europea), quadrata o rettangolare (in quella italiana); gli esemplari italiani di più alta qualità tra la seconda metà del XV e i primi decenni del secolo XVI sono toscani: infatti negli esempi più maturi, cioè in quelli che ormai vanno as- segnati al secolo XVI, la cornice, con il suo cimiero e tutto il contor- no, assume l’aspetto quasi di un mobiletto pensile, via di mezzo tra il quadretto e il piccolo armadio, dove l’abilità dei costruttori e degli intagliatori sembra muoversi a pieno agio: talora sbiz- zarrendosi in fantasiosi fregi e figure strane, talora mantenendo fede alle regole rinascimentali dell’armonia e delle proporzioni tra le parti, anche se modeste nella misura. A Venezia si inserì lo specchio da parete in un complesso, detto “restello da camera”, un pannello pensile che recava al centro lo specchio e ai lati ganci e piccoli ripostigli per gli oggetti da toletta; il pannello o i pannelli erano decorati con pitture di soggetto allegorico, mitologico od erotico. Non essendocene pervenuti esemplari si conosce il “re- stello” per le citazioni dell’epoca e perché figura in stampe e pittu- re della fine del secolo XV.

Dallo specchio da parete si sviluppa il tipo che comunemente, e nelle sue diverse forme, viene definito “specchiera”. Si tratta so- stanzialmente di una evoluzione da esemplari più piccoli, sempli- cemente “incorniciati”, ad altri più grandi, fomiti di cornici molto più ricche, comprendenti pietre dure, bronzi, applicazioni di mar- mi pregiati. Si raggiunge il culmine di questo percorso con la co- siddetta “specchiera da salotto” di epoca barocca; di solito essa si accompagna a quel tipico tavolino da muro detto console, e come questo si presenta intagliata e dorata oppure laccata. Non man- cano esempi di cornici realizzate esse stesse in vetro inciso. Quella del vetro inciso è una specialità tipicamente veneziana, in concor- renza peraltro con i prodotti dapprima dei Paesi Bassi e poi boemi, nella produzione di lastre vitree che continuarono la loro attivi-

tà a Murano, fissarono da allora la loro sede proprio a Venezia. Il predominio della produzione veneziana sui mercati europei ed anche orientali continuò sino alla seconda metà del secolo XVII, allorché J.B. Colbert, ministro di Luigi XIV, intuendone i vantaggi commerciali, promosse in Francia una produzione specializzata di vetri in genere e di specchi, utilizzando maestranze muranesi. Fu cosi avviata una prima piccola fabbrica presso Parigi, che divenne poi, nel 1665, la MANUFACTURE ROYALE DES GLACES; dal 1668, per privilegio di Luigi XIV, fu adibita esclusivamente alla produzione di specchi di grande dimensione. La notevole fortuna della produ- zione francese fu determinata anche dalla introduzione di nuovi procedimenti tecnici, che migliorarono la qualità, riducendo an- che i costi di lavorazione. La più importante innovazione fu quel- la della “colatura”, dovuta al maestro altarese Bernardo Perotti (o Perotto), che brevettò il procedimento relativo nel 1688. Il metodo della “colatura” non fu accolto dai maestri muranesi, che conti- nuarono a lavorare con i procedimenti tradizionali, preoccupati di conservare una preminenza sotto il profilo dell’alta qualità dei loro prodotti; così che sino a tutto il secolo XVIII gli specchi mura- nesi riuscirono per l’eleganza e la raffinatezza che li caratterizzava ad avere un largo mercato nonostante la concorrenza francese e

Girandole - XVIII sec. - J. Carter

“verticali”, composti da varie lastre, costituenti il ricco ornamento di alte sale di rappresentanza.

Già in Francia negli ultimi decenni del Seicento lo specchio vie- ne utilizzato quale elemento capace di realizzare una maggiore ampiezza dello spazio interno; uno dei primi esempi è costituito dalla Galerie des glaces di Versailles, progettata nel 1678 da J.H. Mansart (1646-1708), nella quale 17 grandi finestre si riflettono in altrettante superfici a specchio disposte sulle pareti ad esse op- poste. Grande ed immediata fu la fortuna di questo tipo di uti- lizzazione dello specchio in Francia; si giunse ai cosiddetti “fondi di sala”, ossia pareti interamente rivestite di specchi, che ne al- largano illusionisticamente l’ampiezza. Tra gli esempi italiani più interessanti si ricorderanno: la Galleria degli specchi del Palazzo Ducale di Mantova; la Galleria di Palazzo Durazzo, poi Reale, di Ge- nova; la Sala da ballo del Palazzo Riccardi di Firenze. Anche piccoli ambienti furono rivestiti di specchi; si hanno allora i cosiddetti Cabinets des glaces, raccolti, eleganti salottini, detti anche alla francese ”boudoir”, destinati alla conversazione o ad incontri ga- lanti; a Venezia furono detti “ridotti” (famoso quello del Palazzo Venier). In epoca neoclassica anche la specchiera subisce l’evolu- zione connessa con il mutare del gusto; si afferma allora la psy- ché, nota sia in esemplari di piccole dimensioni, atti ad essere col- locati sui tavoli da toletta, sia in altri partenti da terra. In generale all’esuberante e mossa articolazione delle cornici settecentesche si sostituisce nelle specchiere neoclassiche un andamento lineare delle cornici, una sobria decorazione, nella quale, come nel mobile coevo, compaiono elementi di gusto classico od egittizzante rea- lizzati in bronzo dorato. L’Ottocento non segnò sviluppi di rilievo nella specchiera, che trovò ancora accoglienza nell’arredamento delle case borghesi in tipi per lo più imitanti, con soluzioni ibride ed eclettiche, quelli settecenteschi.

Frattanto, dall’età rinascimentale sino a tutto l’Ottocento, paral- lelamente all’evoluzione dello specchio “incorniciato” (dallo spec- chio “da parete” alla “specchiera”), è da registrarsi l’uso costante dello specchio di piccole dimensioni, comunemente indicato come “da toletta”; esso non ha subito nel tempo sostanziali varia- zioni dal tipo già fissatosi nell’antichità: un disco rotondo od ovale incorniciato e fornito di manico come impugnatura; incornicia- tura e manico sono costituiti dello stesso materiale (avorio, legno, metalli diversi ecc.). Un tipo abbastanza diffuso fu anche quello da tasca (cui si è già accennato, il cosiddetto miroir de poche), pri- vo di impugnatura, sistemato in custodie ovali o quadrate, ripresa che trovò largo uso in tutti i campi: specchi da toletta, applicati a

mobili, specchiera, specchi formanti il complesso detto “lumiera”. Quest’ultimo è un tipo nato a Venezia nel secolo XVII, costituito da uno specchio per lo più rettangolare, sistemato entro una cor- nice dorata o decorata con elementi vitrei, recante nel basso due o più bracci destinati a sorreggere le candele, la cui luce rifletten- dosi nello specchio si moltiplicava con effetti illusionistici. Il tipo si diffuse in Europa, in specie in Inghilterra, ove fu denominato Girandole; la versione più semplice è indicata comunemente con il terminie francese applique. Un altro tipo di specchio fu la co- siddetta caminiera o specchio “da camino”: nato in Francia nella seconda metà del secolo XVII (tradizionalmente se ne attribuisce l’invenzione all’architetto Robert de Cotte), si diffuse presto in Eu- ropa, divenendo comune elemento di decorazione della parete sovrastante il camino; gli esempi più antichi sono di dimensioni modeste ma ben presto la caminiera divenne più grande, sino a raggiungere il soffitto, rivestendo così tutta la parete; a Venezia la specchiera “da camino” si sviluppò spesso in larghezza, divisa in tre parti, e ciò a causa della frequente collocazione dei camini in ambienti di modesta altezza, sistemati negli ammezzati o mezza- nini, ove di solito si svolgeva la quotidiana vita familiare. Ma an- che a Venezia, accanto a questi tipi “orizzontali” ne esistono altri

Specchiera - 1770 ca. - R. Adam

In Cina gli specchi appaiono intorno al 600 a.C. così come gli sca- vi archeologici e i reperti tombali hanno permesso di conoscere; sembra comunque che precedentemente a tale secolo si usassero con funzioni di specchio i recipienti in bronzo usati per contene- re l’acqua. Gli specchi prodotti nel periodo Chou (1027-256 a.C.) si presentano all’inizio in forma quadrata e verso la fine in forma rotonda; essi risultano composti da due lamine sovrapposte sal- date insieme, una delle quali lavorata a giorno o a sbalzo, e talvol- ta con incastonatura di turchesi e pietre simili: i motivi circolari posti ai quattro angoli ricordano i chiodi usati all’inizio per tenere insieme le due lamine. Una stringa passante per un occhiello ser- viva ad appendere lo specchio; i manici, infatti, appaiono soltanto all’epoca delle Cinque Dinastie (907-960 d.C.). La decorazione del retro si afferma nell’ultima grande fase del bronzo e permette la classificazione degli specchi in ben undici tipi diversi.

Con il periodo Han (206 a.C.-221 d C.) nasce un nuovo tipo di de- corazione geometricamente precisa e l’occhiello si trasforma in un grosso perno convesso. Tale decorazione è chiamata “TLV” a ra- gione di alcune zone concave disposte simmetricamente sulla su-

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