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corpo flessibile

Nel documento Il corpo (pagine 33-37)

Le pratiche descritte nel capitolo 02.04 corpo medicalizzato, presumibilmente a causa del loro modo di operare sempre più spostato verso ciò che per l’uomo comune è ignoto, riscuotono grande curiosità che si traduce nell’occupazione di spazi sempre maggiori all’interno delle riflessioni di esperti e giornalisti. Non altrettanta attenzione destano pratiche assai più consolidate e diffuse, nella sostanza assimilabili a quelle. Ci si riferisce a prati- che più comuni, socialmente ed eticamente tollerate come il body building, la chirurgia estetica, la body art (in questo capitolo per body art si intendono procedure di modificazione corporea come piercing, tatuaggi e branding, e non le performance artistiche co- nosciute con lo stesso termine), che si richiamano in questo testo come esemplificazioni di pratiche che in maniera tanto meno cla- morosa quanto più capillare di quanto non avvenga nel caso delle tecnologie biomediche danno forma a propositi di modificazione del corpo.

Ad accomunare le tecniche sopra elencate e suggerire l’azzardo della loro assimilazione alle tecnologie biomediche, è l’idea del corpo come oggetto di scelte ed opzioni. Nella forma in cui vie-

30 P. Borgna, Sociologia del corpo, 2005

31-32 A. Giddens, La trasformazione dell’identità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne,

1995

ne ripresa, essa proviene dal lavoro di alcuni teorici della tarda modernità, nell’ambito del quale la riflessione sul ruolo del corpo nella definizione del sé e dell’identità di sé dell’individuo contem- poraneo va guadagnando spazi crescenti. “In questa prospettiva, l’apertura della vita sociale, la pluralizzazione dei contesti d’azio- ne e delle fonti di autorità della tarda modernità – quella in cui conduciamo le nostre esperienze – avrebbero reso problematica l’identità di sé e l’avrebbero trasformata nel progetto riflessivo che prende forma da narrazioni biografiche coerenti continua- mente rivisitate”33.

Del medesimo progetto sarebbe parte sempre più importante lo stile di vita, alla cui definizione contribuiscono una serie di scelte che concernono l’aspetto del corpo, il suo contegno, la sua sensua- lità e le maniere di soddisfare i suoi bisogni di base. Secondo An- tony Giddens questi bisogni, da lui definiti regimi, comprendono alimentazione ed abbigliamento, considerati modi di autodisci- plina organizzati su base culturale, messi però in atto attraverso inclinazioni e disposizioni personali. “Il controllo regolarizzato del corpo è un mezzo fondamentale attraverso il quale è mantenuta l’identità di sé; pure, allo stesso tempo, il sé è anche più o meno costantemente mostrato agli altri nei termini della sua incorpo- razione (embodiment)”; il corpo diviene perciò “un portatore visi- bile dell’identità di sé”31.

Potrebbe sorgere un dubbio, e cioè se le pratiche di modificazione corporea non possano essere assimilate a quelle eseguite ritual- mente dall’uomo sin dalla preistoria. Anche se le modalità pos- sono sembrare le stesse, ed effettivamente da una minoranza di persone che praticano piercing e tatuaggi il significato che essi assumono è la rievocazione della tribalità dell’atto della modifi- cazione corporea, a cambiare il significato sarebbe lo sfondo di pluralità di opzioni su cui esse prendono forma, nel contesto delle quali le scelte che riguardano il corpo divengono parte integrante della pianificazione della vita e della scelta di stili di vita da parte dell’individuo. “Noi diventiamo responsabili del progetto (design) dei nostri corpi, ed in un certo senso siamo costretti a diventarlo quanto più sono post-tradizionali i contesti in cui ci muoviamo”32. Complementare alla nozione di corpo come progetto è quella di privatizzazione del corpo. La privatizzazione del corpo e delle agenzie di produzione sociale del corpo costituirebbe un corolla- rio di un più generale processo tardo-moderno di deistituziona- lizzazione di servizi di “gestione dell’incertezza” tipici della mo- dernità. Quando la riproduzione delle condizioni della vita sociale

è progressivamente sottratta al dominio delle politiche statali e delle decisioni pubbliche e affidata al libero gioco dell’iniziativa privata, “la paura dell’incertezza, non più mitigata, si mostra alle sue vittime in tutta la sua durezza. La sua forte pressione ricade sugli individui senza alcuna mediazione e deve essere respinta o neutralizzata solo dall’azione del singolo. In assenza di meccani- smi istituzionali di ‘ristrutturazione’, agli uomini e alle donne in quanto individui spetta il compito/necessità di autocostruirsi, di ricomporre i pezzi delle proprie identità, affinando l’opera di ride- finizione giorno dopo giorno”33.

In tale continuo lavoro di costruzione del sé, l’attenzione verso il corpo diviene un ‘compito’ e un ‘dovere primario’ assolto dal pro- prietario del corpo acquistando sul mercato del consumo privato esercizio fisico, cibi e farmaci salutisti, manuali di autoistruzione di medicina e fitness.

In tempi di corpo come progetto e di corpo come proprietà pri- vata, il concetto di corpi docili di Foucault (cap. 02.02 corpi docili) è ancora attendibile? È cristallino il fatto che i processi descritti riguardino un corpo non più rigidamente regolamentato, almeno non nel senso in cui lo era il fisico del lavoratore/soldato, e che dai medesimi processi emerge con forza l’idea di responsabilità dello sviluppo e dell’aspetto del corpo direttamente nelle mani del suo possessore. “Il cesello, le spatole e gli atrezzi per scolpire sono reperibili nel mondo sociale (più precisamente sono in ven- dita nei vari negozi), come pure gli schemi e i modelli già definiti per guidare la modellatura. Ma la responsabilità di intraprendere e portare a termine il lavoro ricade interamente sulle spalle dello scultore”34.

Ciascuna persona sarebbe al tempo stesso argilla plasmabile e scultore, impegnato senza sosta nel compito/dovere di autofor- mazione e di autoaffermazione per far fronte all’incertezza origi- natasi dal progressivo declino delle organizzazioni che in epoca moderna esercitavano il controllo sull’intero corso della vita degli uomini.

“Nell’incessante sforzo di autocostruzione, il corpo-progetto-pri- vato è un corpo almeno in parte affrancato dai meccanismi del bio-potere; utilizzato, trasformato e perfezionato come i corpi di cui parla Foucault, ma sempre più nell’ambito di piani individuali di costruzione del sé (e perciò meno docile)”35. È a questa idea, che intende riferirsi l’immagine di corpo flessibile, trasformato o tra- sformabile da scelte ed opzioni personali.

Quella del corpo come determinazione personale, modellabile

33-34 Z. Bauman, La società dell’incertezza, 1999 35 P. Borgna, Sociologia del corpo, 2005

(via chirurgia, esercizio fisico o dieta ad esempio) nella forma dei significati che noi scegliamo, è una rappresentazione culturale che sta modificando la nostra concezione e la nostra esperienza del corpo:

“Lentamente ma inesorabilmente, una tecnologia originariamen- te finalizzata a prendere il posto di parti malfunzionanti ha gene- rato un’industria e un’ideologia altamente alimentate da fantasie di rimodellamento, trasformazione e correzione; un’ideologia del miglioramento e del cambiamento senza limiti, che rappresenta una sfida alla storicità, alla mortalità e alla stessa materialità del corpo. Questo disprezzo per i limiti materiali e la concomitante esaltazione della libertà, del cambiamento e dell’autodetermina- zione si manifestano non solo al livello della tecnologia contem- poranea del corpo, ma in una più ampia gamma di contesti, com- presa gran parte del discorso contemporaneo sul corpo”36. Si potrebbe pensare che le persone decidano di modificare il cor- po allo scopo di sedurre; generalmente esse mirano soprattutto a recuperare le sembianze possedute in giovinezza. La modificazio- ne estetica del corpo si configura dunque come una pratica au- toerotica di seduzione del Sé, anche se, l’individuo nel cercare di migliorare sul piano estetico non fa che adeguarsi inconsciamen- te a quei modelli giovanili di successo e di bellezza che vengono veicolati con insistenza dai media e dalle pubblicità.

Ciò che accade è paradossale, siccome il corpo non è più quell’in- dispensabile strumento di lavoro che era in passato, dunque non necessiterebbe di così tante cure. Invece, quanto più è divenuto inutile sul piano pratico, tanto più si è trasformato in oggetto di un processo di “feticizzazione” nel quale viene venerato ossessiva- mente per il suo aspetto esteriore, anziché per la sua capacità di svolgere funzioni.

L’ampia circolazione che ha avuto negli ultimi anni il modello del corpo manipolato consente oggi una crescente accettazione so- ciale di uno stato di variazione permanente del corpo. “È lo stato di corpo flusso, ovvero un corpo nomadico che non ha confini né identità fisse. Si confonde quindi sempre più con l’esterno, instau- rando con esso una continua attività di scambio di messaggi”37. Poiché la cultura moderna è destinata ad un incessante fluire, il modello del corpo flusso non fa che portare alle estreme conse- guenze ciò che era già insito nelle premesse del progetto moder- no. Rappresenta però, allo stesso tempo, anche una drastica frat- tura rispetto alla storia secolare della cultura occidentale. Esso, infatti, a differenza della storia occidentale e cristiana, non consi-

36 S. Bordo, Il peso del corpo, 1993

dera il corpo un qualcosa che è dato una volta per tutte, una realtà scissa dal resto, bensì un prezioso alleato per ottenere una soddi- sfacente definizione dell’identità individuale sulla scena sociale.

Evolution - Lucy & Bart - 2011

L’idea di corpo come oggetto di scelte ed opzioni rende necessaria una certa flessibilità da parte del corpo il quale deve rispondere in maniera reattiva alla richiesta di cambiamento.

03.02

vetrinizzazione

La vetrina con la sua comparsa nel Settecento ha stabilito una rottura con il passato nella storia della cultura occidentale. Una finestra dalla quale intravvedere un mondo perfetto ha insegnato all’uomo a coltivare l’arte dello sguardo, modificando radicalmen- te la messinscena delle proposte dell’esibitore ed alzando gli stan- dard delle attese dello spettatore. Già agli esordi, come tuttora, la vetrina fungeva da palcoscenico sul quale i venditori costruivano sapienti spettacoli per attirare l’attenzione dei passanti ed attri- buire significati positivi e seducenti alle merci. Permettendo agli osservatori di sbirciare l’interno dei negozi, essa ha contribuito in modo significativo alla nascita di quella vera e propria passione voyeuristica che contraddistingue l’odierna cultura occidentale, cultura caratterizzante la moderna “civiltà delle immagini”. La vetrina ha posto per la prima volta l’uomo da solo di fronte alle merci. Incominciava una nuova fase del commercio, caratterizzata dalla presenza di beni il cui significato non era più strettamente dipendente dal rapporto sociale che si instaurava tra acquirente e venditore. Il primo, infatti, “si emancipa dal rapporto individuale di affidamento e fiducia nel venditore, e sviluppa una autonoma

competenza d’acquisto. Lasciato solo di fronte al prodotto, costru- isce una propria conoscenza che gli permette di selezionare i pro- dotti ‘migliori’”38. Davanti alla vetrina, l’individuo occidentale ha imparato una fondamentale modalità di rapporto con il mondo. Ha imparato cioè che era diventato necessario affrontare la vita in solitudine, senza più quei rassicuranti legami garantiti dall’e- sistenza comunitaria. Ha incominciato quindi a trovarsi di fron- te non più ad una persona che vendeva i prodotti e che gli era nota, ma a una messa in scena preparata dal negoziante per tutti i possibili acquirenti. La vetrina ha rappresentato così un potente strumento di presa di coscienza, una sorta di specchio in cui si rifletteva un individuo che acquisiva via via consapevolezza del suo nuovo ruolo. Mentre imparava a riconoscere il linguaggio del- le merci, comprendeva anche come a operare questo riconosci- mento fosse un soggetto libero di farlo, il quale, proprio grazie alle merci, incrementava le sue possibilità di realizzazione personale. Il modello di comunicazione proposto dalla vetrina si è affermato soprattutto perché ha rappresentato qualcosa di innovativo nel processo di evoluzione della cultura occidentale. Ha avuto però bisogno di essere via via rafforzato dai mezzi di comunicazione , che nell’Ottocento e nel Novecento l’hanno ripreso e sistematica- mente impiegato secondo diverse modalità. Tra vetrina e media si è creato così un legame molto stretto e non è un caso perciò che anche i media siano passati da un modello di fruizione collettiva (il manifesto esposto nello spazio sociale della città, il cinema, la TV generalista) a uno che prevede un consumo sempre più solita- rio (Internet, la pay tv).

Il modello di comunicazione della vetrina è caratterizzato anche dal valore dell’istantaneità, cioè dall’importanza del momento in cui il passante deve essere folgorato. Esso vive della stessa istan- taneità che caratterizza i consumi, i quali si basano sulla grati- ficazione immediata che deriva all’individuo dal poter godere dell’ultima novità.

È importante considerare anche che la vetrina rappresenta anche una via di fuga rispetto alla realtà vissuta quotidianamente dalle persone. È infatti uno spazio “di sogno”, che, pur essendo artifi- ciale, coinvolge in profondità ed invita ad entrare al suo interno, perché si presenta come ideale, perfetto e privo di problemi. L’attenzione delle persone per le vetrine si consuma, è allora ne- cessario iniettare dosi sempre più massicce di spettacolarità. La vetrinizzazione sembra dunque essere diventata un fenomeno sociale difficile da evitare.

The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living - Damien Hirst - 1993

la vetrina è un modello di comunicazione che implica un’ideologia di trasparenza assoluta ed al contempo una pianificata messinscena. Giocando sul voyeurismo del pubblico Damien Hirst crea una serie di opere immergendo in formaldeide animali.

03.03

Nel documento Il corpo (pagine 33-37)