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Il caso “Miller”: prova di resistenza per il costituzionalismo britannico

L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea a seguito del referendum sulla Brexit, come abbiamo già anticipato, si prospetta come un’operazione sicuramente molto complessa dal punto di vista giuridico. Questo perché si tratta di un’iniziativa che va ad incidere su tre diversi ordinamenti: quello europeo, quello internazionale e quello nazionale. Trattandosi di ordinamenti distinti, seppur interconnessi, è opportuno che le problematiche scaturenti da ciascuno di essi vadano trattate separatamente104.

Come visto infatti, le conseguenze della Brexit sono state molte ed importanti, non esaurendosi solo sul piano internazionale: l'interpretazione dell'art. 50 del Trattato di Lisbona ha infatti creato scompiglio all'interno della politica britannica.

Il caso Miller si è aperto ad opera di Gina Miller, businesswoman britannica di origini sudamericane, che ha presentato nell'ottobre 2016 un ricorso all'Alta Corte britannica contro la decisione della Primo ministro Theresa May, la quale ha deciso di invocare l'art. 50 senza prima sottoporre il procedimento ad un voto del Parlamento.

La decisione della Miller è stata guidata dal suo personale sconcerto seguito alla vittoria del Leave, che l'ha portata a rivolgersi ad uno dei più prestigiosi studi legali della City. In molti avevano criticato la scelta di Downing Street: parlamentari dell'opposizione ma anche dello stesso partito conservatore, finanzieri e banchieri; nessuno tuttavia aveva mai pensato di porre un ostacolo concreto nel cammino di Theresa May.

Le argomentazioni della Miller sono di due tipi: la prima prettamente legale, il Governo infatti sostiene di non aver bisogno di un voto del Parlamento, in virtù delle cosiddette Crown Prerogatives, l’insieme dei poteri un tempo esercitati dal monarca del Regno Unito e che ora competono all'esecutivo. Questa tesi è insostenibile, secondo la ricorrente, soprattutto alla luce di una decisione storicamente importante come quella di condurre il Regno Unito fuori dallo

104 S. PAROLARI, La pronuncia della Supreme Court del Regno Unito sul caso Miller e le questioni aperte per l’ordinamento costituzionale britannico, in Forum costituzionale del 20 febbraio 2017, reperibile all’indirizzo http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-

scenario europeo: se è vero infatti che un governo, in forza delle Royal Prerogatives, può firmare un trattato internazionale, è anche vero che il Parlamento deve poi ratificarlo affinché diventi legge nazionale. Secondo la ricorrente, inoltre, uscire dall'Unione europea senza consultare il Parlamento rappresenterebbe una violazione dei diritti garantiti dall'Atto delle Comunità europee del 1972 che ha incorporato la legislazione europea in quella del Regno Unito.

La seconda argomentazione sarebbe invece più politica: una delle motivazioni alla base del Leave stava proprio nel voler ripristinare la sovranità parlamentare, cosa che, secondo la donna, sarebbe inutile senza prima ascoltare l'opinione del Parlamento in materia.

Alla luce delle ragioni esposte, la sentenza R (Miller) v Secretary of State for Exiting the European Union del 3 novembre 2016, afferma chiaramente che il Governo britannico non ha il potere di notificare il recesso del Regno Unito dall’Unione europea senza autorizzazione del Parlamento. Secondo i tre giudici della High Court of Justice, il recesso comporterebbe una limitazione dei diritti dei cittadini britannici che non può essere decisa dall’Esecutivo nell’esercizio dei Prerogative Powers.

Per decidere la legal question la Corte compie un’attenta analisi del rapporto tra Statute e Prerogative, e degli effetti dell’European Communities Act 1972 nell’ordinamento del Regno Unito. La political question, che ha generato il ricorso e sulla quale la High Court si è espressa incidentalmente, rimane sullo sfondo della decisione. Il tema dei rapporti con l’Unione europea e la decisione sulla permanenza nella U.E., che ha diviso l’elettorato, i partiti, i territori e persino le istituzioni del Regno Unito, rimane aperta e attende ancora una soluzione105. I giudici della High Court infatti, si sono limitati ad analizzare i profili interni della sovranità per risolvere la questione delle attribuzioni del Parlamento e del Governo. Il profilo esterno, dei rapporti con la U.E. non è stato esaminato nella decisione. Il Governo May, deciso a difendere la sovranità esterna in Europa, è costretto a subire gli effetti della sovranità interna, a dimostrazione della vitalità

105 G.G. CARBONI, La sentenza Miller: un banco di prova per la forma di governo del Regno Unito, in FORUM DPCE Online- Brexit, reperibile all’indirizzo http://www.dpce.it/la-sentenza- miller-un-banco-di-prova-per-la-forma-di-governo-del-regno-unito.html.

dei principi del costituzionalismo britannico ma anche del momento particolarmente delicato che sta vivendo il c.d. modello Westminster. La tenuta del sistema di fronte ai cambiamenti politici e istituzionali viene messa a dura prova, ed è forse questa la ragione ultima per la quale i giudici hanno scelto di ancorare la loro decisione alla sovranità parlamentare, principio fondamentale del costituzionalismo britannico, al quale hanno affidato il compito di garantire la tutela dei diritti e l’equilibrio tra poteri106.

In estrema sintesi la struttura del percorso argomentativo della High Court, poggia principalmente su quattro pilastri: a) la supposta irrevocabilità dell’art. 50 TUE che regola il procedimento di recesso di uno Stato membro dall’Unione Europea; b) il rapporto tra prerogatives e statutes; c) la natura esclusiva dell’ordinamento Comunitario i cui effetti trascendono il piano internazionale e producono diritti ed obblighi direttamente in capo ai singoli individui; d) il rango di statute costituzionale riconosciuto all’ECA 1972107.

Riguardo alla prima questione i giudici si limitano a riconoscere che l’art. 50 TUE, una volta essere stato invocato, non può essere più ritirato pregiudicando così ogni possibilità di ripensamento dello Stato membro recedente: “once a notice is given, it will inevitably result in the complete withdrawal of the United Kingdom from membership of the European Union and from the relevant Treaties at the end of the two year period”108.

Riguardo al rapporto tra prerogatives e statutes la Corte propone un vero e proprio trattato di diritto costituzionale, ripercorrendo tanto l’origine storica delle prerogative regie quanto la loro evoluzione applicativa nel contesto della progressiva espansione dello strumento statutario109. Esse, per riprendere l’efficace espressione usata dal collegio, rappresentano “the residue of legal autorithy left in the hands of the Crown”110. La loro estensione è confinata

106 G.G. CARBONI, op. cit.

107 R (Miller) v Secretary of State for Exiting the European Union [2016] EWHC 2768 (Admin), 3 November 2016.

108 R (Miller) v Secretary of State for Exiting the European Union, p.to 11.

109 G.F. FERRARI, R (Miller) v Secretary of State for Exiting the European Union: eterogenesi dei fini e populismo in una nuova pagina della storia britannica, in FORUM DPCE Online, 6 novembre 2016, reperibile all’indirizzo http://www.dpce.it/r-miller-v-secretary-of-state-for- exiting-the-european-union-eterogenesi-dei-fini-e-populismo-inuna-nuova-pagina-della-storia- britannica.

nell’esercizio dell’attività legislativa primaria del Parlamento e, dunque, il potere governativo dispiega i suoi effetti esclusivamente ove agisca nei limiti fissati dalla Common Law o da altre norme legislative. Pertanto, ogniqualvolta si viene a creare un conflitto tra un atto legislativo ed uno esecutivo, la soluzione va ricercata nel mantra “statute beats prerogative”111.

La giustificazione di questo potere si sostanzia, secondo i giudici, nell’approccio dualistico tipicamente britannico al diritto internazionale che presuppone una perfetta separazione tra il livello interno e quello esterno tale per cui una norma sovranazionale produce i suoi effetti nell’ordinamento del Regno Unito solo in conseguenza di un atto di quest’ultimo che ne “autorizza” l’estensione applicativa. Detto ciò e conformemente a quanto sopra, affinché le norme comunitarie producano effetto nel Regno Unito vi è la necessità di una loro trasposizione ad opera di un meccanismo di legislazione interna che permetta loro di avere forza cogente112. Tale strumento è rappresentato dall’European Community Act 1972,

“in contemplation of the United Kingdom becoming part of the European Communities by accession to the Community Treaties so as to allow that to happen. If this legislation had not first been put in place, ratification of the Treaties by the Crown would immediately have resulted in the United Kingdom being in breach of its obligations under them, by reason of the absence of provision for direct effect of EU law in domestic law”113. La Corte, inoltre, riconosce all’ECA 1972 la qualifica di statute costituzionale in ragione del suo contenuto e degli effetti prodotti nell’ordinamento. Tale assunto non è scontato e rileverà fortemente ai fini della decisione finale giacché ne conseguirà che l’abrogazione di un simile atto non potrà avvenire che tramite un provvedimento espresso di legislazione primaria114.

La U.K. Supreme Court non si discosta dalla ricostruzione della High Court sull’origine storica delle prerogative regie e sulla loro attuale estensione

111 S. GIANELLO, Il caso “Miller” davanti alla UK Supreme Court: i principi del

costituzionalismo britannico alla prova della Brexit, in Rivista AIC Osservatorio Costituzionale, Fascicolo n.1/2017, pag. 4.

112 Secondo i giudici, infatti, “it is common ground that only Parliament could create the necessary changes in national law to allow EU law to have the effect at the level of domestic law which the Treaties required”. R (Miller) v Secretary of State for Exiting the European Union, p.to 42.

113 Ibidem.

applicativa nell’ambito dei rapporti sovranazionali115, così come ad un primo

sguardo sembra conformarsi al principio dualistico che regola il rapporto tra l’ordinamento britannico e quello internazionale lato sensu.

Il 24 gennaio scorso infatti la Suprema Corte, confermando la sentenza della High Court of Justice ha posto una tessera importante nel complesso puzzle della Brexit chiarendo definitivamente la ripartizione dei rispettivi ruoli nella fase iniziale del recesso116. Una sentenza fortemente attesa data l’importanza della questione ed in parte prevista data la linearità e l’ampiezza dell’impianto argomentativo adottato dal collegio di prime cure che nell’ortodossia dei cardini classici del costituzionalismo britannico aveva trovato un saldo approdo117. Tuttavia sarebbe un errore affermare che i giudici di ultima istanza si siano limitati ad una mera attestazione di conformità dell’iter decisionale seguito dalla High Court. Vi è molto di più nella decisione della Corte Suprema che merita attenzione. La ratio della sentenza impugnata dal Secretary of State for Exiting the European Union consisteva nell’idea che il Governo di Sua Maestà non potesse, in virtù delle Crown Prerogatives, generalmente riconosciutegli in ambito internazionale, incidere seppur indirettamente sul piano dei diritti individuali di matrice europea introdotti nell’ordinamento britannico in virtù del rinvio operato dall’European Community Act 1972. L’esecutivo, dunque, non può ampliare o restringere autonomamente la portata dei diritti statutari o iscritti nella Common Law. La Corte Suprema si spinge più in là, non limitandosi al mero piano dei diritti ma scavando più a fondo nel tessuto costituzionale fino alla struttura delle fonti del diritto, riconoscendo quella comunitaria come autonoma ed operante in via diretta nell’ordinamento interno grazie agli effetti della section 2 ECA 1972118. Una

statuizione la cui rilevanza è indiscussa giacché interviene su uno dei nervi scoperti del sistema giuridico britannico: la qualificazione della normativa comunitaria nell’ambito del principio dualistico che regola i rapporti di diritto internazionale separandoli dalla sfera interna in un quadro funzionale plasmato sul

115 R (on the application of Miller and another) v. Secretary of State for Exiting the European Union, [2017] UKSC 5, p. ti 54-55.

116 F. ROSA, Westminster First, in FORUM DPCE Online, 27 gennaio 2017, reperibile all’indirizzo http://www.dpce.it/westminster-first/.

117 G.F. FERRARI, op. cit.

dogma diceyano della sovranità parlamentare119. Diversamente dall’Alta Corte i giudici di ultima istanza, dunque, “mett[ono] al centro del proprio argomentare i rapporti tra poteri nel contesto dei principi e degli equilibri costituzionali, e coinvolg[ono] il tema della perdita dei diritti solo in posizione consequenziale”120. Proprio su questo punto la Corte Suprema intraprende un percorso autonomo rispetto al decisum dell’Alta Corte. Una strada tutt’altro che scontata, che va oltre alla configurazione delle relazioni tra Regno Unito ed Unione Europea e che mette al centro del proprio ragionamento il rapporto tra i poteri dello Stato attraverso un approfondito excursus sull’attuale sistema delle fonti del diritto alla luce dei mutamenti ad esso apportati dall’adesione all’ordinamento comunitario. Come è stato puntualmente sottolineato sin dai primi commenti alla sentenza, è come se la Corte abbia preferito “ragionare più da “Corte dei conflitti”. Secondo i giudici, l’European Community Act 1972 non ha solo dato efficacia al diritto europeo nell’ordinamento statale ma, negli ambiti di competenza comunitaria, ha trasferito parte della sovranità legislativa di Westminster a Bruxelles121. Diversamente non si spiegherebbe neppure il

principio di supremazia del diritto europeo su quello britannico122. L’ECA 1972, prosegue il collegio, “effectively constitutes EU law as an entirely new, independent and overriding source of domestic law, and the Court of Justice as a source of binding judicial decisions about its meaning”123.

L’ultimo punto, particolarmente significativo che si pone a chiusura della decisione della Corte Suprema, riguarda la questione che “implementation of a referendum result requires a change in the law of the land, and statute has not provided for that change, the change in the law must be made in the only way in

119 Per approfondimenti si rimanda a A.V. DICEY, Introduzione allo studio del diritto costituzionale: le basi del costituzionalismo inglese, Il Mulino, Bologna, 2003.

120 C. MARTINELLI, I poteri costituzionali di fronte alla Brexit: la UKSC fissa i confini, in FORUM DPCE Online, 27 gennaio 2017, reperibile all’indirizzo http://www.dpce.it/i-poteri- costituzionali-di-fronte-alla-brexit-la-uksc-fissa-i-confini/.

121 R (on the application of Miller and another) v. Secretary of State for Exiting the European Union, p.to 68.

122 R (on the application of Miller and another) v. Secretary of State for Exiting the European Union, p.to 66.

123 R (on the application of Miller and another) v. Secretary of State for Exiting the European Union, p.to 80.

which the UK constitution permits, namely through Parliamentary legislation”124. L’atto con cui il Parlamento dovrà autorizzare il governo ad invocare l’art. 50 TUE non potrà quindi assumere una forma qualunque, ad esempio quella di una risoluzione, ma dovrà necessariamente indossare le vesti di un atto di legislazione primaria. La Suprema Corte infatti, rigetta la tesi governativa secondo cui il referendum di giugno avrebbe dato mandato al Governo di dare seguito al suo risultato. Secondo l’Attorney General, sebbene sia necessario un atto del Parlamento affinché possa tenersi un referendum come quello sulla Brexit, ricadrebbe sull’esecutivo il compito di implementare concretamente la volontà popolare. In altre parole è come se l’espressione diretta del popolo sia in grado di sanare ab origine la mancata autorizzazione parlamentare all’avvio delle trattative con l’E.U125.

La contesa tra parliamentary sovereignty e prerogative powers nell’avvio della Brexit con la conclusione del caso Miller sembrerebbe essere finalmente giunta al suo epilogo. Il 26 gennaio 2017, infatti, a distanza di soli due giorni dal verdetto della Corte Suprema, il Governo ha formalmente presentato in Parlamento una proposta di legge intitolata “to confer power on the Prime Minister to notify, under Article 50(2) of the Treaty on European Union, the United Kingdom's intention to withdraw from the EU”126 . Ricevuta l’approvazione di entrambe le Camere e il successivo royal assent, il Governo potrà dunque avviare la procedura di recesso dall’Unione, avendo così la possibilità di dare efficacia all’indirizzo politico ricevuto dall’elettorato britannico nel giugno del 2016. È evidente come l’intera vicenda giudiziaria Miller abbia avuto implicazioni di significativa portata, non solo per quanto riguarda il delicato processo di fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione europea, ma anche, e forse soprattutto, nel piano dei rapporti giuridico-politici interni. Il “caso Brexit” sembrerebbe infatti aver fornito l’espediente per poter operare, attraverso le pronunce delle Corti, una profonda ricognizione e normalizzazione degli equilibri costituzionali dello Stato.

124 R (on the application of Miller and another) v. Secretary of State for Exiting the European Union, p.to 121.

125 S. GIANELLO, op. cit., pp. 14-15.

126European Union (Notification of Withdrawal) Bill 2017 (HL Bill 103), reperibile all’indirizzo https://services.parliament.uk/bills/2016-

Riconducendo la portata degli effetti del referendum al solo ambito politico e riconfermando la supremazia del principio della sovranità parlamentare, le Corti hanno infatti arginato il tentativo dell’Esecutivo di porre a giustificazione delle proprie azioni una concezione di sovranità distonica rispetto ai principi fondamentali del diritto costituzionale britannico. Sul punto è interessante rilevare come entrambe le Corti abbiano esplicitamente scelto di non affrontare nelle loro pronunce il tema dei rapporti tra l’esito del voto referendario e il futuro voto parlamentare e ciò proprio in ragione della natura esclusivamente politica e consultiva del referendum. Ben lontani dal poter essere rappresentati come “enemies of the people”, i giudici coinvolti nella vicenda hanno così definitivamente restituito le sorti della Brexit ai rappresentanti del popolo britannico in Parlamento, gli unici soggetti intitolati del potere di decidere legittimamente in merito127.