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Nel primo capitolo, abbiamo avuto modo di esaminare come l’evoluzione in positivo del concetto di cittadinanza europea abbia, in qualche modo, comportato un aumento della percezione della legittimità democratica dell’Unione europea. Sicuramente i diritti derivanti dal possesso della cittadinanza dell’Unione, ha contribuito a rendere i cittadini europei maggiormente consapevoli di appartenere ad un’unica grande realtà sovranazionale, non più pertanto relegata tra gli “stretti” confini dei singoli Stati membri.

Fatta questa necessaria premessa, possiamo iniziare la nostra riflessione ponendoci un interrogativo: “Quanta Europa c’è in Europa?”77. Questa domanda può rappresentare un interessante punto di partenza per una riflessione di carattere giuridico - costituzionale su quanto, attualmente, la normativa europea disciplini innumerevoli aspetti della nostra vita associata. Per rispondere in maniera approfondita alla questione, occorre realizzare un’attenta analisi diacronica, che ci dica quanta unità e quanta divisione c’è stata e c’è nella storia dell’Europa; un’analisi valoriale, chiedendoci se esistano valori comuni ai popoli europei; un’analisi di stretto diritto costituzionale, ponendoci la domanda se esistano strumenti giuridici per garantire a livello europeo il rispetto dei valori comuni, se si possano utilizzare le tradizionali categorie del diritto costituzionale nazionale a livello europeo, e se si possa parlare di una forma di Stato europea, di una forma di governo europea, di un sistema delle fonti europeo. Un’analisi approfondita va dedicata, infine, al profilo materiale, per vedere cioè quante e quali regole abbiamo in comune in Europa, senza spesso accorgercene o comunque senza dare a questo fatto il giusto peso78. Sicuramente non esiste alcun dubbio sul fatto che la

77 B. CARAVITA, Quanta Europa c’è in Europa, Giappichelli, Torino, 2015.

storia europea sia una storia comune79. Questa affermazione trova effettiva conferma tra i principi costituzionali europei dove si stabilisce che l’Europa “rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo”80. Sul piano valoriale, altresì, l’Europa oggi è ampiamente unificata. L’art. 2 del trattato sull’Unione Europea prevede infatti che “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà umana, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze”. Questi valori, definiti “comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”, trovano assoluta conferma in tutte le costituzioni europee moderne. Essi rappresentano una base comune a tutti i paesi europei e si ricollegano indissolubilmente alle originarie costituzioni nazionali permettendo così di parlare di una tradizione costituzionale comune. Questi valori fondamentali non sono certo lasciati indifesi, né da un punto di vista della garanzia politica, né da un punto di vista della garanzia giurisdizionale. L’art. 7 del Trattato prevede una specifica procedura, chiaramente di carattere politico, a tutela dei valori richiamati all’art. 2. Infatti, “su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno stato membro” di tali valori. Con un interessante meccanismo istruttorio, il Consiglio, prima di procedere alla constatazione, “ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni”, per poi verificare “se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi”. Constatata all’unanimità l’esistenza di una violazione grave e persistente, il Consiglio a maggioranza qualificata può “sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati”81. Si

79 Per approfondimenti si veda G. MAMMARELLA, P. CACACE, Storia della politica dell’Unione Europea, Roma-Bari, 2013.

80 Art. I-3, terzo comma, del Trattato di Lisbona del 1° gennaio 2009. 81 B. CARAVITA, op. cit., pp. 5 - 7.

tratta di una procedura che, per complessità, ricorda molto i meccanismi sanzionatori verso le entità federate tipiche degli stati federali. Sul versante giurisdizionale, è indubbia ormai la funzione di custodia dei valori costituzionali comuni da parte della Corte di Giustizia. La primazia del diritto comunitario sui diritti nazionali si è negli anni imposta anche negli ordinamenti più refrattari, e, insieme alla disapplicazione della normativa nazionale contrastante, all’effetto diretto e al monopolio dell’interpretazione vincolante dei Trattati da parte della Corte di Giustizia, costituisce lo strumento giuridico che ha dato le gambe al processo di omogeneizzazione del diritto europeo82.

Molto importante, ai fini della nostra analisi, è sicuramente sottolineare come, in realtà, nella maggior parte della disciplina dei settori della vita associata è ormai assolutamente predominante la dimensione europea: e ciò perché tali settori sono stati oggetto di un importante processo di omogeneizzazione in forza del quale oggi il contenuto sostanziale delle legislazioni dei singoli Stati europei è in larga misura identico, differenziandosi eventualmente solo il grado e la qualità dell’attuazione83. Fondamentale a tal proposito, proprio per meglio comprendere il

perché si stia parlando di federalizing process europeo, è richiamare in questa sede il principio di concorrenza sostitutiva di fonti nelle medesime materie, che rappresenta una delle modalità con cui si sviluppa il rapporto tra principio di gerarchia e principio di competenza nel federalismo di tipo cooperativo. Tale principio si riferisce a quei casi in cui la costituzione consente alle fonti dello Stato centrale, a volte liberamente a volte in presenza di determinate condizioni, di sostituire, andando ad abrogarle, le leggi già emanate dagli enti decentrati, oppure di precludere tale intervento, “occupando” quella materia. Lo Stato centrale, infatti, nel momento in cui adotta una legge va a sostituire quella approvata dagli enti decentrati. In questo caso il principio di competenza e quello di gerarchia si combinano, la fonte statale si va ad imporre gerarchicamente sulla fonte decentrata, determinando l’abrogazione o comunque precludendo il futuro intervento della legge decentrata, dal momento in cui essa stessa entra in vigore. Quanto descritto è ciò che caratterizza il rapporto tra il sistema delle fonti europeo e quello nazionale degli stati membri. Interessante è evidenziare altresì come la

82 B. CARAVITA, op. cit., pp. 7 - 8. 83 B. CARAVITA, op. cit., pag. 9.

clausola di supremazia, che a partire dall’art. 6 della Costituzione americana ha rappresentato il fondamento per le decisioni della Corte Suprema Americana, costituisca il precedente culturale della Corte di Giustizia dell’Unione europea, con cui è stato sicuramente affermato il primato del diritto comunitario sul diritto statale. Come negli USA, anche nell’Unione europea, la supremazia del diritto comunitario non esclude il fatto che i rapporti tra diritto europeo e diritto interno sia improntato su un criterio di competenza; ed infatti la Corte di Giustizia vuole affermare questo, cioè una ricostruzione monista dei rapporti tra ordinamento comunitario e ordinamenti degli Stati. La Corte attraverso le proprie decisioni, vuole ribadire che nelle materie riservate alla Comunità Europea opera una riserva di competenza in favore delle fonti comunitarie, che esclude che il legislatore nazionale possa modificare con le proprie leggi quelle regole comunitarie che sono adottate sulle materie dove c’è riserva di competenza della Comunità Europea. Questo comporta ad escludere una ricostruzione dualista (come invece provavano a fare le Corti degli Stati) dei rapporti tra Comunità Europea e Stati perché, se l’efficacia del diritto europeo dipendesse dalla fonte interna con cui quel diritto è recepito, una legge interna posteriore potrebbe abrogare e rendere inefficace il diritto comunitario. È proprio attraverso la clausola di supremazia che la Corte di Giustizia esclude il realizzarsi di questo possibile scenario, perché l’applicazione di tale clausola comporta che, anche nell’ipotesi in cui intervenga una fonte successiva, essendo stabilita una riserva di competenza in favore della fonte “primaria”, la fonte “secondaria” non può comunque andare a modificarla. Le esperienze dei sistemi di tipo centralizzante (federalizing process negli USA e il processo di integrazione comunitaria) mostrano come pure inserendo nelle Costituzione delle enumerazioni materiali definite, più che le clausole trasversali di elasticità dai costituenti, sono state le Corti Supreme/Costituzionali a tradire il compito che la costituzione a loro affidava di salvaguardare il riparto di competenze, in favore di un’interpretazione delle enumerazioni materiali. È molto interessante da questo punto di vista, il parallelo con il processo di integrazione europea, perché si verifica una significativa assonanza tra quelle che sono le tecniche argomentative della Corte di Giustizia e quelle che hanno caratterizzato alcune pronunce importanti della Corte Suprema Nordamericana. Per esempio la

Corte Suprema Americana, a partire da una nota pronuncia, il “Caso Gibbons vs Odgen” elabora ed afferma la dottrina della “Preamption”, idea per cui l’esercizio della competenza da parte dello Stato federale, quindi essenzialmente da parte del Congresso va ad assorbire la materia; questa è molto vicina alla teoria dell’assorbimento, che negli anni ’70, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee va ad enucleare. Pensiamo anche alla Corte Suprema Americana, nel caso “McCulloch vs Maryland” (1820), dove si enuncia per la prima volta la dottrina dei poteri impliciti: è vero che la federazione ha la competenza nelle materie elencate, in realtà però questa è una competenza che si espande a poteri necessari per la disciplina delle materie indicate nella Costituzione, anche se non sono espressamente formalizzati. Si pensi anche all’elemento dell’incorporation, in base al quale i diritti protetti e garantiti dal Bill of Right, dopo la Guerra di Secessione, non si applicano più solo alla Federazione ma anche agli Stati; lo stesso processo sta avvenendo anche, a livello di Corte di Giustizia, nell’Unione Europea, dove progressivamente si assiste ad un’estensione dei diritti verso i singoli Stati.

Tutti questi elementi di vicinanza con gli Stati Uniti, non fanno che rafforzare l’idea che l’Europa sia organizzata secondo un modello istituzionale originale, che può essere senz’altro letto con le chiavi teoriche del federalizing process, ed è comparabile non già con il tradizionale Stato federale, bensì con le cd. Unioni federali. L’Unione ha una sua costituzione, nel senso originario che si ricava dall’art. 16 della Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo. Il tessuto costituzionale europeo è dato dal Trattato sull’Unione europea, dalla Carta europea dei diritti fondamentali, vivificati dalla prassi interpretativa della Corte di Giustizia, nel suo dialogo continuo con i giudici nazionali, ivi comprese le Corti supreme e costituzionali84. Per confermare il realizzarsi di questo processo basti pensare come, all’interno della nuova Europa federale, tutti i vecchi stati nazionali stiano articolandosi secondo un modello sussidiario, in cui lo Stato sta progressivamente cedendo poteri verso l’alto e verso il basso: e questo vale per la

84 B. CARAVITA, Brexit: keep calm and apply the European Constitution, in federalismi.it, editoriale n. 13/2016, pag. 3.

Germania, tradizionalmente federale, così come per la Francia, tradizionale campione dell’accentramento statualistico85.

Il vero federalismo, allora, oggi, non è quello interno a questo o a quel paese europeo, bensì proprio quello europeo.