Tra le tante conseguenze che la crisi finanziaria e dei debiti sovrani dell’area Euro produce, una delle più sintomatiche è rappresentata dalla perdita di consistenza dei diritti sociali quali diritti individuali. Questo fenomeno, che è ad un tempo economico e politico, è dovuto alle forti asimmetrie tra i sistemi economici nazionali prodotte dalla trasmissione della politica monetaria, dagli effetti finanziari delle politiche statali di correzione fiscale sul riequilibrio delle bilance commerciale e finanziaria intracomunitarie e dal funzionamento del mercato unico. Infatti, la deriva asimmetrica degli effetti della politica monetaria (europea) e delle politiche di finanza pubblica (statali), in un contesto di mercato unico genera gravi disfunzioni strutturali anche nella resa delle prestazioni sociali. Il lavoro e i diritti sociali cessano, allora, di essere considerati come una questione di pertinenza dei diritti di cittadinanza e di garanzia dei diritti individuali per essere, piuttosto, trattati come un problema di mera mobilitazione dei fattori produttivi, al fine di contrastare gli squilibri finanziari in atto. È come se i governi e le istituzioni dell’Unione europea e le finanziarie internazionali perdessero di vista il valore dei diritti sociali quali strumenti di protezione individuale della persona, per considerarli soltanto sotto il profilo finanziario, quale strumento di mobilitazione di risorse, di riequilibrio della bilancia dei pagamenti, di correzione fiscale mediante il taglio della spesa64.
La cornice già assai complicata dei diritti sociali nello spazio giuridico europeo ha pertanto subito, fuori dal diritto costituzionale nazionale, e non poteva essere diversamente, l’impatto devastante della crisi economico-finanziaria. Una crisi che ha indirizzato l’Europa e gli Stati verso scelte di politica economica improntate al rigore e alla salvaguardia a tutti i costi degli equilibri dei conti pubblici, sacrificando però porzioni consistenti dei diritti delle persone, soprattutto di quei diritti che, come i diritti sociali, richiedono, per poter essere pienamente fruiti, l’erogazione di prestazioni da parte dei poteri pubblici65. Una
crisi i cui rimedi, spesso, hanno finito per far perdere di vista la tutela degli
64 F. BILANCIA, I diritti sociali nel sistema europeo dei vincoli finanziari: da diritti individuali a parametro macroeconomico, in www.eticaeconomia.it, 15 maggio 2014, pag. 1
individui come persone, esito al quale conduce la mera considerazione delle prestazioni sociali quale leva finanziaria per riequilibrare le asimmetrie all’interno del mercato unico66.
Quanto al diritto dell’Unione europea, non può non notarsi che il Trattato di Lisbona venga approvato e poi entri in vigore proprio in corrispondenza del primo biennio della crisi, che, inizialmente, aveva toccato soltanto il sistema finanziario, per poi irradiarsi verso l’economia reale. Il Trattato e la Carta dei diritti, finalmente incorporata al suo interno, acquistano quindi la loro effettività quando non è ancora emersa in tutta la sua drammaticità la crisi dei debiti sovrani; ma, nel momento in cui l’Europa della zona euro ha prefigurato soluzioni giuridiche per uscire dalla crisi, ha finito per privilegiare inediti meccanismi, paralleli rispetto al diritto dell’Unione propriamente detto, come sono sia il Trattato sul Fiscal Compact, sia il Trattato sul Meccanismo europeo di stabilità. Quasi che il diritto dell’Unione da solo non fosse in grado di rappresentare un sicuro mezzo di intervento. Ma, proprio in quello scenario temporale, per una coincidenza o un paradosso67, si stagliano le note pronunce della Corte di giustizia che, nel
contemperamento tra libertà di stabilimento ed esercizio delle libertà collettive, tra mercato e diritti sociali o comunque riconducibili alla dimensione sociale, virano recisamente a favore del primo termine di raffronto, determinando ciò che si è definito di volta in volta: un bilanciamento del tutto ineguale e asimmetrico; una drammatica svolta nella giurisprudenza della Corte, per la quale solo la libertà economica sarebbe in realtà un diritto fondamentale68 che non tollera ostacoli. È proprio nell’ambito della libertà di circolazione delle merci che si formano quegli orientamenti di fondo che poi costituiranno i paradigmi fondamentali utilizzati anche in altri contesti dalla Corte per “disciplinare” i rapporti fra l’istituzione del mercato interno e la (residua) “sovranità” degli stati, ossia, in altre parole, per definire il quadro delle differenze compatibili con la “logica” dell’integrazione europea. Se con la sentenza Dassonville69, nella cui formula è
66 F. BILANCIA, op. cit., pag. 1. 67 G. FONTANA, op. cit., pag. 1. 68 G. GRASSO, op.cit., pp. 4-5.
69 Secondo la sentenza della Corte di giustizia (11 luglio 1974, C-8/74) ogni atto che possa ostacolare - direttamente o indirettamente, in atto o in potenza - gli scambi intercomunitari è
compresa ogni tipo di barriera, sono state poste le basi per il pieno dispiegamento della libertà di circolazione, è con la celebre sentenza Cassis de Dijon del 197970, che viene creata quella dottrina, poi utilizzata in modo sistematico, secondo cui restrizioni o limitazioni alla libertà di circolazione possono ammettersi solo in via d’eccezione e “se necessarie per rispondere ad esigenze imperative”71.
Del quartetto di pronunce, il cosiddetto Laval Quartet, che da Viking (dicembre 2007), passando per Laval (dicembre 2007) e Rüffert (aprile 2008), giunge a Commissione contro Granducato del Lussemburgo (giugno 2008), è utile ricordare un paio di passaggi, a partire dal passo di Viking (cons. 78 e 79) e Laval (cons. 104 e 105), in cui la Corte afferma che, poiché “la Comunità non ha soltanto una finalità economica ma anche una finalità sociale, i diritti che derivano dalle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali devono essere bilanciati con gli obiettivi perseguiti dalla politica sociale, tra i quali figurano in particolare (…) il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata e il dialogo sociale”. In Rüffert poi (al cons. 42), la Corte fa un richiamo all’obiettivo di stabilità finanziaria dei sistemi di sicurezza sociale, che era stato fatto valere dal Governo tedesco, “sulla base del rilievo che l’efficacia di un sistema previdenziale dipenderebbe dal livello della retribuzione dei lavoratori”. Tale obiettivo potrebbe costituire, lo riconosce la Corte, pur decidendo diversamente nel caso di specie, “un motivo imperativo di interesse generale, di evitare un rischio di grave alterazione dell’equilibrio finanziario del sistema di sicurezza sociale”72.
Le decisioni Viking e Laval “riconoscono” il diritto di azione collettiva e il diritto di sciopero come diritti fondamentali ma, al contempo, ne limitano la portata. Lo riconducono all’art. 28 della Carta dei diritti e precisano, a norma della disposizione, che “esso è tutelato conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali”. In altre parole la Carta, anziché rafforzare la tutela dei diritti sociali nello spazio europeo, produce l’effetto inverso, divenendo un incompatibile con l’ordinamento europeo, sicché anche misure indistintamente applicabili sono da considerarsi misure di effetto equivalente alle restrizioni esplicitamente vietate dall’art. 34 TFUE. 70 Cassis de Dijon, 20 febbraio 1979 C-120/78.
71 G. FONTANA, op. cit., pp. 30-31. 72 G. GRASSO, op. cit., pag. 6.
supporto nell’attività giudiziaria per limitare l’efficacia del diritto di azione collettiva a vantaggio della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei servizi. Per di più la Corte rafforza l’efficacia del diritto comunitario in un settore, quello del diritto di sciopero, riservato alla competenza statale (art. 137, par. 5, TCE; ora art. 153, par. 5, TFUE), affermando che gli Stati membri sono tenuti al rispetto del diritto comunitario73.
Il Laval quartet riflette pertanto un orientamento molto distante da ogni possibile “supremazia” dei diritti sociali collettivi, le ragioni potrebbero forse individuarsi nelle correnti di fondo della giurisprudenza, il cui ruolo è stato quello di guidare la realizzazione del mercato interno adottando un principio di favor per le limitazioni della libertà degli stati, ed a fortiori di qualunque altro soggetto istituzionale e para-istituzionale all’interno degli stati, in funzione della tutela della libertà di circolazione. Ed è evidente che in tal modo la Corte, affermando il primato della libertà di circolazione, non fa altro che ubbidire alla logica dei Trattati, ai quali i diritti collettivi sono sconosciuti74.
Con tali premesse, situando il poker di pronunce della Corte nella cornice dell’avvio della crisi, si possono forse ricavare alcuni ulteriori elementi utili: in primo luogo, ancora più che la crisi, sembra essere l’allargamento a Est ad aver determinato una differenziazione insanabile tra i sistemi di protezione sociale e il modo di tutelare i diritti sociali dei Paesi della vecchia e della nuova Europa. La Corte risolve sistematicamente questa differenziazione a favore dei modelli che meno difendono i diritti, anche quando (e questo rilievo apre una formidabile questione per il costituzionalista, per la difficoltà di dare applicazione concreta alla stessa teoria dei contro limiti), come in Viking, è la Costituzione stessa, nel caso quella finlandese, a riconoscere ai sindacati di intraprendere azioni collettive per la tutela degli interessi dei lavoratori. Quasi che quei modelli che meno garantiscono i diritti sociali, perché più liberisti, meno solidaristi, fossero più aderenti alle libertà economiche e al diritto di stabilimento propugnati nei Trattati75.
73 T.N. POLI, op. cit., pag. 17. 74 G. FONTANA, op. cit., pag. 32.
75 Per approfondimenti sul tema, si rimanda a P. GRASSO, I diritti sociali e la crisi oltre lo Stato nazionale, in Rivista AIC, n. 1/2016 e a G. FONTANA, Crisi economica ed effettività dei diritti sociali in Europa, in Forum di quaderni costituzionali, 27 novembre 2013.
Indubbiamente, al cospetto della crisi e dei nuovi scenari che sembrano aprirsi al centro ed alla periferia dell’Europa, anche la giurisprudenza della Corte - a partire soprattutto dalle sentenze Laval e Rüffert - assume oggi una luce diversa. Sta forse scomparendo o mutando il vecchio quadro di riferimento, nel quale, a ragione, il favor libertatis della Corte di Giustizia era stato considerato una delle armi più affilate del dumping sociale e la stessa Direttiva sui distacchi - interpretata in Laval e Rüffert come dispositivo che determina i livelli massimi di trattamento che gli Stati possono imporre ai prestatori di servizi stabiliti in altri Stati membri - era ritenuta in grado di determinare, quanto meno potenzialmente, una concorrenza al ribasso fra ordinamenti mettendo in pericolo le storiche conquiste sociali dei paesi più industrializzati. Si va infatti sempre più riducendo quel differenziale socio-economico fra i new comers e gli altri paesi europei (fenomeno del resto manifestatosi anche a livello “globale” fra paesi emergenti e paesi dell’area occidentale) che costituiva il presupposto “materiale” del discorso critico sui vantaggi competitivi realizzati attraverso i meccanismi di law shopping. In altri termini, se la tutela della libertà di stabilimento - alias il principio del trattamento nazionale - ha significato tutela della dislocazione delle imprese in paesi a basso costo del lavoro e la libertà di prestazione dei servizi - alias il principio del paese d’origine - libertà per le imprese stabilite nei paesi new comers di accedere ai mercati dei paesi ad alto costo del lavoro, le nuove condizioni che rapidamente si vanno delineando potrebbero modificare, almeno in parte, questo scenario, rendendolo più fluido e probabilmente meno scontato76.
76 G. FONTANA, op. cit. pag. 40.
CAPITOLO II
La Brexit: occasione per una riflessione giuridico - costituzionale