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Negli anni Novanta la rappresentazione del genere si espanse sempre di più e si fece più accurata. Tra le diverse rappresentazioni di moe, esistono anche molti esempi che presentarono come protagoniste scolare in divisa, e che attraverso un pubblico sia maschile che femminile svilupparono la rappresentazione fetish dell’uniforme. Se Ayanami Rei fu il primo esempio di moe, il vero sviluppo si ebbe con la nascita di un nuovo format dell’animazione: l sentō bishōjo, cioè le “eroine combattenti”.

L’esempio più lampante è sicuramente “Sēra Mun” (Satō 1992) di Takeuchi Naoto, pubblicato nel 1992, e meglio noto in Italia come “Sailor Moon” (Figura 16) (Kinsella 2002). Nate negli anni Sessanta, le “sentō bishōjo” erano inizialmente personaggi legati al genere mecha , come la stessa Ayanami Rei. (Allison and Cross 2006), ma le supereroine di Sailor Moon erano un format diverso, originale e innovativo. Il target fu spostato sulle bambine. Fino a quel momento solo gli anime dedicati ad un pubblico maschile avevano avuto come tema i combattimenti, mentre quelli femminili erano stati sempre indirizzati su generi più comico-romantici. Questo portò alla creazione un nuovo sottogenere, dove ragazze combattevano per un pubblico di ragazze (Allison and Cross 2006). Non solo, i poteri delle protagoniste non venivano acquisiti con l’aggiunta di elementi

somatica che rendeva i loro fisici

sessuali e iperfemminilizzati.

(Allison and Cross 2006).

La storia si concentra principalmente attorno alle vicende di cinque ragazze quattordicenni, che vengono chiamate a combattere a difesa della Terra. Ognuna di esse riceve dei poteri speciali ed è collegata ad un pianeta del sistema solare. Le ragazze indossano sempre le loro divise scolastiche. Rappresentate secondo

un modello precedente

all’ammodernamento delle divise nel sistema scolastico, queste uniformi erano ben poco attraenti, ma con la trasformazione dei personaggi diventavano uniformi favolose. L’insistenza posta all’abbigliamento non fu per niente casuale. L’obiettivo principale della Bandai, la casa produttrice dello show, era realizzare un “fashion action”, cioè di una serie che combinasse l’uso di bei costumi a scene di azione e combattimenti (Allison and Cross 2006).

Sailor Moon divenne un’icona sexy, riproponendo il problema, tipico del Lolita

Complex, dell’infantilizzazione delle donne e della loro rappresentazione come

oggetti sessuali. E’ molto significativo il fatto che non solo Sailor Moon indossi un’uniforme, ma che la stessa dia il nome allo show. Come già analizzato precedentemente, il sēra fuku era uno dei modelli più diffusi di divisa scolastica, e per questo era anche il costume maggiormente usato nell’eroticizzazione delle giovani ragazze. L’uso in Sailor Moon dell’uniforme scolastica può essere visto, pertanto, come una stimolazione di due desideri: da una parte l’identificazione delle bambine con la ragazza adolescente, dall’altra quella feticistica delle

uniformi come oggetto sessuale, che è da riferirsi principalmente ad un pubblico maschile (Allison and Cross 2006).

Le protagoniste avevano un passato in un mondo diverso. Usagi (Bunny nella traduzione italiana) era una principessa, legata da lungo tempo a un uomo, con il quale ha una figlia, ma nel mondo umano è una ragazzina quattordicenne, pigra e svogliata. La sua doppia vita può essere interpretata come la scoperta di un modo ideale per esprimere le proprie capacità, infatti, quando Usagi si trasforma in Sailor Moon diventa la leader del gruppo e la più forte di tutte le eroine. Ma la doppia vita delle protagoniste può essere anche interpretata come la realizzazione di un sogno, dove si può crescere e diventare adulti pur mantenendo una parte di sé nell’età infantile. Questo è rappresentato anche dalla trasformazione fisica in “Sailor Moon” che non solo permette l’acquisizione di poteri magici, ma esprime anche l’idea della bellezza nella crescita del proprio corpo (Allison and Cross 2006).

L’acquisizione di doti sovrannaturali tramite modificazioni e trasformazioni dei corpo non era inusuale negli anime fantastici del periodo, specialmente al genere

mecha, ma con delle differenze tra i cartoni animati di target maschile e

femminile. Nelle produzioni per il pubblico maschile lo scopo del ricevere i poteri era sempre quello di proteggere la Terra, difenderla dagli aggressori fino ad arrivare a sacrificare se stessi. Si tratta in genere di personaggi giovani, dall’animo puro, che solo attraverso l’uso di un esoscheletro meccanico acquisiscono quei caratteri di superiorità necessari per la distruzione degli avversari. Le loro azioni, anche se crudeli, sono comunque sempre giustificate, perché necessarie al fine di combattere i nemici. Un’interpretazione comune che è stata data a questi anime mecha, è che essi rappresentino una metafora del Giappone post-bellico, che dopo essere stato sconfitto, ricerca un riscatto non reale in cui questa nazione riesce a proteggere il proprio paese dagli orrori subiti. Nelle produzioni per un pubblico femminile, invece, a questo obiettivo è sempre affiancato quello della ricerca e protezione di “oggetti magici”, come i “Cristalli

essi possano rappresentare un simbolo per la purezza e la verginità delle ragazze (Saitō 1998). Il personaggio della serie che diede maggiore risalto al tema della sessualizzazione delle ragazze fu quello di Hotaru Tomoe (in italiano Ottavia Tomoe), alias Sailor Saturno (Figura 17). La sua natura ambigua, metà umana e metà meccanica, ha giocato molto nella formazione di questo ruolo: l’essere un personaggio dalle molte sfaccettature, spesso non completamente positive, e il suo aspetto infantile hanno sicuramente contribuito alla espansione dei personaggi moe e del fenomeno del Lolita Complex (Galbraith 2009).