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C ATTIVE RAGAZZE IN UNIFORME : LA MODIFICA DELLE DIVISE COME MEZZO DI RIBELLIONE

FIGURA 5: UNIFORME SUKEBAN

i combattimenti fra bande. Arrotolata nella stoffa e nascosta in mezzo al seno, l’arma era schioccata violentemente sul volto delle avversarie.

In quanto organizzazioni criminali gerarchicamente organizzate, le sukeban possedevano regole molto rigide, la cui contravvenzione portava anche a pene corporali, come lo spegnimento di sigarette sul corpo. Nei casi considerati più gravi, come tradire o insultare il proprio capo, era previsto anche il linciaggio con modi propri a ogni gang,. Stranamente, una delle cause più comuni di linciaggio era l’essere stata colta a tradire il proprio fidanzato (naturalmente un membro di qualche banchō). Nonostante i loro crimini, le sukeban si sono sempre considerate dall’altro profilo morale. Il fenomeno delle sukeban rimase confinato a ragazze appartenenti a classi sociali poco abbienti, che trovarono nelle gang un modello di vita. Considerate dai più dei gruppi di giovani delinquenti destinate ad una rapida estinzione, con il passaggio all’età adulta scomparirono effettivamente in un decennio e furono riassorbite nel tessuto sociale. Nonostante ciò il loro nome è rimasto impresso chiaramente nella memoria giapponese, identificando un periodo di forti tensioni sociali.  

LE  KOGYARU  

 

ORIGINI  E  DEFINIZIONI    

La nascita della sottocultura kogyaru è stata lenta e inaspettata, e non è possibile definire una data certa di inizio (Marx 2009). La parola “gal” (o gyaru, dall’inglese “girl”) venne usata per la prima volta nel 1972, come nome di una sottomarca dei

jeans Wrangler22. Nel 1979 il cantante Sawada Kenji usò il termine nella canzone

“Oh, gal!”. Inizialmente il termine indicava una categoria di donne superficiali e

                                                                                                                                        22  Nota marca di jeans, nata nel 1943

amanti della vita notturna. Verso gli anni Ottanta questo modello di ragazza divenne il target di giornali come “Gal’s Life” o “Popteen”, che essendo indirizzati ad adolescenti, furono bollati dalla Dieta giapponese come immorali e diseducativi. Successivamente, il boom dell’aerobica e delle bodīkon gyaru portò ad un nuovo modo di percepire il proprio corpo e le vecchie gal, ormai cresciute, lasciarono spazio alle nuove generazioni, che vennero chiamate kogyaru (spesso abbreviato a kogal in inglese), là dove “ko” corrisponde a “bambino”, “piccolo”. Le “baby-gals” erano spesso ragazze di scuole private esclusive, vestivano in maniera appariscente accompagnate dai loro fidanzati scapestrati, i chimaa. Membri di gang maschili, scomparirono effettivamente in un decennio erano famosi per le loro feste e scorribande, ma dopo essere stati duramente repressi per una serie di gravi incidenti compiuti tra il 1991 e il 1992, scomparvero presto dalla circolazione. Non le loro fidanzate che, rimaste fino a quel momento nell’ombra, segnarono, nel bene e nel male, tutta la società giapponese fino alla fine del decennio. L’estetica di queste ragazze soprannominate paragyaru, “donne del paradiso”, trasse inizialmente ispirazione dal guardaroba surfistico californiano, appropriandosi di alcune marche, come Alba Rosa23 (Marx 2012).

Tuttavia, non furono questi gli abiti per cui sono ricordate, ma piuttosto le loro divise scolastiche.

Secondo Suzuki Tadashi e Joel Best, nel loro articolo “The Emergence of

Trendsetters for Fashions and Fads: Kogaru in 1990s Japan”, esistono due fattori

importanti che favorirono l’emergere della cultura kogyaru: il primo fu il calo della popolazione giovanile, che da un picco di 6,1 milioni del 1990, si abbassò a 5,5 nel 1993, comportando una riduzione della competizione per l’accesso nelle università tanto che nel 1999 il numero delle ragazze ammesse all’università aumentò del 48,1%. La minore pressione scolastica permise a molte giovani di potersi concedere più tempo libero, facilitando così l’insorgere di nuove mode. Il

                                                                                                                                       

23  Brand di vestiti nato nel 1975, noto specialmente per i vestiti a motivi floreali e dai colori fluorescenti. E’ diventata la marca più famosa tra le kogyaru durante il loro picco, tra il 1998 e il 2001.  

secondo fattore fu direttamente collegato alla recessione economica che colpì il

Giappone nello stesso periodo. Lo scoppio della cosiddetta “bolla economica”24

portò a un indebolimento del potere d'acquisto e favorì la nascita di beni di consumo a basso costo, come quelli venduti nei “100 yen shop”. Questo genere di oggetti rappresentavano il target di consumi cui le kogyaru (principalmente adolescenti e quindi senza un grande potere di acquisto) erano interessate

(Suzuki and Best 2003).

Mentre le sukeban avevano cercato di atteggiarsi da adulte, le kogyaru andarono in una direzione opposta, ostentando fino al ridicolo la loro giovinezza, cercando di apparire le più dolci e innocenti possibili. A questo scopo divennero consumatrici ossessive della cultura kawaii, comprando accessori e oggetti che servissero ad accentuare questi tratti (Evers and Macias 2007).

Come già scritto nel Capitolo 2, negli anni Ottanta l’uniforme scolastica femminile aveva subito dei radicali cambiamenti in conseguenza dei quali si assistette alla quasi totale scomparsa del modello sēra

fuku, rimpiazzato dell’uniforme blazer. Le kogyaru presero elementi stilistici delle

uniformi e li trasposero all’interno della

                                                                                                                                       

24  La “bolla speculativa giapponese” scoppiò tra il 1986 e il 1981, interessando specialmente il mercato azionario e quello immobiliare giapponese. In conseguenza dello scoppio della bolla il Giappone ha passato due decenni di rallentamento del tasso di crescita annuo, passato dal 4.1% degli anni Ottanta a poco più dell’1% di fine anni Novanta e primi Duemila. FIGURA  6:  L'UNIFORME  KOGYARU

propria moda (Figura 7). Le gonne furono visibilmente accorciate e le calze furono allentate sui polpacci. I maglioni diventarono oversize, comprendo quasi totalmente la lunghezza della gonna. Le kogyaru amavano molto anche gli oggetti di lusso, come le sciarpe Burberry o le borse Louis Vuitton. Vennero talvolta ripresi anche elementi provenienti da completi di scuole prestigiose. I capelli erano tinti o scoloriti, e il trucco, portato su una pelle abbronzata artificialmente, era scuro e pesante (Evers and Macias 2007). Questo nuovo look spinse le ragazze ad indossare le uniformi anche al di fuori dell’ambito scolastico (Marx 2012). Fu allora che cominciarono ad attirare l’attenzione dei media, divenendo la personificazione di un’ansia generale verso le giovani generazioni (Leheny 2006). I primi ad interessarsi della kogyaru furono le riviste maschili. Nel 1993 il magazine “Spa” scrisse un articolo intitolato “La tentazione delle kogyaru”. L’infatuazione maschile per queste ragazze crebbe man mano che le notizie sulla vita sessuale delle nuove teenager incominciarono ad emergere su media nazionali e internazionali (Marx 2012). Tra il 1995 e il 1998, in conseguenza di alcuni scandali sessuali, l’uniforme scolastica divenne una visione costante nelle televisioni giapponesi. Le ragazze, riprese con i volti oscurati e le voci camuffate, telecamera puntata su gonne e gambe, incominciarono a essere inseguite ovunque. La richiesta tipica che veniva fatta loro era quella di mostrare il contenuto della borsa. Scrupolosamente sezionata e analizzata, questo oggetto divenne la prova lampante di uno stile di vita degenerato. Le ragazze in tenuta

kogyaru, in particolare, vennero descritte come prostitute e delinquenti, esposte a

insulti e ammiccamenti da parte di persone sconosciute (2009; Kinsella 2002). Racconta una ex kogal in un’intervista: “Arrivavano certi vecchi che chiedevano: -

quanto vuoi per fare sesso?- Alcuni accennavano, altri semplicemente chiedevano senza alcun preambolo.(…) Sono quei cavolo di media – danno l’impressione alle persone che stiamo architettando chissà cosa” (2009). E’ tuttavia difficile distinguere le kogyaru

creazione della loro immagine. La fascinazione per la sottocultura kogyaru ha portato alla formazione nella società giapponese di opinioni contrastanti: se da una parte furono trattate come stupide, volgari e impertinenti, diventando capri espiatori per fenomeni più complessi, dall’altra furono idolatrate, e la loro immagine, abusata dai mezzi di comunicazione, divenne il focus di lunghe discussioni e segnò l’estetica giapponese per un intero decennio (Miller 2004). Il boom delle ragazze in uniforme il cui stile e vestiario venivano rappresentati in nuove ed effimere riviste, come “Egg”, “Cawaii!”, “Heart Candy” e “Street Jam”, ed il dibattito circa la loro dubbia moralità ebbero però l’effetto di avvicinare sempre più la loro immagine al mondo delle kogal. Alimentata da lettori sia nel pubblico maschile che in quello femminile, la rappresentazione della studentessa trasgressiva e dell’oggetto sessuale cominciarono a mescolarsi. L’immagine dalle ragazze kogyaru del resto non era del tutto dissimile dalle figure che per molto tempo avevano circolato nella pornografia maschile (Kinsella 2002). Alcune riviste specializzate, tra cui “Heart Candy” e “Street Jam”, erano peraltro pubblicate da Eichi e Bauhaus, due case editrici specializzate nella produzione di giornali pornografici focalizzati sulle uniformi scolastiche e sul Lolita complex (Kinsella 2013).

LE  KOGYARU  E  GLI  SCANDALI  SESSUALI  DEGLI  ANNI  NOVANTA    

Si ritiene erroneamente che gli uomini, per natura, siano soggetti a maggiori esigenze sessuali delle donne cui , al contrario, è spesso attribuita una posizione di passività e autocontrollo. Se pagare qualcuno per fare sesso è moralmente accettabile per un uomo, la donna che si prostituisce è invece doppiamente censurabile per non aver rispettato gli standard di moralità ed il ruolo sociale che le sono tradizionalmente assegnati. Questa logica venne applicata anche nel

Giappone degli anni Novanta nei confronti delle ragazze in uniforme con una discussione focalizzata sulla loro moralità piuttosto che sul rischio sfruttamento da parte di uomini più anziani (McCoy 2004).

I fenomeni di prostituzione di giovani ragazze portate alla luce dei media del periodo furono diversi. Innanzitutto, come già accennato prima (vedi p. 29), i

burusera, dove avveniva la vendita di uniformi e biancheria con scopi sessuali. I terekura, cioè “club telefonici”, nati nel 1985, consistevano invece in un sistema di

messaggeria telefonica che permetteva l’incontro tra sconosciuti a pagamento. Serviva soprattutto agli uomini per trovare partner, e contava nel 1990 duemiladuecento negozi. Si disse che il 30% delle ragazze tra i dodici e i diciotto anni avesse usato il servizio, anche se pare anche che la maggior parte di loro lo avesse provato per scherzo, senza mai incontrare di persona alcun uomo. Ciononostante fu sicuramente uno strumento facilitatore nella diffusione di altri fenomeni. Vi erano infine i date club, club per appuntamenti, che rendevano legali gli incontri con minorenni incassando solo i soldi per l’entrata nel locale, senza pagare direttamente le ragazze (Suzuki and Best 2003).

Tuttavia il più noto di tutti i fenomeni rimase sicuramente l’enjo kōsai. Il sociologo Miyadai Shinji sostiene che il termine sia nato per la prima volta negli anni Ottanta per indicare donne che attraverso i terecura trovavano partner occasionali. Il termine fu poi successivamente adottato per indicare teenager che lavoravano nei date club e per riferirsi ad un incontro senza rapporto sessuale, mentre solo a partire dal 1994 incomincia a essere usato con il significato che ancora oggi gli è attribuito (Kinsella 2013). Nel 1984 in Giappone fu esercitata una forte repressione del mercato dell’industria sessuale, in particolare delle attività esercitate in case di appuntamento o locali consimili. Da allora il mercato si è spostato verso attività meno rischiose, come l’industria dei video per adulti o modelli di nudo. L’industria del sesso in Giappone è molto sviluppata, e la

possibilità di accedere a lavori parti time e di sicuro guadagno indica che una piccola percentuale di adolescenti vi abbia potuto partecipare (Kinsella 2013).

Enjo kōsai fu un fenomeno con ampi risvolti mediatici, ma ciò non arginò il

problema piuttosto lo fece acuire anche se non se ne conosce l’esatta dimensione. Nel 1995 il numero di minorenni arrestate per essersi prostituite fu di 5481, il 38% in più del 1993. Un numero elevato, ma comunque molto inferiore ad alcuni dati dei giornali, sui quali vennero riportate cifre del 4 o 6% delle minorenni. Il fenomeno sollevò ampio dibattito tra chi parlava di “emancipazione” e chi di “degenerazione” delle nuove generazioni (Kinsella 2013). L’aspetto ironico della vicenda fu che probabilmente le kogyaru non furono mai coinvolte direttamente nel problema. Secondo Akaeda Tsuneo, medico che per molto tempo si è occupato di offrire consultazioni gratuite alle ragazze di Tokyo, queste erano troppo orgogliose per potervi essere coinvolte. Le vittime della rete furono per lo più ragazze che agivano singolarmente. Ma le kogal, con il modo appariscente di vestire e di atteggiarsi, divennero il capro espiatorio della situazione (Marx 2012).

     

IL  RUOLO  DELLE  KOGYARU  COME  TRENDSETTERS  

 

Anche se bollate con il marchio delle “cattive ragazze”, le kogal furono un elemento chiave nella cultura della gioventù giapponese degli anni Novanta e costituirono delle trendsetters cruciali nella diffusione delle mode di quel periodo (Suzuki and Best 2003). Con il loro stile crearono un vero e proprio brand che permise loro di segnare mode e modelli di consumo. La kogal, infatti, è da considerarsi a tutti gli effetti un “tipo sociale”, con specifiche caratteristiche di età, sesso, stile e consumi (Suzuki and Best 2003).

Due esempi commerciali famosi riconducibili alla cultura kogal sono il Tamagotchi e Hello Kitty. Il Tamagotchi fu inizialmente distribuito in Giappone in sole mille esemplari dalla Bandai come test di mercato prima del suo debutto previsto nel Novembre 1996. Divenne popolare prima tra le kogal, e da lì si diffuse a livello mondiale tanto che Bandai vendette trecentocinquantamila unità in solo due mesi, e tredici milioni nel 1998 nel solo Giappone. Allo stesso modo Hello Kitty era uno dei prodotti meno venduti della Sanrio, ma nel 1997, quando le kogal la fecero propria, ebbe un vero e proprio boom (Suzuki and Best 2003). Le kogal ebbero un ruolo importante non solo nell’imporre modelli di giocattoli, ma anche nella diffusione delle nuove tecnologie. Prima ancora dell’introduzione del telefono cellulare, si interessarono a tutti quei mezzi che permettevano la comunicazione a distanza, come i cercapersone e i sistemi di comunicazione PHS. Il loro interesse per la telefonia mobile portò alla diffusione dei telefoni cellulari in Giappone (Suzuki and Best 2003)

 

L’UNIFORME  KOGYARU    

Lo stile kogal non è traducibile direttamente, perché mescola tra loro elementi diversi e contrastanti. Innanzitutto il kawaii, che è continuamente citato non solo negli accessori, ma anche nell’atteggiamento delle ragazze. Esistono poi diversi elementi di “imbruttimento”: ben lungi dal canone di bellezza tradizionale giapponese, il look kogal è piuttosto da interpretare come un insieme di citazioni del passato, che si combinano con l’estetica definita “mukokuseki”, cioè di “globalismo senza stato”. Lo stile delle kogal ha cioè un’esplicita mancanza di elementi nazionali, anzi le caratteristiche etniche e razziali giapponesi vengono parzialmente cancellate e rimpiazzate da nuovi modelli. Le kogal non fanno riferimento a modelli domestici, quanto piuttosto stranieri nella creazione della loro estetica. L’ibridazione temporale e razziale disturba le nozioni popolari di identità nazionale, a rappresenta un punto di rottura rispetto ai concetti purità e omogeneità del paese (Miller 2004). La cultura giapponese in realtà non è del tutto estranea a questa perdita di identità nazionale. Il Cool Japan, e la maggior parte dei prodotti di riferimento, hanno alla loro base il mukokuseki: nei manga e negli anime i personaggi sono spesso disegnati sulla base di un modello bellezza caucasica, portando talvolta ad una rappresentazione falsificata e virtuale del Giappone stesso (Miller 2004). E’ ad esempio noto che l’adozione degli occhi grandi nei personaggi fu un omaggio del maestro Tezuka Osamu ai personaggi creati da Walt Disney. La presenza di elementi mukokuseki non significa quindi la perdita della identità giapponese, quando piuttosto una sua rielaborazione verso modelli globalizzati (Miller 2004). Così, quando penso ai manga, o alla kogyaru, non si immagina l’Occidente, ma il Giappone.