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FIGURA 9: CLARISSA DI CAGLIOSTRO

LA NASCITA E LO SVILUPPO DEL LOLITA COMPLEX

FIGURA 9: CLARISSA DI CAGLIOSTRO

FIGURA   10:   RAGAZZA   IN   UNIFORME   DA   UN   NUMERO  DI  "LEMON  PEOPLE"

di divise scolastiche” presenta un grande spazio dedicato interamente a soli

personaggi in uniforme. (Galbraith 2011).

Oltre alle riviste pornografiche, furono i videogiochi i maggiori veicoli per questa trasformazione. I bishōjo games (letteralmente “videogiochi con ragazze belle”) ne sono l’esempio più lampante. Si trattava di una serie di videogiochi creati per un target maschile in cui l’obiettivo del giocatore consisteva nel conquistare delle giovani e belle ragazze. La maggior parte di questi giochi avevano un’ambientazione scolastica, e vedevano quindi rappresentate molte ragazze in uniforme (Galbraith 2009). “Lolita Syndrome” (1983) fu il primo di questi giochi (Figura 12). Pubblicato nel 1983 dalla Enix, aveva come scopo principale il salvataggio di alcune giovani ragazze, stese su di un tavolo, da una morte violenta. In altri livelli lo scopo del gioco era quello di lanciare coltelli contro la ragazza stessa per denudarla; la nudità era la ricompensa per essere riuscito nell’impresa (Ashcraft and Ueda 2010).

  FIGURA  11:  SCREENSHOT  TRATTA  DA  "LOLITA  SYNDROME"

Nel 1985 l’azienda Jast, che si occupava di programmazione informatica, elaborò un videogioco intitolato “Il pomeriggio degli angeli” (Tenshitachi no gogo) (1985), uno dei precursori dei moderni giochi di simulazione di appuntamenti. Lo scopo era quello di guadagnarsi la fiducia di una ragazza popolare della squadra di

tennis di un liceo. Più stretto era il rapporto costruito, maggiori le concessioni che la ragazza avrebbe dato, incluso ovviamente il sesso. Il gioco non fu percepito in maniera positiva dall’opinione pubblica, ma riuscì a sottrarsi dalle critiche perché lo stile fumettistico dei personaggi giustificò gli argomenti trattati, rendendoli non reali perché effettuati da personaggi non realistici (Figura 13) (Ashcraft and

Ueda 2010).

  FIGURA  12:  SCREENSHOT  TRATTA  DA  "TENSHITACHI  NO  GOGO"

La nascita di questi videogiochi segnò un passaggio importante: la rappresentazione femminile stava nuovamente cambiando. Un sondaggio pubblicato da Manga Burikko nel 1983 sui target di età e sesso della rivista mostrò che il pubblico del genere Lolita Complex stava lentamente mutando. Infatti, nonostante rimanesse un pubblico a maggioranza maschile (80%), l’età dei lettori si era stabilizzata tra i 15 e i 26 anni. Con la diminuzione dell’età media dei lettori, il significato che veniva dato a quelle immagini stava progressivamente modificandosi: non più solo donne giovani per un pubblico di uomini vecchi, ma

giapponese. Non più solo un concetto puramente femminile, ma un termine di cui anche la popolazione maschile si appropria. Era nata una nuova categoria, quella degli otaku (Galbraith 2011).

Questo termine era nato negli anni Settanta nel momento in cui sottoculture come anime e manga entravano a fare parte della cultura giapponese, per identificare i primi appassionati del genere. Oggi il termine identifica sempre la stessa categoria le stesse persone ed è stato esportato anche in altri paesi, ma mentre in Occidente ha un’accezione per lo più positiva, in Giappone è si associa spesso all’idea di persone incapaci di relazionarsi con il mondo esterno che vivono in un proprio mondo fantastico.

Nel suo articolo “La sessualità dell’otaku” (Saitō 2007), lo psicologo Saitō Tamaki, spiega le ragioni che portarono questa generazione ad una nuova rappresentazione femminile. Il concetto chiave per comprendere questo sviluppo è “moe” un termine che indica una rappresentazione enfatica di personaggi di fantasia. Moe deriva dal verbo omofono “moeru”, che scritto con caratteri diversi può significare rispettivamente “sbocciare” e “bruciare”. I personaggi moe sono in genere ragazze molti giovani, dall’aspetto infantile, sospese tra caratteri Lolicon e tratti legati alle bishojō. Il termine si riferisce spesso direttamente ai personaggi, ma il significato è talvolta esteso alle situazioni in cui essi sono coinvolti. Secondo Saitō, i personaggi femminili rappresentati secondo stile moe sono figure “isterizzate”. In psicologia, l’isterizzazione femminile è un triplice processo tramite il quale la donna è analizzata come un corpo privo di sessualità propria. Ciò corrisponde esteriormente ad un corpo sessualmente non sviluppato, interiormente ad una figura di donna ingenua, sottomessa e infantile. Secondo lo studioso Azuma Hiroki (Azuma 2001), esso rappresenta un’idea conservatrice di amore, perché l’uomo è visto come un protettore della donna. Nell’otaku la rappresentazione moe suscita infatti più affetto ed impulso di protezione che un vero e proprio impulso sessuale. Moe, tuttavia, possiede contemporaneamente una natura innocente e una perversa (Saitō 2007), i suoi personaggi sono

ambigui, perché seppur estremamente infantili sono anche fortemente eroticizzati (Galbraith 2009).

Le storie “moe” non hanno mai una trama elaborata ed i momenti positivi sono costantemente rappresentati come dei simulacri, cioè delle visioni di un archetipo, ovvero il moe stesso perché l’enfasi viene attribuita non agli elementi concreti, quali la trama, ma piuttosto a elementi ideali, i sentimenti e le reazioni dei personaggi (Galbraith 2009).

I videogiochi sono l’esempio più lampante di questa trasformazione: nello sviluppo del gioco, infatti, l’influenza del giocatore è sulle reazioni emotive dei personaggi che diventano il fulcro della stessa storia. I personaggi femminili sono proiettati in una relazione di possesso con il giocatore, che prima instaura con loro un amore esclusivo, puro e innocente, che poi evolve in una relazione perversa. Si consolida quello che potremmo definire come un “database” emozionale, cioè la creazione di una serie di situazioni predefinite in cui personaggio viene stimolato a diventare e agire secondo un’ottica moe (Galbraith 2009). Il concetto di moe, sebbene già presente nei primi manga, si identifica formalmente per la prima volta nel personaggio di Rei Ayanami (Figura 14), della serie animata fantascientifica “Neon Genesis Evangelion” (Anno 1995). La storia è ambientata nel 21° secolo, in un mondo decadente e ormai stravolto da cambiamenti climatici. La popolazione umana è stata dimezzata. Una città, chiamata Tokyo-3, viene attaccata da una serie di esseri chiamati “Angeli”. Tre ragazzi quattordicenni, Ikari Shinji, Asuka Longley e Ayanami Rei, sono chiamati a salvare la città dagli attacchi con