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IL  KAWAII  

 

Una delle parole chiave della cultura contemporanea giapponese è kawaii. La parola appare per la prima volta nei dizionari del periodo Taishō fino al 1945 come kawayushi, che sarà cambiato in kawayui fino al 1970 : entrambe le versioni hanno lo stesso significato, cioè “imbarazzato” o “timido”; altre traduzioni secondarie possono essere “patetico”, “vulnerabile”, “grazioso” e “piccolo”. A partire dagli anni Settanta, la parola diventa kawaii e assume il suo significato odierno: il Daijirin, un

importante dizionario giapponese

(1989), scrive: “è qualcosa o qualcuno che

è giovane o piccolo e che fa sì che uno voglia prendersene cura” e in particolare:

“qualcosa che è bello, affascinante”, “qualcosa che è bambinesco e che fa

sorridere”, “qualcosa di piccolo che fa sorridere”. In un suo significato

secondario, la parola è associata ad altri termini, come kawaigaru, “amare” e

kawaisō, aggettivo che descrive qualcosa che provoca compassione. Probabilmente, tuttavia, il concetto

principale legato alla parola kawaii è quello di miniaturizzazione: il rimpicciolimento costituisce la base della proiezione di un oggetto comune verso un oggetto “grazioso”(Figura 4). Un noto chirurgo plastico giapponese, Katsuya Takasu, riassume in uno dei suoi libri i tre principi fondamentali affinché qualcuno o qualcosa possa essere considerato come kawaii (Takasu 1988): il primo è quello di possedere dei tratti bambineschi, come una fronte ampia o gli occhi grandi. Questo richiama immediatamente alla mente le immagini dei manga, e in particolare la rappresentazione delle donne. La seconda caratteristica consiste nell’abilità di saper scatenare un istinto protettivo negli altri. Il terzo principio è la volontà di essere apprezzati. Ciò corrisponde, secondo Takasu, all’accondiscendenza di mostrarsi deboli. Alcune delle associazioni che vengono fatte con la parola includono “sunaoni” (l’obbedienza) e “enryogachi” (riservatezza), termini che sono tradizionalmente considerati in Giappone come qualità ideali in particolare nelle giovani donne. In effetti il consumo di beni

kawaii, che è presente in ogni dove in Giappone, appartiene ad una sfera che è

principalmente femminile e generalmente giovanile. Non sono rare tuttavia le incursioni nel mondo adulto, dove i significati della parola vengono rivisitati in maniera trasversale, come ad esempio nel sexy kawaii. Secondo McVeigh (McVeigh 2000), la rappresentazione delle donne con caratteristiche fanciullesche indica un tentativo simbolico da parte degli uomini di porle in una posizione di controllo: questo in particolare sarebbe visibile nella rappresentazione femminile nelle pubblicità, nei manga e nella pornografia, dove l’idea di attrazione sessuale è associata a giovinezza, innocenza e ingenuità.

La diffusione del kawaii è avvenuta attraverso la congiunzione di tre fenomeni sociali: la creazione del gruppo sociale degli adolescenti, e in particolare il cambio di ruolo delle ragazze da ryōsai kenbo (buona moglie, saggia madre) a donna emancipata, la categorizzazione delle donne attraverso i simboli del

Negli anni Sessanta, le nuove condizioni economiche del Giappone hanno spinto molte donne a trascorrere sempre più tempo a casa, creando una nuova categoria di casalinghe che non vivono più in famiglie allargate, ma in famiglie nucleari ridotte, cosa che consente loro di avere maggiore tempo a disposizione. Le donne giapponesi si sentono libere dall’idea di dovere lavorare a tempo pieno o durante tutta la loro vita e investono più tempo nei loro ruoli di madre e moglie. Questo ha portato ad una nuova visione delle donne nella società, dove il lavoro e la vita familiare come moglie e madre non sono conciliate (Madge 1997). I valori che vengono associati alla donna e in particolare alla casalinga si differenziano notevolmente da quelli che assegnati agli uomini. In questo particolare contesto, si inserisce il ruolo culturale del kawaii. E’ in questo periodo che l’aggettivo inizia ad essere utilizzato parlando di persone e di vestiti, o altri piccoli oggetti che vengono pubblicizzati nelle riviste per ragazze. I romanzi o fumetti cambiano tematiche: non più la famiglia e le responsabilità, ma l’amicizia e l’amore romantico. Anche la comunicazione scritta tra amici cambia, non più formale come un tempo, ma spensierata e diretta nell’espressione delle emozioni. Il termine incomincia a essere usato anche per indicare obbedienza e innocenza sessuale, testimoniando un netto contrasto rispetto al passato (Madge 1997). I giovani, e in particolare le ragazze, che nelle epoche precedenti passavano senza tappe intermedie da età bambina e età adulta, ora appartengono ad una nuova categoria sociale, gli adolescenti. Per le ragazze il kawaii incomincia a rappresentare una via di fuga dai ruoli tradizionalmente assegnati, perché le trattengono in una posizione che non è più bambina, ma neppure adulta (Madge 1997).

Negli anni Ottanta, quest’idea si radica diventando quella da molti è stata definita come “kawaii karuchā”, cioè “cultura kawaii”(Madge 1997). Non si tratta più di liberarsi dal ruolo imposto dalla tradizione, quanto dal concetto stesso di età adulta. Nel suo articolo “Cuties in Japan” Kinsella spiega come in Giappone

l’età adulta sia spesso vista come un periodo duro, esclusivamente associato all’espletamento del dovere sociale (sekinin) (Kinsella 1995). La giovinezza, al contrario, viene esaltata come il vero periodo felice della propria vita, diventando estremamente popolare. I beni di consumo kawaii la venerano, perché creano uno spazio di una libertà, diventando luoghi di rifugio dai numerosi obblighi sociali. Questa cultura, in sostanza, è connessa ad una doppia logica di “avere e essere”. Il possesso di oggetti kawaii significa non solo avere qualcosa che suscita in noi istinti genitoriali e di protezione, ma corrisponde anche al desiderio di essere quello che si compra, cioè di regredire all’età della giovinezza e di fuggire dalla vita adulta (Madge 1997).

Per quanto la kawaii karuchā coinvolga principalmente solo donne, anche gli uomini non disdegnano di parteciparvi. Il loro apporto, tuttavia, non deriva dalla costruzione di un mondo proprio, ma dalla trasformazione del significato delle immagini create dalle donne (Madge 1997). Una delle posizioni più evidenti del

kawaii nella cultura maschile è quella dell’industria sessuale. Studi sulla

pornografia maschile segnano un brusco cambiamento di preferenze sui tipi femminili nel periodo prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale (Madge 1997). Se prima era l’immagine di una donna materna che veniva preferita, nel periodo successivo alla fine del conflitto sono le ragazze giovani che attirano maggiormente l’attenzione. Contemporaneamente a questo cambio di preferenze, abbiamo anche un cambio di visione della figura della moglie: se prima della guerra veniva rappresentata come docile e sottomessa, dopo la fine del conflitto prevale l’immagine di una donna forte e indipendente. E’ probabile che questo cambiamento sia dovuto all’acquisizione di potere economico da parte del genere femminile. Il tentativo di fuggire da una figura di donna emancipata, ha portato alcuni uomini giapponesi a indirizzare i propri desideri su qualcosa che fosse dominabile. La ragazza giovane è perfetta per questo ruolo, perché non ancora donna ma sufficientemente matura da non essere bambina.

Miyamoto Masao, un famoso psichiatra, dichiara che molti uomini giapponesi si sentono intimiditi dalle donne adulte, sentimento che invece svanisce con ragazze più giovani (Ripley and Whiteman 2014). E’ un fattore psicologico tanto quanto di attrazione sessuale. Le donne giapponesi si sono emancipate, hanno trovato un modo per lavorare, viaggiare, leggere e fare classi serali, mentre la maggior parte degli uomini rimangono schiavi del proprio lavoro. Per trovare conforto e rilassamento, allora, trovano rifugio nelle uniche donne con le quali ancora riescono a confrontarsi mantenendo una posizione di controllo, le

adolescenti.

L’UNIFORME  SCOLASTICA