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“Si giunge in cima con l‟anima da studioso, l‟attenzione del ricercatore,

gli occhi incantati dell‟artista,e con la commozione originale del poeta.”

Pio Vittorio Vigo119

Fig 7.6 -Veduta del Castello e della chiesa del SS. Crocifisso prima della ristrutturazione.

Il castello di Calatabiano sorge in vetta al colle descritto in altro capitolo. Provenendo da Via Cruyllas, si raggiunge attraverso il sentiero originario a gradoni che conduce all‟antico borgo medioevale.

Dopo avere attraversato un torrentello e lasciato alla propria destra una torre di avvistamento, s‟incontrano alcune strutture murarie costituenti i resti dell‟antica porta d‟ingresso al borgo medioevale che sorgeva intorno al castello. Superata la cinta, che si sviluppa su 650 metri circa, si notano i ruderi delle abitazioni dello stesso antico borgo120. All‟interno della cinta si incontrano prima la Chiesa del Carmelo e dopo 120 metri circa quella del SS.Crocifisso, con accanto i ruderi della prima chiesetta del borgo dedicata probabilmente a San Giorgio (Tomarchio, 1982) .

Tutto il maestoso fronte meridionale del Castello si può già ammirare con la sua porta d‟ingresso a sesto acuto larga m 2,2 con la cornice in pietra lavica e conci arenari. E‟ delimitato, ad ovest, dal roccione strapiombate e ad est dal poderoso muro di cinta culminante nello spigolo della cappella palatina, posta proprio all‟estrema destra della costruzione. Sopra l‟arco è visibile quanto rimasto di una “bertesca” costruita su mensole di pietra arenaria che consentiva il tiro piombante di pietre sugli assalitori della porta. Superata quest‟ultima, ci si immette nel cortile che si sviluppa, in direzione est-ovest per una lunghezza di m 46 ed una larghezza media di m 8. Con gli ampliamenti nei secoli operati, la cinta muraria – tutta coronata da merlatura guelfa, a tratti ancora esistente – si sviluppa per una lunghezza di m 230, mentre la complessiva superficie dell‟area del castello raggiunge i 1600 m², di cui 500 riferite alla parte superiore che contiene le strutture più antiche, tra cui la fortezza, e m².1100 riferite alla parte inferiore. Tra gli ambienti del castello, quello architettonicamente più pregevole è il salone „Cruyllas‟, splendido esempio di costruzione quattrocentesca con il grande arco in pietra calcarea, al quale si poteva accedere da due ampie pareti prospettanti sulla corte. Edificata sui resti di un precedente torrione normanno dall‟ultimo Berengario Cruyllas, la sala risale intorno all‟anno 1450. L‟arco regge ancora un frammento del muro sovrastante e reca scolpito lo stemma dei Cruyllas: da un lato, in campo circolare, presenta nove croci e dall‟altro, sempre in campo circolare diviso in quattro quadranti, si notano 4 croci, 6 cerchietti, 3 croci e 6 cerchietti. Sulla parete settentrionale del salone, e in parte in quella di levante, si notano tracce delle antiche saettiere con la caratteristica

120 Chi occupava le abitazione all‟interno della cinta era più protetto da attacchi esterni ed il

sezione rivolta verso l‟esterno, poi eliminate con la costruzione di panoramiche finestre. Ed ancora tracce di una vaschetta, utilizzata probabilmente come lavabo con relativo condotto di scarico verso l‟esterno, ed una cavità che doveva contenere un armadio. Il tetto di copertura del salone era costituito da due falde spioventi e le acque piovane venivano raccolte da due canali di gronda che si immettevano in altrettante condotte incassate nel muro e confluenti in un‟unica tubazione che conduceva nell‟adiacente cisterna. Nel Castello sono ancora visibili i resti di 6 cisterne, capaci di 500 m³

circa, segno dell‟attenzione che veniva riservata

all‟approvvigionamento idrico che doveva essere sufficiente per almeno 8 mesi, in caso di assedio del Castello. Si affiancano al salone altri vani della residenza baronale, le cui destinazioni non sono chiare per le loro precarie condizioni di conservazione. In uno vi è una piccola nicchia, ricavata nella parete settentrionale che sovrasta una piccola apertura che dà nel burrone sottostante, dando spettacolo della bellezza del panorama. Sull‟estremo limite di levante, tramite una porta di pietra lavica, si accede alla cappella, di forma irregolarmente rettangolare e munita di un‟abside, nella cui volta si notano i resti di affreschi, e ove probabilmente trovava posto un altare. Uno dei due incassi nella parete poteva essere un‟acquasantiera.

Attraverso una tortuosa scala, parzialmente intagliata nella roccia, si raggiunge il mastio, costituito da un corpo centrale rettangolare, delimitato all‟estremità da due massicci torrioni semicircolari, chiusi alla gola. La scaletta porta al vano centrale che è separato dalle torri da due spessi muri. Nelle torri vi sono due aperture ricavate nei contrapposti muri, con uno spessore di m 1,20 per il muro di levante e di m 2 per quello di ponente. Nel vano centrale si apre una piccola porta (pustierla) che consentiva un‟uscita di emergenza sul ripido pendio settentrionale del colle (vedi Fig.3).

Il Castello poteva ospitare 50, 100 e, in caso di emergenza, anche 200 persone, cifra stimata in relazione alle sue diverse funzioni: posto di avvistamento, avamposto offensivo, fortezza difensiva e residenza del signore e la sua corte (Tomarchio, 1982) .

La configurazione del castello, che corrisponde a quella ultima prima del suo abbandono, fa distinguere diversi sistemi difensivi, alcuni

utilizzati per il mastio, altri per il castello ed altri ancora per la protezione di tutto il borgo.

Il borgo risultava protetto da un variegato sistema difensivo costituito dalla cinta muraria intervallata da torrioni di vedetta e di difesa, da cigli rocciosi naturalmente strapiombanti e dalla perimetrazione meridionale dello stesso castello.

Il sistema di difesa del castello era invece costituito dalla limitata capacità della rampa di accesso che lasciava gli attaccanti esposti, dalla mancanza di un pianoro antistante la porta d‟ingresso che potesse consentire l‟utilizzo di “arieti”, e dalla esistenza dei “beccatelli” che consentivano il tiro di pietre. E non solo, varcata la porta d‟ingresso era posto un bastione sopraelevato per circa m 1,50, parzialmente mascherato da un muretto, dal quale si poteva contrattaccare, e l‟ingresso veniva reso più difficile per l‟ulteriore porta a saracinesca, abbassabile dall‟alto, posta nell‟intercapedine dei muri della porta principale. Ed infine, in caso di attacco, l‟area della corte era tenuta sotto controllo dal sovrastante alto bastione merlato e dai difensori appostati nel mastio dal quale arcieri e balestrieri potevano agevolmente colpire.

Dopo il terremoto del 1693, il castello è stato abbandonato, ad eccezione di quel timido tentativo di restauro dal 1860 al 1863 ad opera del Sacerdote Antonio Amoroso, determinandosi una situazione di notevole degrado per l‟azione concomitante degli agenti erosivi naturali e degli atti vandalici, conseguenti al disinteresse delle amministrazioni locali e regionali ed all‟incuria dei proprietari anche dei terreni limitrofi.

7.15 “SALVIAMO IL MONTE CASTELLO

ALLARME DA CALATABIANO”

Questo è titolo di fondo del “Giornale di Sicilia” dell‟8 aprile 1994 che ,

evidenziando che “ il complesso storico-architettonico ambientale del Monte Castello, sito a Calatabiano, ha urgentemente bisogno di un intervento generale di riqualificazione e tutela che non si limiti al solo restauro”, dà notizia dell‟invio, da parte della sezione locale dell‟Archeoclub d‟Italia, di un dossier-denuncia alla Sovrintendenza dei beni monumentali e ambientali di Catania, al Comune di

Calatabiano ed a diversi assessorati regionali. L‟intervento, continua l‟articolo, dovrebbe riguardare anche la Chiesa del SS.Crocifisso, quella del Carmelo – oggetto di ripetute scorrerie di vandali – ed il percorso pedonale a gradoni. Il dossier dell‟Archeoclub conclude “

chiedendo che gli organi competenti si adoperino quanto prima per l‟istituzione di un‟area perimetrale entro la quale disciplinare gli interventi, a tal proposito ricordano che ai sensi del decreto assessoriale 970/91 e del 10/91 istitutivo del piano regionale dei parchi e delle riserve naturali della Regione , il Monte Castello è stato inserito come area B di preriserva nella perimetrazione della riserva dell‟Alcantara, un‟area che per legge avrebbe dovuto essere oggetto di un piano di utilizzazione finalizzato al raggiungimento degli obiettivi di cui all‟art.7 della legge regionale n.98/81 adottato dal Comune competente entro 180 giorni dalla data del decreto istitutivo prima citato”.

Ma il castello, e con esso la sua memoria storica, non era destinato a scomparire!

Il progetto di restauro, promosso dalla Diocesi di Acireale, dopo tante proteste e, viste le necessità oggettive, è stato realizzato dalla Società Cultinvest s.r.l. e cofinanziato dall‟Unione Europea (POR SICILIA 2000-2006 Misura 2.03). La proprietà apparterrebbe all‟Istituto Diocesano Sostentamento del Clero, Diocesi di Acireale; Coordinatore generale dell‟intervento è stato il Dott. Ing. Sebastiano Di Prima, Progettista e Direttore dei lavoro l‟Arch. Daniele Raneri e responsabile degli scavi archeologici la Dott.ssa Alessia Scarpulla. I lavori hanno avuto inizio nel 2008 ed ultimati in meno di due anni di intenso lavoro, mentre l‟inaugurazione ufficiale risale al 23 luglio 2009.

Tra le opere nuove realizzate, appare notevole l‟installazione di un ascensore panoramico inclinato che, incastonato in una gola del monte, in soli due minuti con un salto di quota di 220 mt. consente l‟accesso alla fortificazione, evitando la faticosa salita attraverso l‟antica scalinata in pietra.(FOTO pag.141). Da lì, le passerelle lignee conducono alla possente porta del castello.

L‟idea vincente è stata, poi, quella di non alterare la percezione visiva dei resti del castello e di non creare, attraverso ricostruzioni, falsi ambienti storici. La ricostruzione, quasi aerea, di taluni ambienti è stata, infatti, realizzata attraverso l‟installazione di “contenitori architettonici” in legno lamellare e vetro, posti all‟interno dei ruderi. E così è stato per i “contenitori dei servizi”, che comprendono il bar ristorante e la biblioteca.

La copertura, sempre con legno lamellare, ha reso possibile, poi, la fruizione degli antichi spazi, quale la “sala d‟armi”, che può ospitare convegni e conferenze, la sala Cruyllas, la Cappella Palatina, nonché l‟esposizione di reperti, venuti fuori durante i lavori di scavo, che hanno parecchio contribuito a riscrivere le pagine di storia del sito. Dall‟attento svuotamento della cisterna, scoperta nella spianata antistante le mura esterne, sono letteralmente affiorati pezzi di storia: monete bizantine, una fibula aurea, tegole greche, vasi in terracotta e perfino uno scheletro bizantino.

L‟intervento ha permesso di valorizzare il castello ed il suo territorio che sono ormai meta di numerosi turisti.

L‟Associazione “Concordia in DELPHIA” di Calatabiano, con cartelli affissi nel territorio, tra cui lo spazio antistante il Castello di San Marco, asserisce che nell‟anno 1992 la Diocesi di Acireale, utilizzando impropriamente il Decreto 8916/1989 del 20/12/1985 che riconosceva la sua personalità giuridica, entrava in possesso del castello di Calatabiano, chiedendo all‟Agenzia del Territorio di Catania che i ruderi del Castello stesso fossero ad essa intestati.

Asserisce l‟Associazione che non esiste un regolare atto di trasferimento, se non l‟affermazione di uno storico (non nominato), in base al quale “il borgo venne definitivamente abbandonato (1693)e nel XIX divenne di proprietà della Chiesa e del Vescovo di Acireale”. Tutto ciò, continua il cartello-denuncia, con il “silenzio assoluto dell‟Assessorato ai Beni Culturali della Regione Siciliana, della Sovrintendenza dei Beni Culturali di Catania e del Comune di Calatabiano - Ufficio Tecnico”.

Frattanto l‟Istituto Diocesano con contratto di comodato d‟uso affidava la gestione del castello alla Cultinvest s.r.l. che ha realizzato il progetto di restauro, ottenendo fondi dalla Comunità Europea con la motivazione dell‟istituzione di un Museo Multimediale Diocesano all‟interno del castello. Si legge, inoltre sul cartello che “ Ancora oggi la Curia, l‟Istituto Diocesano e la Cultinvest Srl, ognuno per la sua parte, non rispondono alla Sovrintendenza dei Beni Culturali di Catania che richiede loro di esibire il titolo di proprietà per procedere al rinnovo del vincolo sul Castello”.

L‟Associazione “Concordia”, infine, fa presente che in mancanza di carte “…..quelle vere però”, il castello, i reperti, i terreni devono tornare ai Calatabianesi che, in atto non traggono dall‟utilizzo del castello alcun profitto che dovrebbe invece essere posto a servizio dello sviluppo del territorio sotto il profilo sociale, culturale ed economico.