il nostro amico Ciclope, il pastor Polifemo, che amava Galatea, quando ancora, d‟intorno a le labbra e le tempia, a lui fioriva la prima gentile lanugine. Il suo
un amoruccio non era da rose, da riccioli o mele, ma una vera follia! Né mai si curava più d‟altro.
(Teocrito Idillio XI, vv. 6-11, trad. di Ettore Bignone)
La Metamorfosi di Aci è inserita nel libro XIII del poema di Ovidio. Il poeta prende spunto dal fatto che Enea nel suo viaggio per giungere in Italia evita lo Stretto di Messina perché l‟eroe sa che lì sono in agguato Scilla e Cariddi, questa spiegazione consente ad Ovidio di fare una digressione. Così, parlando di Scilla, il poeta afferma che in origine essa era una vergine fanciulla che amava trascorrere il suo tempo in compagnia delle ninfe marine e un giorno, proprio durante uno di questi incontri, la ninfa Galatea raccontò a Scilla la triste storia d‟amore che la vide protagonista insieme ad Aci. Aci, la parola viene dal greco akis e significa “acuto, oggetto appuntito”, era un giovane pastore, figlio di Fauno e Simetide. Era bellissimo ed era solito pascolare le sue pecore vicino al mare. Si era innamorato della ninfa Galatea (dal greco galateia, cioè “che ha la pelle bianco latte” ma anche bonaccia, tranquillità), figlia di Nereo e di Doride. Galatea lo ricambiava ma al contempo doveva difendersi dalle attenzioni di Polifemo, un ciclope, anch‟egli innamorato di lei. E quello di Polifemo, già ai tempi di Ovidio, non era un personaggio nuovo. Si tratta infatti della stessa creatura deforme che nell‟Odissea dà del filo da torcere all‟eroe Ulisse, quello che dopo essere stato accecato dall‟eroe di Omero, scaglia dei massi contro le sue navi in fuga, quegli enormi massi che mitologicamente spiegano l‟esistenza dei Faraglioni di Acitrezza.
Neanche Ovidio rinuncia ai tratti bestiali che già nell‟Odissea caratterizzavano la figura del Ciclope. Polifemo, infatti, nelle Metamorfosi non risulta affatto ingentilito dall‟amore per Galatea, conservando piuttosto l‟originaria ferocia del personaggio anche nella scena, ormai diventata un topos letterario, in cui canta il suo amore per la ninfa, sulla riva del mare e specchiandosi nelle acque. La vera novità presente nel personaggio ovidiano è invece il motivo della gelosia. Alla fine il giovinetto Aci fa le spese della ferocia del
suo mostruoso rivale. Accecato dalla gelosia infatti, Polifemo scagliò un masso contro il pastore. Il suo sangue, colato dalla roccia, fu trasformato per intercessione di Poseidone in un fiume, che fu chiamato proprio Aci e da allora in poi fu venerato come divinità.
Ma Polifemo l‟insegue e staccato un gran pezzo di monte glielo scagliò: con lo spigolo estremo del masso lo colse, ma lo schiacciò tuttavia. Noi quello si fece che il fato ci concedeva, perché riprendesse le forze dell‟avo. Sangue vermiglio colava dal masso, e il rossor poco dopo incominciò a dileguare mostrando il colore d‟un fiume torbo da prima pel nembo, che poi lentamente si schiara. Spaccasi il masso con crepe, onde spuntano in fretta cannucce vive e la bocca del sasso scavato risuona di spruzzi.
Oh meraviglia! N‟uscì d‟improvviso su fino all‟addome un giovinetto con cinte le corna di lente cannucce, ch‟Aci pareva, fuorché per l‟altezza e il colore marino. Aci, qual era, si serba così pur mutato nel fiume, che l‟antichissimo nome ora porta che prima aveva Aci.
(Ovidio, Metamorfosi, libro XIII, versi 871-884,trad. di F. Bernini ) 122
Il fiume Aci, alla fine del suo corso, si gettava in mare. Fu questo il modo che gli dei trovarono per far ricongiungere Aci alla sua amata (ricordiamo che Galatea era una Ninfa marina), permettendo così loro di fondersi per l‟eternità.
Probabilmente il mito s'ispirava al modo in cui il fiume sgorgava dalla sua sorgente e a quel fenomeno geologico dell‟ingrottamento, laddove il fiume nel suo percorso scompare, per riapparire nei pressi della foce.
Quella di Aci e Galatea è una delle più suggestive leggende siciliane, quasi sicuramente di origine locale e ben conosciuta nella zona dell‟Etna. Certamente è una valida spiegazione al nome Aci e infatti la più grande delle Aci, Acireale, al pastorello Aci e alla sua Galatea ha dedicato nel giardino pubblico della città un gruppo marmoreo in cui la ninfa, davanti al corpo straziato di Aci, invoca dagli dei il miracolo della metamorfosi del pastorello in fiume. Si tratta solo di una copia di Aci e Galatea (1846) del locale Rosario Anastasi (1806- 1876), l‟originale si trova nella pinacoteca Zelantea di Acireale, città in cui anche una importante via prende il nome di Galatea. Pure la
122 Traduzioni tratte dalla rivista on line ZETESIS numm. 2/3-89 : La leggenda dei ciclopi nelle
città di Catania ha tributato onore al mito, intitolando a Galatea una delle piazze in cui si amplia il lungomare lavico della città.
Vale forse la pena ricordare che in questo caso il mito rappresenta un fenomeno naturale molto frequente nei territori vulcanici e cioè quello per il quale le colate laviche si trovano a coprire, nella loro corsa verso valle, dei corsi d‟acqua. Quale sia il cammino del fiume Aci è ancora ignoto, proprio perché sotterraneo, e il colore rossiccio di qualche sorgente in zona si ha per la presenza di ossidi di ferro, o come ha raccontato Ovidio perché è intinto dal sangue del pastorello Aci ucciso per gelosia?
Se notissimo è l‟episodio di Aci e Galatea narrato da Ovidio nelle Metamorfosi, meno noto è che anche il Petrarca da grande viaggiatore qual era, nonché geografo ante litteram, rimase suggestionato dal mito dei due sfortunati amanti. Il Petrarca fu definito dai contemporanei peregrinus ubique; è noto che nella sua ricca biblioteca possedeva i codici dei cosiddetti geografi minori latini e le sue opere erano conosciute in tutta Europa dove egli viaggiava anche con lo spirito del ricercatore, (Ballerio, 2004) orbene
anche Petrarca, cita il mito dei due sfortunati amanti nella sua opera “trionfo d‟Amore”, in cui si narra di amori mitologici
“fra questi fabulosi e vani amori
vidi Aci e Galatea, che‟n grembo gli era, E Polifemo farne gran rumori”
(Petrarca, trionfo d‟Amore, II, 169-171)
Nove toponimi di località ricadenti nel versante orientale dell‟Etna vengono ad assumere l‟appellativo di Aci e tutte insieme fanno parte di un gruppo che una volta andava sotto il nome di Terrae Jacii, la cui storia ruota attorno all‟attuale castello di Aci Castello, una volta “Rocca Saturnia”.
È un vasto territorio che gode di una posizione geografica strategica. Si trova infatti alle pendici dell‟Etna ed è bagnato dalle acque dello Jonio. Le Terre di Aci hanno una lunga storia da raccontare, una storia fatta di dominazioni che si sono succedute, usi e costumi persi o consolidati, un territorio spesso oggetto di interesse per scrittori, musicisti, pittori e non solo, e che ha dato i natali a molti di questi.