PIETER BRUEGEL IL VECCHIO, Lotta tra Carnevale e Quaresima, 1559 olio su tavola 118x164,5 cm.
Kunsthistorisches Museum, Vienna.
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“La Quaresima si apre con un suono, che vuole rallentare la no-stra vita che va sempre di corsa, ma spesso non sa bene dove. È un richiamo a fermarsi – un “fermati!” – ad andare all’essenziale, a digiunare dal superfluo che distrae. È una sveglia per l’anima”
(Papa Francesco)
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età tela festeggia gli ultimi fuochi del baccanale, metà è già nella dimensione della penitenza, nell’hangover del post mar-tedì grasso: una straordinaria narrazione artistica, ricca di dettagli, racconta lo scontro simbolico e reale tra gli ultimi fuochi del Carne-vale e l’inizio della Quaresima. Un’opera eccellente per forza evo-cativa e capacità di raccontare un tema caro alla storia dell’arte, il carnevale, ma soprattutto il dissidio dell’animo umano, ben oltre la dimensione letterale e di ciò che rappresenta il soggetto del dipinto:finita la festa e il sovvertimento dell’ordine sociale, ecco la mestizia della realtà prendere il sopravvento. È già tempo di prepararsi alla Pasqua!
“Lotta tra Carnevale e Quaresima”, conservata nella capitale austriaca, è un’opera fiamminga che ha come teatro della rappre-sentazione la brulicante piazza di Anversa, in Belgio, indaffarata tra mille preoccupazioni, dove è inscenato un combattimento fra il Car-nevale (metà sinistra) e la Quaresima (metà destra), una scena di torneo simile a quelle che effettivamente venivano disputate duran-te le manifestazioni carnevalesche. Al centro si fronduran-teggiano i due protagonisti. Il primo, a sinistra, circondato da succulente pietanze, personifica la dimensione carnascialesca: un uomo grasso e rubizzo a cavalcioni di una botte (tirata da due ragazzi festanti e sulla cui parte anteriore è fissata una coscia di maiale) armato di uno spiedo con vari pezzi di carne infilzati. L’uomo panciuto ha sulla testa un
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pasticcio di carne e alla cintura porta legati dei coltelli: tutto lascia intuire che si tratti di un macellaio. Dietro di lui ci sono tre musicanti con i loro strumenti: una gratella, un coltello, dei bicchieri e il cosid-detto “Rommelpot” (recipiente in terracotta ricoperto da una mem-brana che veniva fatta vibrare tramite uno stecco). Due di loro sono mascherati, il terzo, quello vestito di giallo, porta in vita una catena di placchette che lo identificano come garzone di una gilda (d’altron-de tutti gli attori (d’altron-delle rappresentazioni carnevalesche provenivano dalle corporazioni degli artigiani e dei bottegai, che si organizzavano in gilde burlesche e confraternite carnevalesche incaricate dell’or-ganizzazione e della realizzazione delle feste, della creazione delle maschere e dei costumi, del reperimento dei materiali scenici, della fornitura delle cibarie). Questo gruppo principale è seguito da una figura vestita di scuro che porta sul capo una tavola rotonda appa-recchiata con pane bianco e cialde, cibi caratteristici del carnevale.
La Quaresima, a destra, è rappresentata da una donna vecchia e scavata, indossa un saio e dei sandali, porta un’arnia sulla testa che ricorda il miele, tipico cibo dei giorni di digiuno, ha la croce di cenere sulla fronte (secondo la pratica in uso il mercoledì delle Ceneri) e, se-duta su un carretto trainato da un frate e da una monaca, fronteg-gia il suo avversario tendendo una pala, come se fosse una lancia, sulla quale sono posate due aringhe (in riferimento alla proibizione di mangiare carne durante il mercoledì delle ceneri). L’arnia, inoltre, simboleggia la Chiesa cattolica (interpretazione secondo la quale il duello rappresentato richiama quello tra la Chiesa di Roma e Lu-tero, in quanto la riforma luterana aveva abolito la Quaresima, ma non la festività del Carnevale). Nella scena in primo piano, ad ogni elemento presente sulla sinistra se ne contrappone, in modo specu-lare, uno sulla destra. Sul carretto della Quaresima, gli attributi del periodo di preparazione alla Pasqua: pani, ciambelle, un canestro di
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giunco con dei fichi e un cesto di cozze, che contrastano con l’abbon-danza di birra, pane e carne che circonda il Carnevale. Ai musicanti dietro il barile corrispondono, dal lato della Quaresima, dei bambini recanti pane quaresimale, con il segno della croce tracciato con la cenere sulla fronte. Ai lati e alle spalle dei due personaggi principali si sviluppano due scenari molto differenti, che rispecchiano lo spirito dei due periodi dell’anno. Dietro il carnevale, e in tutta la parte sini-stra del quadro, c’è un brulicare di figure, per lo più mascherate e travestite, intente a festeggiare. Esse mangiano, bevono, recitano, suonano, giocano a dadi. Se a sinistra c’è l’osteria, a destra c’è inve-ce una chiesa. Se da quella parte assistiamo a un grottesco corteo di commedianti, a destra sfilano le processioni degli uomini e delle donne che escono dalla chiesa, con indosso lunghi mantelli scuri da penitenti. Sono austeri, mesti e curvi, sulla fronte di alcuni si riesce a vedere il segno della croce formato dalle ceneri quaresimali. La casa al centro, una panetteria, è un luogo intermedio, che rappresenta il passaggio dal Carnevale alla Quaresima. La bambola di pezza, ap-pesa alla finestra, potrebbe essere un “Butzemann”, figura carica-turale che serviva da ammonimento per chi trascurava le pulizie pri-maverili. Davanti all’edificio ha luogo l’antica usanza primaverile di rompere vecchie stoviglie, mentre sullo sfondo, a sinistra, Bruegel ha dipinto i ragazzi che giocano al “re bevitore”. Accanto la processione di Mezzaquaresima e, in fondo, il falò del fantoccio del Carnevale.
Al centro della scena una coppia, che vediamo solo di spalle, se-gue una figura che indossa il costume caratteristico del buffone.
La figura maschile ha un rigonfiamento sulla schiena, forse il carico delle colpe e delle debolezze umane; con il braccio sorregge la don-na, che porta legata in vita una lanterna spenta. Intorno a loro, stra-namente, c’è il vuoto. La coppia è incamminata verso una direzione che non conosciamo, seguendo la luce della torcia retta dal buffone.
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Varie sono le interpretazioni di questa scena, compresa quella che ne fa il simbolo di una cristianità al buio, a causa dei contrasti tra cri-stianesimo e riforma protestante, condannata a seguire non la ra-gione ma la follia. Quello del “contrasto” fra Carnevale e Quaresima era un genere letterario ben presente nel Medioevo, documentato in Italia e in Europa fin dal secolo XIII. Questi si affrontavano in una battaglia dall’esito segnato, dato che la Quaresima segue cronolo-gicamente il Carnevale ed è pertanto destinata a trionfare.
Agli antichi riti di rinnovamento, che celebravano la rinascita del-la natura, il Medioevo attribuiva però dei significati nuovi, di tipo eti-co e sociale. Nel eti-contrasto tra Carnevale e Quaresima si fa eviden-te la radicale eviden-tensione tra due opposeviden-te concezioni antropologiche presenti nella vita occidentale, l’una di ispirazione pagana, in cui il carnevalesco è la concezione intramondana gioiosa, naturale e ma-teriale-corporea dell’esistenza; l’altra, quaresimale, in cui prevale la visione cristiana, spirituale ed ascetica, di rinuncia al mondo e di at-tesa della futura liberazione.
Bruegel ha fatto ruotare la massa dei personaggi intorno al centro, costituito dal pozzo e dalla coppia di spalle, seguendo una grande ellissi: festaioli e penitenti, ruotano tutti intorno allo stesso pozzo; chi oggi gozzoviglia, domani digiunerà. Tutti fanno parte di un’unica, in fondo indulgente e divertita, narrazione. Il Mercoledì del-le Ceneri è il primo giorno della Quaresima. La Chiesa chiede ai suoi fedeli di osservare in tale giorno il digiuno e l›astinenza dalle carni.
La parola carne-vale, cioè “è permessa la carne”, ha origine in rife-rimento a tale osservanza. La specificazione “delle ceneri” è legata al rito liturgico che caratterizza la Messa di tale giorno: il celebrante pone una piccola quantità di cenere benedetta sulla fronte o sul-la testa dei fedeli. Secondo sul-la consuetudine, le ceneri da usare per
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il rito vengono ricavate dalla bruciatura dei rami d’ulivo che erano stati benedetti nella Domenica delle Palme dell’anno precedente.
La cenere, infatti, è il frutto del fuoco che arde, racchiude il simbolo della purificazione, costituisce un rimando alla condizione del nostro corpo che, dopo la morte, si decompone e diventa polvere: sì, come un albero rigoglioso, una volta abbattuto e bruciato, diventa cenere, così accade al nostro corpo tornato alla terra, ma quella cenere è destinata alla resurrezione. Il significato del gesto è quello di ricor-dare la caducità della vita terrena e di introdurre all’impegno di con-versione della Quaresima. L’accoglienza della buona notizia di Gesù, Convertiti e credi al Vangelo, è l’elemento vitale che vivifica la nostra esistenza, fa scoprire forme nuove originali di amore e fa fiorire tutte quelle capacità di dono che sono latenti e che attendevano solo il momento propizio per emergere.
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“Pietà di me, o Dio…”
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ietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro». Sono le parole del salmo 50, il più celebre dei salmi penitenziali, con cui ogni anno iniziamo l’itinerario spirituale della Quaresima che ci conduce a celebrare la Pasqua del Signore.All’invito del profeta Gioele, che nella prima lettura ci esorta a ritor-nare al Signore «con tutto il cuore», perché Egli è «misericordioso e pietoso», noi rispondiamo con le parole di supplica del salmo: «Crea in me, o Dio, un cuore puro». E’ innanzitutto nel cuore dell’uomo che avviene la conversione al Signore, il nostro ritorno a Lui che «che si muove a compassione del suo popolo» (Gl 2, 18). Come nella para-bola del Padre misericordioso di Lc 15, Dio non aspetta altro che il nostro ritorno.
All’uomo è chiesto solamente di riconoscere il proprio peccato:
«Sì, le mie iniquità io le riconosco»; ed egli, nella sua libertà, può an-che rifiutare la misericordia di Dio perché inibito e schiacciato dal peso insopportabile della propria colpevolezza: «il mio peccato mi sta sempre dinanzi» (Sal 50, 5). Dio, invece, nel suo grande amore getta dietro le sue spalle tutte le nostre colpe (Is 38, 17). La speran-za della salvezsperan-za, dunque, non è tanto nella superba pretesa della propria innocenza, quanto nella confessione dell’amore del Signore.
La misericordia di Dio, scrive Agostino, «senza i nostri meriti sana la nostra miseria e condona il nostro debito»7. Chi si riconosce
pecca-7 AGOSTINO D’IPPONA, Esposizione sui salmi, 119.
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tore e sperimenta questa misericordia, «rende possibile ogni giorno un nuovo inizio. E così è reso capace di usare tale misericordia nei confronti degli altri, tutti peccatori, tutti coperti dall’inesauribile mi-sericordia di Dio»8.
Così, anche se il salmo è attraversato da parole quali iniquità, col-pa, peccato, la sua cifra teologica consiste nel perdono di Dio, nella Sua grazia che non solo perdona i misfatti dell’uomo, ma ne ricrea il cuore grazie allo Spirito datore di vita: «Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo». L’uomo resterà sempre un insanabile impasto di argilla e di sangue, di limite e di peccato; ma il salmo 50 offre una risposta di speranza che alimenta la fiducia e la fede nel Dio dell’amore, in Colui che non vuole la morte del malvagio, ma che si converta e viva (Ez 18, 23). Nel salmo si incontrano, dun-que, due desideri: quello dell’uomo che anela a risorgere («dammi la gioia della tua salvezza») e il desiderio di Dio che «è sempre quello di perdonare, salvare, dare vita (…); il desiderio di Dio è misericordia, amore e volontà di salvezza»9.
Il Miserere è stato musicato da numerosi compositori di tutte le epoche (Allegri, Hasse, Lully, Jommelli, Donizetti, ecc.); qui si propo-ne quello attribuito a Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736), vio-linista, organista e compositore tra i massimi rappresentati della scuola napoletana. Autore di diverse opere di argomento sacro e profano, nella sua produzione religiosa spiccano due Salve regina (in La minore e in Do minore) e lo Stabat mater, che la tradizione vuole sia stato completato il giorno stesso della sua morte.
Come in tutte le opere di Pergolesi, anche nel Miserere in Do mi-nore qui proposto, è ravvisabile la naturale tendenza della scuola
8 ENZO BIANCHI, Commento a Gv 8, in www.monasterodibose.it
9 PAPA BENEDETTO XVI, Udienza generale del 18 maggio 2011, in www.vatican.va
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napoletana del periodo barocco a creare quel clima sentimentale e patetico che bene esprime l’anima del compositore. La composizio-ne è divisa in diverse sezioni, che attraverso differenti scelte stilisti-che ed espressive, ricreano l’atmosfera spirituale dei vari versetti.
La prima di esse, che prende il nome dal versetto che dà il titolo all’intero salmo, si apre nella tonalità d’impianto, Do minore. Il canto della prima parola, “miserere”, si sviluppa a partire dalla voce di re-gistro più basso e, allargandosi, si avvia fino ad inglobare quelle più acute, creando un effetto di tensione e sospensione che si scioglierà nel «secundum magnam misericordiam tuam». Come il centro teo-logico del salmo è la misericordia di Dio, così qui viene data grande risonanza alla parola «misericordiam» che si ripete diverse volte. Chi combatte «contro lo spirito del male» (orazione Colletta) sa che la sua unica speranza è nella grazia di Dio, verso cui è rivolto il grido del
«miserere mei». Di seguito il link:
(Inquadra il QR Code con il tuo smartphone per l’ascolto) Giovanni Battista Pergolesi (attribuito),
Miserere in Do minore
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