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(Gv 12,24)

Catechesi biblico-teologico-artistica

VINCENT VAN GOGH, Seminatore al tramonto, 1888 olio su tela 64x80,5 cm

Rijksmuseum Kröller - Müller, Otterlo (Olanda).

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«Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,24-25).

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n grande sole, promessa della fecondità di Dio per il suo popo-lo, si leva vigoroso al centro del dipinto, dando energia a tutta l’opera. Il grande luminare rischiara la scena facendo da aureola al seminatore, perché la Parola di Dio è lampada ai nostri passi, luce sul cammino. La parte bassa del capolavoro è occupata dal terreno arato. Tra le due parti una siepe di grano maturo e in mezzo, ma scostato lateralmente, il seminatore. Vi dominano due tinte fonda-mentali, cioè colori che l’occhio può avvertire singolarmente: il blu violaceo del campo e del contadino, contrapposto al giallo del cielo e delle spighe di grano. C’è uno scambio di colore tra cielo e terra: il campo, normalmente giallo, qui è riprodotto in blu, e il cielo, gene-ralmente azzurro-blu, qui è di giallo. Un capovolgimento in cui il cielo è passato in terra mentre questa è salita al cielo, prefigurazione di quanto avviene con la Pasqua: tra la discesa di Gesù, la sua incar-nazione, e la sua ascensione al cielo, allorquando una briciola di ter-ra è entter-rata a far parte dell’eternità.

Il seminatore con la mano sinistra, tiene sul cuore il sacco del seme, poiché sa quanto è prezioso. La mano destra, invece, si apre e sparge il seme, con slancio e passione, con abbondanza e dap-pertutto, infatti si confonde con le pennellate che coprono l’intera estensione del campo. Il seme ha lo stesso color oro del cielo. Lo sguardo è fiducioso e deciso, il passo forte e proteso in avanti. Il Se-minatore, sul calar del sole, procede a testa alta, incrollabile, solo, ma non domo. C’è vitalità piena nel gesto della mano, nella gam-ba avanzata, nel viso fermo. C’è un movimento che va oltre il vuoto

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stesso che porta oltre la solitudine e l’abbandono, che permette di assorbire la luce del sole. Che permette di trasformare il vuoto e il caos in potenze creative. Gli abiti del seminatore assumono gli stessi toni della natura che lo circonda, con un’implicita identificazione; egli non è, però, al centro del dipinto, che è invece occupato dalla visione della sfera del sole, quasi accecante. Le pennellate, precise e sim-metriche, presentano un andamento che simula i raggi, come anche il campo ha una conformazione leggermente tondeggiante, quasi se dall’astro si sprigionasse una forza benefica, vivificante, che coinvol-ge tutto. Il sole, punto focale del dipinto, diffonde i suoi raggi in tutte le direzioni, e inonda il campo con una luce calda e vigorosa. È il sole della Provenza, nel sud della Francia, che ha acceso la tavolozza di Vincent al suo arrivo ad Arles nel 1888. Una rielaborazione perso-nale del pittore di un soggetto simile, dipinto da Jean Francois Millet, che influenzò non poco Van Gogh stesso.

Un sole così luminoso si erge sicuramente in estate, tempo della raccolta; in autunno, a novembre, quando avviene la semina, invece, è improbabile vederlo. Quest’immagine profuma di Vangelo, riman-da a quel seminatore, Dio, che esce a seminare senza fare scelta preventiva del terreno, come un contadino che sfida l’impermea-bilità dell’asfalto, la stretta soffocante delle spine, la durezza delle pietre. Ci ricorda il suo gesto gratuito, la sua pazienza nell’attendere che il seme cresca, il rischio dello spreco che egli assume.

I semi gettati dal contadino sono gialli come il sole e feconda-no la terra: feconda-non c’è ascensione senza discesa. «Egli feconda-non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo» (Fil 2,6), come commenta San Paolo nell’inno cristologico. E’ Cristo quel chicco di grano che, caduto in terra, con la sua morte di croce, ha portato molto frutto, la

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vezza per l’umanità. In italiano si parla di svuotamento, ma in greco il termine kenosis dice molto di più: è l’abbassamento estremo di Dio per amore dell’umanità, meglio, di ogni persona. Indica lo svuotarsi completamente ed il privarsi totalmente dei propri beni personali, non per imposizione, ma per libera scelta. Per Gesù è crollata la di-stinzione “sopra/sotto”, “superiore/inferiore”; in Lui cielo e terra si in-contrano e si fondono insieme; Lui ha introdotto l’eternità nel tempo ed è una presenza concreta terrena che rinvia e richiama al divino.

Nel carcere del campo di concentramento di Mauthausen (Au-stria) su un muro c’è una scritta: “piegarsi è innalzarsi”. Quando si è dato tutto, quando non si ha più nulla da perdere perché non si ha più nulla se non la propria dignità di uomo, anche piegarsi, cedere è un atto di superiorità, nonostante l’apparente sconfitta.

Il terreno, di colore blu come il cielo, ma pure come il mare, è at-traversato da una sorta di sentiero che lo divide in due. Nel libro della Sapienza 19,7 si legge: «Il mare si suddivise in due ed il popolo ebreo camminò sull’asciutto in mezzo al mare, dice il libro dell’Esodo verso la terra promessa» (la casa a sinistra del dipinto). Gesù invece camminò sulle acque. Il contadino volta le spalle al sole e va nella direzione opposta rispetto al sentiero: non siamo al tramonto ma all’alba di un nuovo giorno. Giornate e giornate di lavoro sembra-no pesare sulle spalle di questo seminatore e quel sole all’orizzonte pare accompagnarlo da sempre. La liberazione non coincide con il non essere schiavi; il contadino che è Cristo risorto incede con pas-so fiero verpas-so l’eternità, con la mano destra sparge i semi della vita che non conosce tramonto, semi di cui si nutrono i gabbiani o i corvi, mentre la messe biondeggia già all’orizzonte. E’ insieme alba e tra-monto, infatti ricordano le Scritture: «Fin dal mattino semina il tuo seme e a sera non dare riposo alle tue mani, perchè non sai quale

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lavoro ti riuscirà meglio, se questo o quello, o tutti e due andranno bene» (Qoelet 11,6).

Quel seminatore, che getta il seme con abbondanza, senza ri-sparmio, senza calcolare la qualità del terreno, è il Verbo di Dio che getta con liberalità la sua Parola. Ha colto nel segno Van Gogh, ri-empiendo la scena della luce aurea del Padre che accompagna il lavoro del suo Verbo nel campo del mondo. Non sta all’uomo giudi-care chi sia dentro al Mistero o chi ne sia fuori, ma è l’accoglienza del seme della Parola a deciderlo.

Il seme deve cadere nella terra, marcire e morire per dare frut-to. Non c’è esistenza che non arrivi alla croce. La vicenda terrena di Gesù, nella sua crocefissione, diviene vita nell’amore dato fino in fondo. L’albero di morte si fa albero della vita, in ciascuno di noi e nell’intera umanità. Usciamo a seminare e, come quel seminatore, dispensatore di vita e di speranza, sappiamo custodire il seme con-tenuto nella Parola, bisaccia da portare con noi nel cammino della vita, per attingere fede, speranza e amore.

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