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Categorie e caratteristiche dei Serial Killer

Una categorizzazione degli assassini seriali è stata tentata più volte nel corso degli anni da vari studiosi, essi si sono basati di volta in volta su elementi diversi.

La classificazione storica generalmente accettata da tutti è quella di Holmes e DeBurger basata sulle motivazioni dell’assassino e dal beneficio che questi si aspetta di ottenere dal suo gesto. Su questo schema di analisi Holmes e DeBurger individuano quattro tipi di assassini seriali fondati su quattro tipi di motivazioni diverse:

• Visionario: questo tipo di serial killer commette i suoi delitti in quanto è convinto di averne ricevuto l’ordine da entità sovrannaturali, perfino da Dio; questo individuo è in genere psicopatico e soffre di episodi di rottura con la realtà con vere e proprie allucinazioni visive e uditive. Egli sente voci che gli ordinano di fare qualcosa, solitamente di commettere gli omicidi di cui si macchia. In questo caso la motivazione che lo spinge ad agire è di tipo intrinseco, interna alla sua personalità in quanto il mostro che gli ordina di                                                                                                                

uccidere esiste solo nella sua mente. Il guadagno che egli si aspetta di ottenere dai delitti è di tipo psicologico, come per la maggior parte dei serial killer, alcuni soggetti ricavano un vero e proprio piacere dal delitto mentre per altri il guadagno psicologico può essere una liberazione dal dolore e la realizzazione di un senso di equilibrio mentale.

• Missionario: questo tipo di serial killer è convinto di dover compiere una missione, di dover assolvere un compito da “giustiziere”, che consiste nel liberare il mondo da tutte quelle persone che egli giudica indesiderabili e che secondo lui non meritano di vivere. Anche nel caso del serial killer missionario la motivazione è intrinseca alla personalità del soggetto stesso; l’aspetto che lo differenzia dal tipo visionario è che quest’ultimo soffre di una malattia mentale, che ha almeno una parziale irresponsabilità nella compulsione ad uccidere, mentre il missionario non soffre di episodi di rottura con la realtà: egli non crede che i suoi atti omicidiari siano comandati da Dio o da un altro essere superiore, ma decide consapevolmente di uccidere in base alla propria concezione riguardo a ciò che è giusto o sbagliato. Per quanto riguarda il guadagno, anche in questo caso è di natura psicologica: infatti l’assassino si aspetta di ricevere un senso di giustizia e forse di merito per aver fatto qualcosa che non solo può farlo sentire bene, ma che contribuirà anche al benessere della società.

• Edonista: l’obiettivo principale di questi assassini è il raggiungimento del piacere e la ricerca spasmodica di forti emozioni. In ogni azione omicidiaria egli prova una sensazione di soddisfazione paragonabile ad una specie di “orgasmo emotivo” e non prova scrupoli nell’uccidere solo per alimentare il proprio piacere e divertimento. Holmes e DeBurger dividono questo gruppo in tre sottogruppi: l’assassino alla ricerca di emozioni, l’assassino per guadagno materiale o psicologico e l’assassino per libidine.

• Orientato al “controllo del potere”: questo tipo di serial killer uccide le sue vittime spinto dal bisogno di esercitare un controllo totale su un’altra persona, fino al potere definitivo di deciderne la vita o la morte. Il potere che ricerca il

soggetto consiste nella capacità di controllare il comportamento di altre persone in base ai propri desideri e alle proprie richieste, tramite la forza fisica e la manipolazione. La motivazione di questo serial killer è intrinseca alla sua personalità e il guadagno psicologico che riceve dalle azioni omicidiarie è la gratificazione che deriva dall’avere un assoluto controllo su un altro essere umano.

Successivamente, Mastronardi e Palermo modificarono questa classificazione comprendendo cinque tipi di serial killer: visionario, missionario, edonista, del controllo del potere, lussurioso. L’F.B.I. ha inoltre individuato due tipi di soggetti che commettono la tipologia di omicidio definita “lussuriosa” e li ha classificati come personalità organizzate e personalità disorganizzate, in base alla modalità d’esecuzione dei delitti. In linea di massima, la classificazione basata sul movente proposta da Holmes e DeBurger, ripresa da Mastronardi e Palermo, è accettata dalla maggior parte della comunità scientifica, anche se alcuni autori (Greswell e Hollin, 1954) la ritengono troppo restrittiva, in quanto non considera tutte le possibili motivazioni che possono nascondersi dietro a un omicidio seriale.

De Luca, prima nel 1998 e poi nel 2001, ispirandosi al Crime Classification Manual, tentò di colmare alcune lacune. Il risultato del suo lavoro portò all’individuazione di undici categorie:

• Omicidio seriale per guadagno personale; • Omicidio seriale situazionale;

• Omicidio seriale motivato da erotomania; • Omicidio seriale provocato da un conflitto; • Omicidio seriale per vendetta simbolica; • Omicidio seriale con movente irrazionale; • Omicidio seriale motivato da estremismo; • Omicidio seriale per eutanasia;

• Omicidio seriale per il controllo del potere; • Omicidio seriale sessuale;

Tale classificazione aveva però una grossa lacuna, ossia il non tenere conto di un concetto fondamentale condiviso dagli studiosi contemporanei: si parla cioè del bisogno prioritario di tutti gli assassini seriali di sperimentare una sensazione di onnipotenza, attraverso l’esercizio del potere e del controllo sulle vittime. Ciò portò a una nuova classificazione, operata nel 2005 da Mastronardi e De Luca, che distinse una motivazione superficiale e una motivazione profonda: quella profonda sarebbe sempre questo concetto fondamentale di bisogno di esercitare potere e controllo, mentre quella superficiale potrebbe essere più di una e variare all’interno di una stessa serie omicidiaria. Viene quindi eliminata la tipologia di omicidio seriale per il controllo del potere. De Luca inoltre non condivide nemmeno la distinzione operata dall’F.B.I. fra omicidio seriale organizzato e omicidio seriale disorganizzato e, sulla base della modalità di attuazione del delitto, distingue quattro tipologie:

• Omicidio seriale a pianificazione totale; • Omicidio seriale a pianificazione parziale; • Omicidio seriale a pianificazione zero; • Omicidio seriale a pianificazione mista.

I serial killer possono essere catalogati non solo sulle motivazioni che li spingono, ma anche osservando altre caratteristiche. Per esempio, rifacendosi a un criterio geografico, Holmes e DeBurger nel 1988 distinsero il serial killer stazionario dal serial killer itinerante. Successivamente, nel 1991, Hickey introdusse una terza categoria: i serial killer locali, ossia quelli che non attraversano i confini dello stato. Quest’ultima categoria si distingue dai serial killer stazionari perché essi non lasciano mai le loro case o i loro posti di lavoro, per cui le vittime risiedono nella stessa struttura o sono catturate ogni volta nello stesso posto.

Infine, nel 1992, Newton propose un’ulteriore catalogazione suddividendo gli assassini seriali in territoriali, nomadici, stazionari.

Nonostante le numerose definizioni proposte dai vari autori presi in considerazione, rimane tuttavia assai complesso cercare di ricondurre la completa casistica internazionale all’interno delle sopraccitate categorie. Nel tentativo di individuare un a classificazione maggiormente aderente alla realtà dei casi, De Luca e Mastronardi,

nel 2005, hanno distinto dieci nuove tipologie di assassini seriali basate non sulle motivazione ma sulle modalità esecutive dei delitti:

• Assassino seriale classico: è il classico predatore sessuale che cattura e uccide le vittime per soddisfare un bisogno psicologico interno. È in qualche modo sempre presente la componente sessuale;

• Assassino seriale atipico: si riferisce a quegli assassini che non sembrano rientrare nella categoria dell’omicidio seriale tradizionale, per esempio l’omicidio seriale mafioso o terroristico.

• Assassino seriale potenziale: questo termine, introdotto da Newton nel 2000, indica quegli assassini catturati dopo il primo omicidio, e che quindi non rientrerebbero nella categoria degli assassini seriali. Analizzando le motivazioni che li hanno spinti a uccidere, appare però molto probabile che quell’omicidio potesse essere il primo di una serie di omicidi non perpetuati perché interrotti da un evento esterno.

• Assassino seriale per divertimento: questa categoria comprende gli assassini seriali che uccidono spinti dalla ricerca di forti emozioni, di un divertimento estremo che permetta loro di riempire il grande senso di vuoto interiore che sperimentano nella loro vita.

• Assassino seriale di massa: in questa categoria rientrano gli assassini seriali classici, che però in alcune occasioni uccidono più di una vittima nello stesso momento, e si configurano quindi come tipici assassini di massa.

• Assassino seriale rituale: è quell’assassino che uccide per compiere un rituale seguito in maniera rigida dalla propria cultura di appartenenza, e nella modalità di esecuzione di ogni omicidio si possono ritrovare gli elementi di tale ritualità. • Assassino seriale “incendiario”: questa categoria comprende assassini seriali

che uccidono con una modalità esecutiva diversa da quelle classiche; la loro esigenza primaria non è il contatto fisico con le vittime, ma il bisogno di distruggere o uccidere mantenendo il controllo della scena del crimine dall’esterno.

• Assassino seriale “bombarolo”: compie i propri delitti spinto dalla stessa motivazione dell’”incendiario” e può costruire ordigni allo scopo di uccidere una vittima alla volta oppure può progettare vere e proprie stragi.

• Assassino seriale “cecchino”: l’azione omicidiaria del “cecchino” è del tutto casuale. Egli si apposta in un luogo prescelto spara a un “bersaglio umano”, scelto solamente in base al suo passaggio in quel luogo in quel momento. La totale assenza di coinvolgimento, sia con la scena del crimine sia con le vittime, rende particolarmente difficile la loro cattura.

• Assassino seriale per induzione: a questa categoria appartengono quei pochi casi di assassini che utilizzano la propria capacità di influenzare il prossimo per indurre altre persone ad uccidere al posto loro.

Una caratteristica che accomuna tutti i serial killer e che salta subito all’occhio è che essi si nascondono sotto la maschera di un’insospettabile quotidianità: sono persone del tutto normali; un primo passo importante nel tentativo di individuare le peculiarità di questi individui è stato fatto grazie a degli studi effettuati dall’FBI sui serial killer americani arrestati e incarcerati, tramite cui è stato possibile tracciare un identikit tipo del serial killer, in base ad alcune variabili: innanzitutto, è emerso che il loro quoziente intellettivo, a differenza degli altri criminali, per i quali è compreso fra 90 e 93, si aggira intorno a 110, con punte anche più alte: Kemper, per esempio, aveva un Q.I. di 145, valore riscontrabile solo nell’1-2% della popolazione.

Un esame delle prestazioni di questi assassini rivela però un paradosso: questa loro intelligenza, superiore alla media, non ha riscontro negli altri ambiti della vita, in cui essi non riescono a sfruttare il loro potenziale: negli studi, nel campo militare professionale ed in quello militare raggiungono risultati mediocri, così come sono scarsi i loro rapporti sessuali. Per quanto riguarda l’ambito lavorativo, i dati hanno evidenziato storie modeste e l’impiego in attività non specializzate per la maggior parte dei soggetti intervistati. Inoltre è emerso che solo il 20% di essi ha avuto sempre occupazioni fisse. Anche in campo militare questi soggetti non sono riusciti a sfruttare le loro potenzialità: dei 14 che hanno svolto servizio militare solo 4 hanno ricevuto congedi onorabili, mentre gli altri sono stati congedati per motivi medici o

sono stati espulsi. Holmes e DeBurger hanno individuato alcune caratteristiche che permettono di distinguere gli assassini seriali da quelli tradizionali, come è riportato nelle statistiche criminali:

• Età: diversamente dai dati riguardanti gli omicidi generali, che mostrano un’alta concentrazione di assassini e vittime fra le persone più giovani, la maggior parte dei serial killer conosciuti ha un’età dai 25 ai 35 anni, mentre l’età delle vittime varia molto.

• Sesso: diversamente dalle altre forme di omicidio, le vittime degli omicidi seriali sono quasi sempre femmine, e la maggior parte dei serial killer conosciuti sono maschi.

• Razza: l’assassinio seriale è commesso prevalentemente da maschi bianchi a danno di femmine bianche; in rare eccezioni è interraziale.

• Variazione geografica: negli ultimi decenni l’incidenza dell’assassinio seriale è risultata essere più alta nelle aree di grande transitorietà e cambiamento della popolazione.

• Condizione socio-economica: sembra probabile che la maggior parte degli omicidi seriali coinvolga due persone di simile status. Le vittime provengono da tutte le classi sociali e la stessa cosa si può dire per gli assassini.

• Relazione vittima-assassino: uno degli elementi più brutali dell’assassinio seriale è che di solito comporta l’uccisione di una persona da parte di un estraneo. Non ci sono motivi di odio, rabbia, gelosia o avidità, come avviene negli omicidi tradizionali, e la vittima non ha schernito, minacciato o insultato l’assassino.

Un lavoro analogo è stato svolto da alcuni autori italiani sui casi locali: Musci, Scarso e Tavella nel 1996 sono riusciti a dedurre le caratteristiche dell’assassino seriale italiano: l’età media varia fra i 20 e i 30 anni, con un picco attorno ai 27; i serial killer sono maschi, nel 96% dei casi; la tendenza sessuale che si è riscontrata maggiormente è di tipo eterosessuale; la razza è quella bianca nella totalità dei casi; l’area di attività

è soprattutto il centro nord e l’estrazione sociale medio-bassa; solitamente i colpevoli hanno un basso grado d’istruzione. 25

Finora si è analizzato il serial killer come individuo; volendo analizzarlo come autore di un delitto, si potrebbero osservare altre caratteristiche ricorrenti in queste tipologie di crimini. L’esecuzione dell’azione omicidiaria segue delle fasi costanti in ogni singolo episodio, e il punto di partenza è sempre lo stesso: la “fantasia”, ovvero la modalità di pensiero per immagini tipica dell’assassino seriale. Tra le varie definizioni del termine “fantasia”, quella più attinente al nostro oggetto di studio è stata elaborata da Ressler, Burgess e Douglas nel 1998, che la descrivono come “un pensiero elaborato, con un elevato livello di sofisticazione, che trae la sua origine dalle emozioni e viene generato nei sogni ad occhi aperti”.

La fantasia è il mezzo più utilizzato tanto dagli adulti, quanto dai bambini, per ottenere e mantenere il controllo su una situazione immaginata. Il grado di sviluppo dell’abilità di fantasticare è diverso da individuo a individuo e si basa sulla capacità personale di identificare certi pensieri come sogni ad occhi aperti, articolandone il contenuto e richiamandolo alla memoria in un secondo momento. La fantasia può avere una funzione sostitutiva oppure preparare il soggetto all’azione. Nella maggior parte degli assassini seriali, e in particolare in quelli sadici, le fantasie sono strettamente collegate al sesso e alla violenza: hanno una fortissima valenza sessuale e rappresentano il motore scatenante dell’omicidio. Il processo è di tipo circolare: le fantasie aiutano il passaggio all’atto omicidiario e, dopo ogni omicidio, si aggiungono nuovi elementi che incrementano le fantasie, rendendole sempre più elaborate ed intense.

Maggiore è il tempo trascorso a fantasticare, più velocemente il soggetto diventerà dipendente dalle fantasie che alimentano il senso di sé: a un certo punto si sente obbligato a realizzare le fantasie, soggiogando le vittime e trasformandole in oggetti da utilizzare per il suo piacere. L’attività ludica preferita dagli assassini seriali da piccoli è l’esecuzione di azioni che proiettano nella realtà le fantasie aggressive che, progressivamente, hanno conquistato un ruolo di preminenza assoluta all’interno                                                                                                                

della psiche del bambino. L’attività fantastica è fortemente egocentrica, e il gioco incorpora gli altri bambini e i familiari come semplici estensioni del mondo interno del soggetto, con una scarsa attenzione per le conseguenze del proprio comportamento.

Qualunque serial killer, uomo o donna, organizzato o disorganizzato, indipendentemente dal motivo alla base degli omicidi, inizia il suo percorso distruttivo sempre e comunque partendo dalle fantasie: l’omicidio viene “sperimentato” ossessivamente nella mente, attraverso fantasie sempre più elaborate. Durante il periodo evolutivo il serial killer elabora un sistema molto sviluppato di fantasie, per difendersi dalla realtà traumatica che non vuole accettare: una volta diventato adulto, il livello di elaborazione delle fantasie gli consente di rivivere i traumi subiti, rovesciando i ruoli. Con la progressione delle fantasie, la rivincita vissuta nel mondo interno non è più sufficiente, e l’assassino seriale ha bisogno di ottenere la sua vendetta anche nel mondo esterno: questo passaggio diventa possibile solo se il soggetto trasferisce le fantasie nel mondo reale.

Lo psicologo americano John Norris, nel 1988, è stato il primo studioso a focalizzare l’attenzione sull’azione esecutiva vera e propria, dividendo l’attività predatoria dell’assassino seriale in sette fasi, ognuna delle quali risulta correlata ad un particolare stato mentale:

• Fase aurorale: è caratterizzata dal ritiro sociale dell’aggressore. Nel soggetto avvengono delle modificazioni comportamentali e sensoriali; contemporaneamente comincia un’attività fantastica di tipo compulsivo, e l’estraneazione dalla realtà quotidiana. La fase aurorale può durare un momento, mesi o anni, ma si tratta in ogni caso di uno stato simile a quello allucinatorio, che taglia il soggetto fuori dalla realtà.

• Fase di puntamento: è caratterizzata dal bisogno compulsivo di ricercare e catturare la vittima. Il mondo della fantasia comincia a cedere il passo ai dati sensoriali: il momento del puntamento rispecchia il bisogno inconscio di andare a caccia di un determinato tipo di preda, e solo di quello. L’ultima parte di questa fase include l’identificazione della vittima e l’osservazione

sistematica dei suoi spostamenti, per trovare il momento più opportuno in cui colpire.

• Fase di seduzione: in questa fase l’assassino riesce a conquistare la fiducia della vittima, nascondendosi il più delle volte dietro a una maschera di normalità. L’assassino seriale spesso è molto selettivo riguardo al tipo di vittima scelto, perché questa deve rispecchiare alcune caratteristiche che per lui sono particolarmente importanti.

• Fase di cattura: in questo stadio l’assassino ha due modalità di azione. Può agire con estrema rapidità e decisione, per non dare alla vittima il tempo di reagire, o con lentezza e tranquillità, aumentando a dismisura il livello di terrore nella vittima. Di solito il killer colpisce quando la vittima prescelta è da sola in un luogo isolato: le fasi di puntamento e seduzione hanno il compito di aumentare il grado di eccitazione del soggetto e le sue aspettative di riuscita, mentre il momento della cattura procura un enorme piacere, perché l’assassino sente che la vittima è finalmente in suo possesso, e che può prendersi tutto il tempo che vuole per preparare il rituale omicida.

• Fase dell’omicidio: è la fase nella quale le fantasie dell’aggressore vengono messe in atto. Per la maggior parte degli assassini seriali è il punto di massima eccitazione: ogni assassino ha un sistema di uccidere preferito, e cioè quello che gli procura soddisfazione maggiore.

• Fase totemica: è il momento successivo al reato, nel quale l’aggressore rivive, attraverso ricordi e feticci, l’assassinio commesso. Com’è tipico di tutte le attività umane di grande intensità emotiva, subito dopo l’omicidio l’eccitazione cala rapidamente, e l’assassino scivola verso una specie di stato depressivo. L’esperienza della realizzazione delle sue fantasie è stata così appagante che si sente svuotato da ogni energia. Per preservare l’identità del momento l’assassino ricorre all’espediente di conservare il corpo della vittima o alcune parti di esso, oppure oggetti appartenuti alla vittima. È inevitabile però che l’assassino si accorga che i feticci non possiedono nessuna qualità “magica” e

il piacevole strascico emozionale, verificatosi dopo l’omicidio, è destinato a dissolversi.

• Fase depressiva: è caratterizzata da un periodo nel quale il ricordo svanisce ed il bisogno di cercare nuove vittime riaffiora lentamente. Questo stadio ha una durata variabile, da pochi giorni a interi anni, durante il quale il soggetto vive in un grigiore indistinto, privo di qualsiasi spicco emotivo positivo, pur mantenendo una maschera di normalità a favore del mondo esterno. Per scuotersi, può anche mandare delle lettere anonime alla polizia, oppure chiamare i giornali, in una richiesta inconscia di aiuto misto a un desiderio altrettanto inconscio di espiare. Inevitabilmente, prima o poi, il mondo fantastico prenderà nuovamente il sopravvento nella mente del soggetto, gli impulsi distruttivi si faranno sempre più pressanti e incontrollabili: a questo punto il ciclo ricomincia. 26

Non è solo la genesi e l’evoluzione dell’omicidio seriale che è ricorrente: vi sono anche alcuni elementi tecnici che sono riscontrabili nella totalità dei casi di omicidio seriale: questi sono il modus operandi e la firma. I due concetti a volte vengono erroneamente utilizzati come fossero intercambiabili, mentre in realtà sono differenti,