• Non ci sono risultati.

La perizia psichiatrica: funzione e problematiche del suo uso in ambito giurisdizionale

I soggetti destinati a essere sottoposti a perizia psichiatrica sono coloro verso i quali sorgono dubbi, durante un procedimento giuridico, sulla presenza o meno di una psicopatologia. Qualora l’imputato possa rientrare in questa categoria allora il giudice può avvalersi della perizia di uno psichiatra che valuterà professionalmente la capacità dell’imputato.

                                                                                                               

La perizia psichiatrica in senso stretto riguarda il concetto di responsabilità penale che viene ad essere collegato con la coscienza e la volontà Con la capacità di intendere e di volere e con la pericolosità sociale del periziando. Non è ammessa la perizia per stabilire l’abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell’imputato e le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche.

Qualora venga riscontrata pericolosità sociale nell’indagato vengono messe in atto delle misure di sicurezza specifiche per il soggetto. Tali misure possono essere distinte in detentive e non detentive, come previsto dal Codice Rocco.

Le misure detentive si distinguono in psichiatriche e non psichiatriche.

Se, invece, viene escluso il vizio di mente allora il perito non può rispondere in merito alla pericolosità sociale, in quanto la condizione determinante deve essere sempre la presenza di un vizio di mente totale o parziale.

Qualora mutino le condizioni che hanno portato a una valutazione di pericolosità sociale può sempre mutare la misura cautelare disposta.

In realtà, come dice Giacomo Canepa, nella maggior parte dei Paesi europei le conclusioni della perizia psichiatrica esercitano un’influenza molto scarsa sulla programmazione del trattamento dei delinquenti malati di mente.

Al riguardo si deve sottolineare il fatto che al perito vengono formulati quesiti che, in genere, non rientrano nell’ambito della sua competenza psichiatrica, ossia problemi di ordine puramente giuridico e morale; ossia problemi come la pericolosità sociale, considerata come la probabilità di recidiva del comportamento delittuoso e, quindi, un giudizio di predizione del tutto aleatorio e caratterizzato da ben scarsa attendibilità.

Molto raramente è posto al perito il quesito del trattamento, ossia di una programmazione che rientra nel suo ambito di competenza.

È stato osservato che le proposte di trattamento formulate dal perito sono spesso molto limitate e che gli eventuali vantaggi dovuti al trattamento sono ostacolati dal

fatto che il soggetto che ne abbisogna è sovente collocato in situazioni socio- ambientali a rischio.15

Nonostante ciò la perizia psichiatrica ha assunto progressivamente una crescente rilevanza nel processo penale per effetto dei mutamenti indotti dall’affermarsi di nuovi e più adeguati paradigmi interpretativi della realtà psichica.

Ciò non vuol dire che vi sia stata un’integrazione della materia da parte del legislatore che, anzi, tende a continuare ad ignorare la psichiatria forense lasciandola in una condizione di estraneità ed emarginazione nei confronti della psichiatria clinica la quale, d’altronde, rifiuta categoricamente di farsi carico dell’incombenza del controllo sociale nei confronti dei portatori di disturbi psichici.

Vi è così al contempo una reciproca dipendenza e una reciproca diffidenza tra psichiatria e diritto. Tali contrasti si manifestano proprio sul terreno delle perizia che diventa campo di scontro tra esigenze opposte, di controllo e di gestione della devianza.

È nato, quindi, un serrato dibattito attorno alla natura della perizia psichiatrica, attorno alla sua presunta utilità, derivante da rischi di manipolazione, da difficoltà di documentazione.

Il diverso approccio ai problemi psichiatrici, maturato da tempo, ha determinato la messa in crisi del sistema, inducendo significative modifiche anche nella disciplina del sistema delle misure di sicurezza previste per gli infermi di mente, la cui rigidità, in assenza di iniziative del legislatore, è stata attenuata dai ripetuti interventi della Corte Costituzionale.

In questo diverso contesto culturale e normativo, la perizia psichiatrica è diventata sempre più frequente. L’indagine viene disposta sempre più spesso, sia, per le maggiori esigenze, da parte dei giudici, di comprendere le motivazioni dell’atto delittuoso; sia, per le aumentate possibilità di utilizzazione, non di rado, a fini indebiti, della perizia psichiatrica a scopo difensivo.

                                                                                                               

Tutto ciò ribadisce la rilevanza dei problemi di ordine metodologico e suggerisce la ricerca di criteri valutativi che valgano a limitare o evitare i rischi di utilizzo inadeguato dell’indagine peritale.16

La seminfermità

L’articolo 89 c.p. stabilisce che: “ Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era,

per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita.”

La differenza tra vizio parziale e vizio totale di mente è di carattere prevalentemente quantitativo, mente il loro comune presupposto è ravvisabile in una infermità che incida sulla sfera psichica del soggetto e sulla di lui capacità di intendere e di volere, differendo solo nel quantum di tale incidenza che darà vita al vizio totale, ove sia tale da escludere detta capacità, o a quello parziale, ove scemi grandemente, senza escluderla, la capacità stessa. Perché si possa ravvisare la diminuente dell’art. 89 occorre che venga accertato uno stato clinicamente definibile come morboso, tale da determinare in concreto una consistente riduzione delle facoltà intellettive e volitive dispiegate dall’agente per commettere uno specifico reato.

L’infermità di mente che esclude o diminuisce l’imputabilità deve cioè, sempre dipendere da una causa patologica produttiva di alterazione dei processi volitivi o intellettivi.

Quando il disturbo psichico è aspecifico e non corrisponde al quadro tipico di una data malattia, secondo l’orientamento della corte di cassazione, non esiste uno stato patologico coincidente con il vizio parziale di mente17. L’inesistenza di uno stato morboso e la presenza di semplici manifestazioni di tipo nevrotico, depressive, di disturbi della personalità, comunque prive di un substrato organico, o la semplice                                                                                                                

16  Cfr.  Giacomo  Canepa,  Maria  Ida  Marugo  1995,  Padova   17  Cfr.  Cass.  Pen.  Sez  I  79/930;  Sez  III  98/4279  

insufficienza mentale, non sono idonee a dare fondamento ad un giudizio di infermità mentale, indispensabile pure ai fini del vizio parziale di mente.

Invero il vizio parziale di mente potrebbe sussistere anche in mancanze di una malattia di mente tipica, ovvero inquadrata nella classificazione scientifica delle infermità mentali, ma è pur sempre necessario che il vizio parziale discenda da uno stato morboso dipendente da una alterazione patologica clinicamente accertabile, di sicura consistenza, tale da scemare grandemente la capacità di intendere e di volere. Tale infermità parziale di mente, accertata con riferimento ad un determinato episodio criminoso, non opera automaticamente in relazione ad ogni altro successivo episodio di cui lo stesso soggetto sia chiamato a rispondere. Ciò in quanto lo stato di imputabilità deve essere riferito al momento del fatto-reato e la relativa indagine deve essere compiuta di volta in volta perché la malattia precedentemente diagnosticata potrebbe essere al momento guarita, attenuata o localizzata in una determinata sfera di attività.

Nel nostro sistema giuridico-penale il vizio parziale di mente non è incompatibile con l’elemento soggettivo del reato in quanto implicano due concetti operanti su piani diversi: il primo si riconduce all’imputabilità del soggetto secondo la nozione fornita dall’art. 85 cp, ossia a una condizione personale il cui contenuto è la capacità di intendere e di volere; il secondo al rapporto tra il volere del soggetto e un determinato atto previsto dalla legge come reato. Ne consegue che il reato commesso da un seminfermo di mente non si sottrae all’indagine relativa all’elemento soggettivo per accertare se esso sia attribuibile alla sua volontà.

Infatti, trattandosi di anomalia solo parziale, ben può parlarsi, in linea generale, di volontà colpevole, pur dovendo il problema risolversi caso per caso tenendo conto di tutte le componenti della fattispecie al fine di accertare se il soggetto agente abbia valutato tutti i fattori motivanti e si siano prospettate le varie possibilità.

La pressoché costante giurisprudenza della nostra corte di cassazione afferma la piena compatibilità fra la diminuente del vizio parziale di mente e la sussistenza sia del dolo generico che del dolo eventuale poiché sussiste piena autonomia concettuale tra la prima, che attiene alla sfera psichica del soggetto al momento della formazione

della volontà, e il secondo, che riguarda il momento nel quale la volontà si manifesta e persegue l’obbiettivo considerato.18

In altri termini il dolo rappresenta la volontà del soggetto diretta verso l’evento ed appartiene alla struttura del reato, di cui costituisce elemento attuale ed operante e attiene alla colpevolezza, la cui analisi presuppone il superamento logico di quella sull’imputabilità e non può ulteriormente essere influenzata da quest’ultima, neppure nell’ipotesi di ridotta capacità di intendere e di volere.

Volendo volgere lo sguardo all’intensità del dolo si può notare che una condotta criminosa particolarmente grave e/o ripetuta nel tempo ben possono configurare una maggiore intensità del dolo che giustificherebbe il diniego delle attenuanti generiche eventualmente presenti.