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La pena e la cura

Come avremo modo di approfondire in seguito i serial killer sono mossi da istinti e bisogni che sovrastano la loro capacità di autodeterminazione, è quindi rilevante capire quale pena è il caso di infliggere a questi soggetti per evitare che nuociano ancora. Molti si sono posti anche il problema della cura del serial killer, ma tale proposito deve essere assolutamente secondario rispetto all’incolumità dei consociati, poiché sono rarissimi i casi in cui il recupero di un serial killer è una reale possibilità. Per evitare che il serial killer fugga è sempre consigliabile il carcere di massima sicurezza, il professor De Pasquali sostiene che il “garantismo” debba essere lasciato a casi di minor gravità. Il carcere viene, quindi, suggerito per il periodo del processo, una volta che una sanzione sarà stata comminata dipenderà tutto dal fatto che il soggetto sia stato o meno ritenuto capace di intendere e di volere. Coloro che saranno prosciolti per non imputabilità non saranno rimessi in libertà ma saranno destinati agli ospedali psichiatrici giudiziari.

Questo tipo di strutture dovrebbero adempiere al doppio compito di detenere e curare i soggetti, in realtà sono stati ampiamente criticati e già nel 2011, il decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, successivamente convertito in legge 17 febbraio 2012, n. 9, aveva disposto all'art. 3-ter la chiusura delle strutture per la data del 31 marzo 2013. Tale norma fu adottata dopo un'indagine parlamentare che accertò le condizioni di estremo degrado degli istituti e la generalizzata carenza di quegli interventi di cura che avevano motivato l'internamento.

Il 17 gennaio 2012 la Commissione giustizia del Senato ha approvato all'unanimità la chiusura definitiva degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari entro il 31 marzo 2013. Il

decreto legge 25 marzo 2013 n. 24 ha poi prorogato tale chiusura al 1 aprile 2014. Ancora una volta, tuttavia, il termine originariamente disposto non è stato rispettato, e lo stesso 1 aprile il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha promulgato "con estremo rammarico" un decreto legge che fissa al 30 aprile 2015 la data entro la quale dovranno essere chiuse queste strutture.

Le problematiche relative alla chiusura di queste strutture sono innumerevoli, contestualmente dovrebbero entrare in funzione le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS), le quali però prevedono che i ricoveri non si protraggano per una durata superiore al tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, fatta eccezione per i reati per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo. I giudici saranno così tenuti a revocare le misure di sicurezza per internati pericolosi che abbiano superato il limite massimo della pena edittale, senza che vi sia nessuno che se ne faccia carico in concreto. Il risultato è che soggetti ad alta pericolosità sociale potrebbero finire fuori dal carcere senza che siano state predisposte le necessarie misure sanitarie, sociali e giudiziarie. Con gravi conseguenze sia per la salute dell’imputato, che per la sicurezza della collettività. Il professor De Pasquali spiega che i Serial Killer dovrebbero rimanere negli OPG, o nel prossimo futuro nelle REMS, fin quando la loro “pericolosità sociale” non è cessata. Se non guarisce, se non cessa la sua “pericolosità sociale”, deve rimanere recluso e questo le REMS non lo consentono.

Sono pochi i serial killer in OPG, perché di solito vengono riconosciuti capaci di intendere e di volere; nel momento in cui il Professor De Pasquali scrive ve ne sono 4, mentre la maggior parte (21) sono detenuti in carcere.

Alcuni serial killer diventano prigionieri modello, si integrano perfettamente, guidati da quel regime rigido e strutturato che riesce ad aiutarli a focalizzare la loro energia e la loro intelligenza a fini costruttivi, come meglio evidenziato in un paragrafo successivo.

Viceversa, molti altri assassini seriali non riescono ad adattarsi alla reclusione. Contribuiscono a questo l’angoscia per il processo, il sentire di non aver completato la propria “missione”, la possibile insorgenza di senso di colpa, fattori disadattivi e

soprattutto la perdita di ogni prospettiva esistenziale; tutti questi fattori conducono spesso il soggetto al suicidio.

Inoltre i Serial Killer sono tendenzialmente persone solitarie che socializzano con difficoltà. A ciò si aggiunge l’ostracismo o l’aperto disprezzo che gli altri detenuti manifestano nei confronti di questi soggetti, soprattutto se autori di violenze su donne o su bambini. Non di rado vengono addirittura uccisi, per questo a volte è consigliabile metterli in isolamento per la loro stessa incolumità oltre che per l’incolumità degli altri detenuti e del personale carcerario.

Oltre al carcere e all’OPG in Italia ci sono anche le così dette “misure alternative alla detenzione” introdotte dalla legge Gozzini e graduate secondo la pericolosità dei detenuti: l’affidamento ai servizi sociali, che sostituisce la parte finale della pena; la semilibertà; gli arresti domiciliari; la libertà vigilata; la semidetenzione, o libertà controllata, una misura cautelare che impone di non frequentare determinate persone o il rientro a casa a una certa ora.

Riguardo alla concessione di tali benefici di legge, è stato da più parti sottolineato che essa non può basarsi solo sulla condotta in carcere del reo ma deve tenere conto anche della sua pericolosità sociale. Sarebbe dunque opportuno restringere l’area di discrezionalità del giudici di sorveglianza obbligandoli a più precise motivazioni dei loro provvedimenti concessivi. Occorre sottolineare che i benefici penitenziari non corrispondono a una logica di scontata routine permissiva, ma devono essere applicati con attenta valutazione caso per caso e procedendo per gradi.

Nel caso dei serial killer poi, vanno assolutamente escluse forme alternative di detenzione: i serial killer sono perennemente pericolosi e non possono girare indisturbati per le strade, anche se per poche ore al giorno, perché la probabilità che riprendano ad uccidere è elevatissima. È irrilevante che il soggetto mantenga una buona condotta in carcere perché potrebbe essere una simulazione guidata dalla spiccata intelligenza del soggetto (com’è successo con Kemper di cui parleremo in seguito) o potrebbe dipendere dalla mancanza dei fattori scatenanti che invece sono presenti fuori dal carcere (es. donne e bambini).

Fino ad ora abbiamo parlato ampiamente di dove vengono mandati serial killer, di come la loro pericolosità sociale sia da considerarsi perenne e di come bisogna valutare attentamente il soggetto al fine del trattamento per capire se è il caso di reintrodurlo in società, ma la domanda che non ci siamo fatti è antecedente a tutto questo percorso e la sua risposta può rendere inutile il percorso stesso, ossia: il serial killer può essere curato o riabilitato in modo tale da poter essere reimmesso in società?

In Italia non vi sono centri specializzati in cui vengono studiate e curate persone che hanno commesso determinati tipi di delitti, come gli omicidi seriali. In altri paesi europei e negli U.S.A. invece esistono e sono volti al recupero di varie tipologie di soggetti, sai serial killer, ai pedofili, ai piromani seriali.

È evidente che il serial killer che uccide spinto da una determinata malattia deve essere curato per quella malattia. Se sono disturbi metabolici o ormonali, o carenze vitaminiche, vanno corretti, cosi come va curata ogni malattia sistemica che possa determinare comportamenti violenti. Parimenti bisogna intervenire sulle malattie del sistema nervoso centrale associate al comportamento omicidiario: il propanolo, spiega il professor De Pasquali, si è dimostrato utile in alcuni casi.

Frequentemente le patologie dei serial killer sono di origine psichica, ed allora le terapie farmacologiche giocano un ruolo importante. Poiché non è stato ancora dimostrato uno specifico correlato biochimico o neurofisiologico della violenza, non esiste un farmaco che abbia un effetto specifico sulla stessa. Però esistono molecole atte a contrastare i sintomi legati ad un agire violento. Ad esempio il litio, gli anticonvulsivi e gli antipsicotici si sono dimostrati utili nel trattamento di comportamenti aggressivi di soggetti violenti. Nel caso in cui i serial killer uccidano guidati da visioni allucinatorie o da delirio di persecuzione, essendo affetti da disturbo psicotico, vanno utilizzati farmaci neurolettici che riducono tale sintomatologia; inoltre li si potrà affiancare da “stabilizzatori dell’umore” qualora il soggetto soffra anche di una psicosi maniacale.

I disturbi elencabili con i relativi trattamenti sarebbero innumerevoli ma alcuni studiosi ritengono che i farmaci sarebbero inefficaci in quanto non in grado di

modificare le distorsioni cognitive ed i nuclei ossessivi dei criminali sessuali, che sono alla base dei loro delitti.

A volte vengono quindi preferite terapie psicologiche; tra le psicoterapie più utilizzate abbiamo la terapia comportamentale che parte da due importanti assunti:

1) i serial killer uccidono per una patologia di comportamento 2) il comportamento criminale si apprende nel tempo

secondo i comportamentalisti, quindi, il serial killer non è subito tale, ma lo diventa nel tempo, apprendendo modelli di comportamento violento. La terapia comportamentale agisce cercando di modificare i comportamenti riducendo l’agire non desiderato attraverso varie tecniche.

Non mancano in ogni caso pareri contrari all’efficacia della terapia comportamentale dei serial killer come quello dell’autorevole psichiatra Samenow (1984) secondo il quale questa terapia non è in grado di provocare cambiamenti duraturi nella personalità criminale, ne un significativo incremento del comportamento responsabile, in quanto l’aderenza alle regole terapeutiche sarebbe solo di breve durata e unicamente finalizzata a ridurre la durata della detenzione.

In passato sono state usate anche terapie alternative e invasive, come ipnosi, elettroshock e interventi chirurgici, ma teli metodi sono ormai quasi del tutto in disuso perché oltre a non fornire risultati certi erano anche fonte di enormi problemi di ordine etico e morale.

Questa veloce osservazione dei metodi di cura, farmacologici o psicologici che siano, ci porta alla considerazione che nessun sistema può dare la certezza di una guarigione, entrambi possono fungere da palliativo al problema e produrre qualche risultato minore, ma una vera e propria cura del serial killer non esiste, e quindi si ritorna a dover mettere sul piano della bilancia la liberà di un soggetto la cui pericolosità perenne non si è in grado di contrastare e l’incolumità dei consociati. La soluzione migliore a parere di chi scrive è ancora il carcere a vita.20

                                                                                                               

I Serial Killer