Negli ultimi anni i libri e gli articoli sui Serial Killer si sono moltiplicati a vista d’occhio. Fiumi di parole sono state scritte su questo tema che tanto affascina l’opinione pubblica.
L’origine di tale amore non è difficile da comprendere ed è l’ignoto. Tutti siamo attratti da ciò che non capiamo e che ci spaventa. È il motivo per cui da bambini amiamo farci leggere lo storie di paura, o il motivo per cui guardiamo film horror anche se poi sappiamo che avremo gl’incubi.
Spesso e volentieri però il taglio che viene dato a questi argomenti è troppo sensazionalistico, piegato alle esigenze mediatiche che manipolano le informazioni ricevute per ottenere lo scoop che gli farà vendere più copie; è quindi facile veder usati termini come “pazzia” ,“eccesso di follia”, “raptus” a sproposito per indicare quegli omicidi che invece sono ben altro. La motivazione di questa semplificazione è da ricercare, oltre che nelle necessità della divulgazione di massa, nel tentativo di giustificare alla società alcuni gesti che sembrano andare contro a qualsiasi aspetto della natura umana, contro morale e raziocinio, contro sociologia e biologia.
Ciò che serve per un analisi il più oggettiva possibile della figura del Serial Killer, che ci porti poi a poter capire come esso ragioni e da dove derivi il suo impulso omicida e quindi una sua imputabilità, è uno studio attento della definizione che è stata data e un’analisi di qualche caso significativo.
Il Crime Classification Manual, ossia il manuale di classificazione del crimine violento, nato da un progetto dell’F.B.I., quando parla dell’omicidio su larga scala lo differenzia tra omicidio di massa, omicidio compulsivo e omicidio seriale.21
Mass murderer, spree killer e serial killer potrebbero sembrare la stessa cosa agli occhi di un osservatore disattento ma hanno caratteristiche profondamente diverse.
• Il mass murder o omicidio di massa viene definito come l’omicidio di tre o più vittime in un unico luogo o scena del crimine. La sede degli omicidi può essere una strada aperta, l’interno di una casa o di un edificio o di un luogo pubblico. Concettualmente è quello che noi intenderemmo come strage; una bomba fatta esplodere in un logo pubblico, un padre che in un raptus di follia uccide tutta la sua famiglia. I giornali e i notiziari sono, tristemente, costellati di esempi di mass murder.
• Lo spree killer o assassino compulsivo uccide invece due o più vittime in luoghi diversi e in uno spazio di tempo molto breve; questi delitti spesso hanno un'unica causa scatenante e sono tra loro concatenati in un certo periodo di tempo; anche in questo caso il soggetto non conosce le sue vittime e, dato che non nasconde le sue tracce, viene catturato facilmente. Volendo fare un esempio di spree killer ci si può rifare al più recente e noto caso che ha sconvolto il nord Europa, ossia gli attentati del 2011 di Oslo e Utoya. Anders Behring Breivik ha causato, durante due azioni omicidiarie, ben 77 morti. Il suo piano nasceva dal desiderio di mandare un messaggio forte al popolo, per fermare i danni del partito laburista norvegese e per fermare una decostruzione della cultura norvegese per via dell'immigrazione in massa dei musulmani. Per questo motivo Breivik, il 22 luglio 2011, piazzò un furgone bomba sotto la sede di alcuni uffici governativi Norvegesi a Oslo causando otto morti. L’attentato dinamitardo però ebbe conseguenze mendo drastiche di quello che Breivik sperava, il suo obbiettivo infatti era far crollare il palazzo ma il punto preciso in cui aveva pianificato di posizionare il furgone pieno di esplosivo era occupato da un'altra auto; l’esplosione quindi non fu
propriamente indirizzata causando effetti più contenuti. Per rimediare alla situazione, approfittando della confusione e dell’allarme creato dall’esplosione, Breivik si recò sull’isola di Utoya dove si stava tenendo una riunione di giovani politici norvegesi, e li, travestito da poliziotto, uccise 69 giovani, prima di consegnarsi alle autorità.
• Il serial killer infine è un soggetto che uccide tre o più vittime, in luoghi diversi e con un periodo di cooldown emotivo fra un omicidio e l’altro; in ciascun evento delittuoso, il soggetto può uccidere più di un soggetto; può colpire a caso oppure scegliere accuratamente la vittima; spesso ritiene di essere invincibile e che non verrà mai catturato.
Questa definizione è largamente accettata dalla maggioranza degli studiosi che si occupano degli omicidi seriali anche se incomincia a farsi strada una corrente di pensiero che vuole rivedere definizione, non trovandola corrispondente alla realtà clinica. Altre obiezioni riguardano la distinzione fra le categorie serial, spree e mass, Bush e Cavanough per esempio considerano lo spree una semplice sottocategoria degli altri due tipi. Newton fa notare che il difetto principale della tassonomia creata dall’F.B.I. è il non specificare la lunghezza del periodo di cooldown emotivo fra un omicidio e l’altro, perché si possa parlare di omicidio seriale, invece che di assassino compulsivo o di massa, oltre al fatto di escludere dalla definizione tutti gli assassini che vengono catturati dopo il secondo omicidio ma che, se liberi, sicuramente avrebbero continuato a uccidere.22
Successivamente a questa macroscopica suddivisione, addentrandoci nella specifica categoria dei Serial Killer, possiamo evidenziare un’altra divisione per tipi. Si parla infatti di serial killer organizzato o disorganizzato.
• organizzati: sono killer lucidi, spesso molto intelligenti, metodici nella pianificazione dei crimini. Mantengono un alto livello di controllo sull'andamento del delitto; non raramente hanno conoscenze specifiche sui metodi della polizia, che applicano allo scopo di occultare scientificamente le prove. Seguono con attenzione l'andamento delle indagini attraverso i mass
media e concepiscono i loro omicidi come progetti di alto livello. Spesso questo tipo di killer ha una vita sociale ordinaria, amici, amanti, o addirittura una famiglia.
• disorganizzati: agiscono impulsivamente, spesso uccidendo quando se ne verifica l'occasione, senza una reale pianificazione. Spesso hanno un basso livello culturale e un quoziente d'intelligenza non eccelso; non sono metodici, non occultano le tracce (sebbene siano talvolta in grado di sfuggire alle indagini per qualche tempo, principalmente spostandosi velocemente e grazie alla natura intrinsecamente "disordinata" del loro comportamento su lunghi archi di tempo). Questo genere di killer in genere ha una vita sociale e affettiva estremamente carente e a volte qualche forma di disturbo mentale.
Una seconda classificazione dei serial killer si può fare analizzando la motivazione che li spinge ad agire ma a tale argomento sarà dedicato un apposito capitolo successivo.
L’indubbio merito di Quantico è stato quello di introdurre nuove categorie all’interno dell’indistinto e monolitico gruppo degli omicidi multipli facendo emergere il bisogno di identificare diversi tipi di omicidi per studiare ogni tipologia con le metodologie appropriate.
La definizione storica prodotta dall’F.B.I. non è quindi più accettabile nella sua interezza per sei motivi:
1) Allo stato attuale la definizione sopracitata è anacronistica, tende ad un eccessiva semplificazione e non tiene conto della realtà oggettiva proposta dalla casistica internazionale
2) La dicotomia serial killer “organizzato” e “disorganizzato” creata dall’ F.B.I. non è così netta. La maggior parte degli assassini seriali, così come gli esseri umani in generale, presentano elementi di organizzazione e disorganizzazione nel loro comportamento, miscelati in una gradazione variabile da soggetto a soggetto.
3) Tutti gli studiosi si ostinano a tradurre la categoria dello spree killer come “assassino compulsivo”, rendendo la definizione ambigua e incorretta come
traduzione. La parola inglese spree significa “baldoria”, percui lo spree killer deve essere tradotto come “assassino per divertimento” e, concettualmente, l’aspetto ludico dell’omicidio non ha nulla a che vedere con il fatto che ci sia o meno una compulsione.
4) Così come sono state concepite fino ad oggi, le uniche due definizioni che hanno senso sono quelle di “assassino seriale” e “assassino di massa”. È necessario, però introdurre una terza categoria di sintesi: “Assassino seriale/di massa”. L’analisi della casistica internazionale rende evidente la presenza di un “assassino seriale/di massa”; un assassino che sceglie a volte vittime singole, mentre, in altre occasioni, può decidere di uccidere diverse persone nella stessa azione omicidiaria.
5) Non c’è omogeneità fra le varie definizioni di omicidio seriale e, soprattutto, quasi nessuno degli studiosi che si è occupato del fenomeno indica la numerosità del proprio campione di riferimento. Quanti casi di omicidio seriale sono stati esaminati da ognuno di essi per arrivare ad un certo tipo di definizione? Non c’è dato saperlo e quindi non è possibile fare dei confronti adeguati di tipo scientifico.
6) Nella maggior parte delle definizioni di omicidio seriale, si tende a enfatizzare il fatto che tra l’assassino e le sue vittime non c’è alcun tipo di relazione, oppure c’è n’è una di tipo superficiale: niente di più sbagliato. Le donne soprattutto anche quando commettono omicidi seriali uccidono di preferenza persone con cui hanno solide relazioni affettive. 23
Storia
L'espressione "serial killer", traducibile in italiano come "assassino seriale", venne usata a partire dagli anni settanta, decennio in cui giunsero sotto i riflettori della cronaca, negli U.S.A., i primi casi eclatanti come, ad esempio, quello di Ted Bundy. Il padre di tale definizione è Robert Ressler, uno dei primi profiler e agente dell’ F.B.I.; il suo scopo era principalmente quello di distinguere il comportamento di chi uccide ripetutamente nel tempo con pause di raffreddamento, dagli assassini plurimi che si rendono colpevoli di stragi, ossia gli spree killer.
Anche se il fenomeno del Serial Killer è venuto all’attenzione dell’opinione pubblica solo in tempi recenti sarebbe ingenuo pensare che queste persone non siano esistite da sempre.
Si può facilmente ricollegare questa figura a mostri mitologici come il lupo mannaro o i vampiri che costellano fin dall’antichità il folklore di moltissimi paesi. In fondo se ci si pensa non sono altro che mostri umanoidi che a ritmi costanti vengono presi dell’irrefrenabile desiderio di carne e sangue che li porta ad uccidere, serial killer insomma.
Volendo fare un excursus storico i casi che saltano all’occhio sono svariati; ci possiamo soffermare su uno dei più antichi, risalente addirittura al al 331 a.C. e avvenuto nella repubblica romana, che vide in azione un gruppo di alcune matrone avvelenatrici; il numero di omicidi è sconosciuto.
Oppure ci si può soffermare su alcuni dei casi più famosi precedenti al 1800 come quello dell'aristocratica ungherese Erzsèbet Bàthory la quale venne arrestata nel 1610 e successivamente accusata di aver torturato e macellato fino a 650 giovani ragazze. Le vittime accertate oscillano tra le 100 e le 300; nel suo castello e nell'area circostante si effettuarono 80 ritrovamenti.
Ma è dal 1800 in poi che nascono i più famosi serial killer della storia come Henry Howard Holmes, Sweeny Todd o Jack lo Squartatore. Queste figure sono tristemente note e ancora oggi analizzate e osservate alla ricerca di una spiegazione per la loro condotta.
Volendo osservare il panorama italiano storico i nomi che bisogna fare, volendo citare un uomo e una donna, Vincenzo Verzeni e Leonarda Cianciulli.
Vincenzo Verzeni, passato alla storia come “il vampiro di Bergamo”, è da considerarsi il primo serial killer di cui si ha notizia precisa e dettagliata in Italia. Comincia a colpire già all’età di 18 anni e, fortunatamente, a soli 22 anni viene catturato e assicurato alla giustizia. L’uomo, nato nel 1849 a Bottanuco, nel bergamasco, deve il suo soprannome all’abitudine che aveva di scannare e mordere le donne che divenivano sue vittime al fine di dissetarsi del loro sangue.
A Verzeni furono assegnati i lavori forzati sotto i quali però non resistette a lungo finendo in un manicomio giudiziario. Qui gli vennero somministrate cure estreme: il totale isolamento nell’oscurità, docce gelate alternate a bagni d’acqua bollente o scariche elettriche di varia entità. Inoltre a studiare il suo caso e la sua persona si dedicò Cesare Lombroso, padre dell’antropologia criminale e della criminologia moderna.
Leonarda Cianciulli, conosciuta come “la saponificatrice di Correggio”, nacque a Montella, in provincia di Avellino, nel 1892. Leonarda ebbe diciassette gravidanze con tre parti prematuri, dieci figli morirono in tenera età. I quattro sopravvissuti erano per Leonarda un bene da difendere a qualsiasi prezzo. Nel 1939, alla notizia che Giuseppe, il figlio maggiore e prediletto, sarebbe partito per il militare con la minaccia sempre più concreta dell'ingresso in guerra dell'Italia, Leonarda decise, oramai in preda alla pazzia, di effettuare sacrifici umani in cambio della vita del ragazzo. La Cianciulli frequentava tre amiche, donne sole, non giovani, le attirava dicendo di aver trovato per loro fortuna e riscatto in altre città: un marito, un lavoro; poi le convinceva a mantenere il riserbo e faceva loro scrivere delle lettere che si offriva di consegnare ad amici e parenti non appena fossero state certe che tutto sarebbe andato per il meglio. Una volta finito di organizzare tutta questa fase preparatoria le uccideva con una scure, le sezionava e ne raccoglieva il sangue in un catino. Non paga procedeva con un orribile rituale alla fine del quale aveva prodotto: con il sangue polverizzato una farina con cui cucinava dolci da mangiare ella stessa e da offrire e, con i corpi liquefatti con la soda caustica, del sapone.
La Cianculli infine, sottoposta ad interrogatorio, confessò tre omicidi e la corte la condannò a trent’anni di carcere e tre di manicomio.
È interessante osservare come la Cianciulli, nella sua follia, organizzi i suoi omicidi con metodicità e lungimiranza, organizzando sia un modo per depistare le indagini sia un modo per disfarsi dei cadaveri.
Ma al giorno d’oggi com’è la situazione italiana e mondiale dei serial Killer? In “Anatomia dei Serial Killer” Ruben de Luca riporta alcune tabelle per la compilazione delle quali sono stati analizzati 1270 casi di assassini seriali identificati in tutto il mondo.
L’autore specifica però che è molto difficile stabilire con certezza quante siano realmente le vittime uccise da ogni assassino seriale, perché molti di essi, una volta catturati e non avendo più nulla da perdere, tendono a dichiarare di aver ucciso più vittime di quante non sia vero, per far acquistare importanza alla loro figura; altri, per posticipare il processo o un’eventuale esecuzione, tendono a rivelare il nome di una nuova vittima a intervalli periodici, facendo in modo di ritardare le indagini e per rinnovare l’interesse dei mass media nei loro confronti.
A queste difficoltà oggettive alla realizzazione di una statistica accurata e realistica si aggiunge il problema del “numero oscuro”.
Il “numero oscuro” rappresenta quella quota di casi che, in ogni tipo di reato, non vengono registrati dalle agenzie di controllo e, quindi, non finiscono nelle statistiche ufficiali, perché non sono stati denunciati dalla vittima, non vengono scoperti, l’indiziato non viene condannato. In alcuni tipi di reato il “numero oscuro” è più basso che in altri. L’omicidio è un reato che scuote profondamente l’opinione pubblica e sollecita un’investigazione particolarmente approfondita: per questi motivi è uno dei reati con il “numero oscuro” più basso.
Nell’omicidio seriale il “numero oscuro” è, probabilmente, ancora più basso perché in questi casi l’assassino non compie un gesto isolato ed è più facile che, a lungo andare, possa commettere un errore che lo faccia scoprire.
Le serie interrotte precocemente vanno a rimpinguare i ranghi del “numero oscuro” perché spesso la polizia non è neanche riuscita a collegare gli omicidi tra loro.
Pur essendoci disparità numerica tra le varie analisi operate da vari studiosi, il dato comune è che anche in Italia il “numero oscuro” è presente ed importante.
Per alcuni paesi del mondo è impossibile avere un quadro completo dell’omicidio seriale, perché oltre al problema del “numero oscuro” si aggiunge quello della scarsità delle informazioni riportate dai mass media.
Per quanto riguarda gli Stati uniti e l’Europa occidentale, le fonti di informazione sono piuttosto ampie e ci consentono di considerare una casistica quasi completa. Il discorso è più complicato per i paesi dell’Europa orientale e, soprattutto, dell’ex Unione Sovietica, dove vengono individuati da De Luca solo ventitré assassini seriali. Solo negli ultimi anni, con il crollo dei regimi comunisti, si è cominciato ad avere notizie più attendibili sulla situazione della criminalità in quei paesi, con la stampa finalmente libera di riportare le informazioni senza censura. De Luca è comunque propenso a sostenere che il suo campione, per quanto esiguo, sia rappresentativo della tendenza generale dei paesi dell’ ex Unione Sovietica.
Un’altra grande incognita è rappresentata dalla Cina, sicuramente i tre casi di omicidio seriale registrati da De Luca non rappresentano per intero la realtà del paese. Il continente africano non è stato nemmeno approcciato dall’autore.
Volendo però analizzare più nello specifico le tabelle di De Luca possiamo dire che: su 1270 casi di omicidio seriale realizzato la nazionalità principale dei colpevoli era Stati Uniti (739 casi), Inghilterra (73 casi) e Italia (70 casi). I luoghi in cui si sono svolti gli omici seriali sono Stati uniti (777 casi), Italia (72 casi) e Inghilterra (71 casi). Vi è una predilezione da parte degli assassini seriali per l’omicidio in solitario (72% dei casi) seguito al secondo posto dall’omicidio in gruppo (16% dei casi) e infine dall’omicidio di coppia (12% dei casi); i serial killer sono per l’82% uomini; vi è quasi equilibrio tra gli omicidi commessi nelle grandi città piuttosto che nelle piccole (42% contro 43%) i restanti casi si dividono tra misti (13%) e rurali (2%). Se si volesse dare uno sguardo alle armi usate invece si scoprirebbe che sono
predilette (23%) le armi da fuoco, seguite da
strangolamento/soffocamento/annegamento (19%), avvelenamento/iniezioni di sostanze letali (16%), armi bianche (11%), mani nude (4%). Volendo dividere il tipo di arma usata per sesso si scopre che gli uomini prediligono assolutamente le armi da fuoco (36%) seguite da strangolamento/soffocamento/annegamento (28%) e dalle
armi bianche (18%); mentre le donne, probabilmente a causa della loro natura meno violenta, prediligono con una schiacciante maggioranza l’avvelenamento (66%).24 Questi dati, che De Luca illustra nella sua opera, sono invero un po’ datati poiché arrivano al massimo al 1998, in ogni caso consentono di osservare come, nonostante tutte le difficoltà di raccolta delle informazioni che l’autore illustra, si può avere una visione molto chiara di come il problema dell’omicidio seriale sia pressante e presente in Italia. Il fatto che la nostra presenza sia saldamente posizionata nei primi tre posti sia come nazionalità sia come luogo di commissione rende evidente che il sistema penale italiano non può ignorare o trascurare il problema della presenza di Serial Killer sul nostro territorio e del loro trattamento una volta che entrano all’interno della rete del sistema di giustizia statale.