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La parabola del Movimento Liberazione e Sviluppo

1. I cattolici e il terzomondismo

Come è già stato accennato nelle pagine precedenti, verso la fine degli anni Sessanta si registrò una certa radicalizzazione del discorso terzomondista che si tradusse in un generale sdoganamento della lotta armata e più in generale di metodi di ribellione violenta a situazioni di assoggettamento e di oppressione collettiva. Questa tendenza del terzomondismo andò affermandosi nella stagione della contestazione anche all'interno degli ambienti cattolici che più erano stati influenzati dalle aperture del Concilio Vaticano II e successivamente da quelle di Papa Paolo VI che si pose in continuità con le posizioni conciliari. La rivista cattolica «Testimonianze»3 nel settembre 1967

proponeva, attraverso un editoriale firmato dalla redazione, una riflessione sulla problematica della violenza e della guerriglia nella strategia rivoluzionaria del Terzo Mondo a partire dalla situazione internazionale e soprattutto dalla gravità, non più sottovalutabile o ignorabile, dell'espansione imperialistica degli Stati Uniti.

L'attuale situazione internazionale, così come si configura alla luce di alcuni avvenimenti recenti – ulteriore avanzamento dell'escalation americana in Vietnam, rivolta violenta dei negri negliUSA, ripresa dell'attività di guerriglia in America

Latina, con conseguente rielaborazione di una strategia rivoluzionaria “tricontinentale” – meritano la nostra attenzione di osservatori politici e di cristiani, in relazione a una serie di gravi problemi che essa propone4.

L'articolo sottolineava quindi che oltre al «consenso che sul piano della razionalità politica, come al livello religioso, si [doveva] dare alla radicale contestazione rivolta contro le strutture della società capitalistica, molti problemi tuttavia si [ponevano] relativamente ai metodi e agli strumenti con cui tale contestazione [allora] si [esprimeva]»5. Se in generale si riconosceva la «grandezza e la dignità» delle tecniche

non-violente a cui «da anni su questa rivista [si esprimeva una] convinta e sincera adesione»6, veniva altresì messo in luce che esse risultavano, al fine di mettere in piedi

un processo rivoluzionario nel Terzo Mondo, quanto mai necessario, totalmente inutili7.

3 Vedi il volume di D. Saresella, Dal concilio alla contestazione. Riviste cattoliche negli anni del cambiamento

(1958-1968), Brescia, Morcelliana 2005.

4 Editoriale, «Testimonianze», n. 97, a. X, Settembre 1967, p. 545.

5 Ivi, p. 546. 6 Ibidem.

Questo editoriale non solo segnalava un'apertura sul tema della violenza che soltanto fino a pochi anni prima era inimmaginabile, ma mostrava per di più che l'opzione rivoluzionaria, nel Terzo Mondo, era considerata come indispensabile. L'editoriale infatti serviva da introduzione a una lettera pubblicata in quello stesso numero e sottoscritta da diciassette vescovi di diversi paesi del Terzo Mondo che invitavano la Chiesa a un maggiore impegno per il conseguimento della giustizia sociale. Il testo sottolineava la necessità di prendere atto «della funzione positiva delle rivoluzioni in corso nel Terzo Mondo, riconoscendone la necessità storica»8.

In questo tipo di interpretazione pesava certamente l'enciclica di PaoloVI Populorum

Progressio, emanata nel marzo di quello stesso 1967, che doveva aggiornare la dottrina

sociale della Chiesa alla «luce delle emergenze proposte dai nuovi scenari mondiali, in particolare quelli della fame e del sottosviluppo nel sud del mondo»9. Anche se con

molte cautele, in questa sede veniva aveva affrontato il problema della rivoluzione armata, che nel 1967 era diventato ineludibile anche per un'istituzione immensa come la Chiesa cattolica che contava circa il 34 per cento di fedeli nella sola America Latina. D'altra parte poco più di anno prima il aveva perso la vita in uno scontro a fuoco con i reparti speciali antiguerriglia dell'esercito colombiano, quello che sarebbe passato alla storia come il prete guerrigliero Camilo Torres.

Si danno, certo, situazioni la cui ingiustizia grida verso il cielo. Quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana. E tuttavia sappiamo che l'insurrezione rivoluzionaria – salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese – è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri e provoca nuove rovine. Non si può combattere un male reale a prezzo di un male più grande10.

Come ha messo in luce Panvini, «PaoloVI, pur ribadendo la raccomandazione alla

8 G. Panvini, I cattolici e violenza politica. L'altro album di famiglia del terrorismo italiano, Venezia, Marsilio 2014, p. 187.

9 Martellini, All'ombra delle rivoluzioni altrui, cit., p. 84.

10 Lettera enciclica «Populorum progressio» del sommo pontefice Paolo PP.VI sullo sviluppo dei popoli, § 30-31,

pace, non escludeva, quindi, la liceità morale della violenza rivoluzionaria, ammettendone in via di principio la legittimità […]»11. Questa posizione, se non

totalmente assolutoria nei confronti di chi sceglieva la via rivoluzionaria, come appunto Camilo Torres, «era quanto di più vicino ad essa si potesse immaginare»12 il che aveva

aperto un dibattito infinito all'interno del mondo cattolico italiano e non solo. Le parole del pontefice, in verità, non fecero che alimentare dei fermenti che erano già presenti, soprattutto nella quotidianità degli studenti, del mondo delle associazioni o delle riviste cattoliche ma che da quel momento esplosero letteralmente in accesi dibattiti con conseguenze dirompenti.

Come si vedrà, Mani Tese fu potentemente coinvolta, se non travolta, dallo scatenarsi di un confronto sempre più acceso su una serie di temi che fino a poco tempo prima erano rimasti patrimonio esclusivo della tradizione politica marxista. Il Movimento Liberazione e Sviluppo sarebbe nato in conseguenza di questa evoluzione dell'orientamento terzomondista d'ispirazione cattolica la quale, oltre all'inserimento di un'analisi critica dei rapporti fra Nord e Sud del mondo con la diffusione della “teoria della dipendenza”, aggiunse la legittimazione per uno spettro di opzioni che prevedevano anche la lotta armata e più in generale l'uso della violenza per trasformare situazioni di oppressione e sfruttamento. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di analizzare con precisione le vicende che portarono alla nascita di Liberazione e Sviluppo e poi all'evolversi della sua attività.