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Pirelli un «autentico rivoluzionario»

3. Terzomondismo e Resistenza

Tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta quindi le forme di attivismo e orientamento terzomondista si erano intensificate a dismisura. La massificazione si era compiuta anche su quella che Martellini ha definito «la frettolosa invenzione di una tradizione»152, riprendendo la celebre definizione dello storico inglese Hobsbawm153.

Come si è visto nelle pagine precedenti154, l'identificazione fra le lotte dei movimenti di

liberazione del Terzo Mondo – condotte quasi sempre con i metodi della guerriglia su cui nel 1960 Ernesto Che Guevara aveva scritto un manuale peraltro subito edito in Italia dalle Edizioni Avanti!155 – e la Resistenza italiana aveva iniziato a caratterizzare

148 Tolomelli, L'Italia dei movimenti, cit., p. 93. 149 De Giuseppe, Il «Terzo Mondo» in Italia, cit., p. 42. 150 Cfr. Cap. IV, par. 3.2.

151 Tolomelli, L'Italia dei movimenti, cit., p. 93.

152 Martellini, All'ombra delle rivoluzioni altrui, cit., p. 29.

153 Cfr. E. J. Hobsbawm – T. Ranger (a cura di), L'invenzione della tradizione 154 Cfr. in questo capitolo il paragrafo 1.

155 All'Istituto Ernesto De Martino, all'interno del fondo archivistico delle Edizioni Avanti!, è conservata fra l'altro l'originale della lettera indirizzata a Silvia Boba con cui Guevara comunicò con «piacere la [sua] approvazione

l'attivismo in favore della guerra d'indipendenza algerina già alla fine degli anni Cinquanta. Molti ex-partigiani vissero una vera e propria immedesimazione con gli indipendentisti algerini e progressivamente anche con gli altri movimenti di liberazione del Terzo Mondo. Secondo Collotti Pischel nel valutare le “grandi speranze” «nutrite allora a proposito delle sorti del Terzo Mondo» bisogna tenere conto del flusso emancipatorio partito nel 1945. Ovvero il Sessantotto, e con esso il terzomondismo, fu al «culmine di un'ondata nella quale sembrava che una staffetta continua di un processo in ascesa vedesse avvicendarsi le forze di popoli protagonisti di spinte liberatrici. In effetti dal 1945 in poi gli episodi di lotte riuscite si erano succeduti con continuità»156.

Sono inoltre gli anni della Battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo che nel 1966 aveva vinto il Leone d'Oro al festival di Venezia dopo che la delegazione francese aveva lasciato la sala in segno di protesta. Pontecorvo nato nel 1919 a Pisa era stato costretto a lasciare il paese e riparare in Francia dopo la promulgazione delle leggi razziali nel 1938 a causa della sue origine ebraiche e aveva successivamente preso parte alla Resistenza nelle fila delle brigate Garibaldi. Pontecorvo nel girare la Battaglia di Algeri fu fortemente ispirato da ciò che aveva vissuto personalmente come partigiano vent'anni prima.

«Gillo» – raccontò Irene Bignardi nel suo volume biografico sul regista – «era affascinato dalla possibilità di raccontare il momento dello sciopero generale indetto dalFLN [per il 28 gennaio 1957], che gli permetteva di ricreare

cinematograficamente qualcosa che faceva parte dell'esperienza da lui vissuta durante la Resistenza e che continuava a toccarlo profondamente: la coralità della lotta, i sentimenti e le emozioni provati all'unisono da una massa di uomini, l'entusiasmo della battaglia collettiva»157.

La forte analogia che Pontecorvo sentiva fra il movimento indipendentista algerino e quello partigiano italiano è direttamente percepibile vedendo il film che, secondo la sferzante critica che Goffredo Fofi scrisse nel 1967, si passava «dall'eroico al didascalico, dal documentario alla perorazione, dall'azione al suspense, da de Gaulle a Fanon, via Parri»158.

alla pubblicazione della traduzione in italiano del [suo] libro “Guerra di guerriglia”». Cfr. Lettera di Ernesto

“Che” Guevara a Silvia Boba, lettera datata L'Avana 10 gennaio 1960, fondo Edizioni Avanti!-Edizioni del

Gallo, Serie Corrispondenza (1953-1966), busta 125 «Corrispondenza 1960 G-O», AIEDM. 156 Collotti Pischel, Nel '68: quando l'Oriente era rosso, cit., p. 75.

157 I. Bignardi, Memorie estorte a uno smemorato. Vita di Gillo Pontecorvo, Milano, Feltrinelli 1999, p. 121. 158 G. Fofi, Film da vedere e da non vedere, «Quaderni piacentini», n. 29, a. VI, gennaio 1967, p. 97.

Ancora Collotti Pischel ha ricordato come

«la concatenazione dei successi del movimento di liberazione dei popoli era vista nel Sessantotto come una continuazione logica, consequenziale della Resistenza e dei suoi valori. […] Era facile ritrovare i valori della Resistenza nei testi di Nehru» – la cui biografia non a caso erano stata pubblicata da Feltrinelli già nel 1955 – «e – in altra forma ma con uguale pertinenza – in quelli di Ho Chi Minh: Castro e Guevara poi parlavano un linguaggio che sembrava quasi coincidere con quello della Resistenza»159.

In sostanza la “contestazione” attinse fin dal principio al mito della Resistenza al nazifascismo160. Martellini ha sottolineato come nel momento in cui il dibattito sulla

legittimità della guerriglia nel Terzo Mondo assumeva le dimensioni sopra descritte i legami ideali con la Resistenza, nel movimento, si facevano più concreti:

le similitudini tra i vecchi partigiani e i nuovi guerriglieri iniziarono a inseguirsi incessantemente nelle manifestazioni pubbliche e a rimbalzare per tutta la penisola. Non a caso queste similitudini vennero generosamente alimentate proprio nel corso delle celebrazioni per il 25 aprile, che divennero un simbolico trait d'union, un ideale ponte gettato nel tempo e nello spazio per collegare la vittoria sul nazifascismo con le lotte dei popoli del Terzo Mondo contro l'Occidente imperialistico; e i giovani di casa nostra, che non avevano partecipato né alla prima né alle seconde, si sentivano però partecipi di queste, come avanguardie di una rivoluzione ormai prossima anche in Occidente, ed eredi di quella, senza che peraltro, nessuno li avesse nominati tali161.

Tuttavia bisogna sottolineare che i parallelismi fra la Resistenza partigiana e le esperienze guerrigliere del Terzo Mondo venivano valutati anche con una certa prudenza, a volte proprio dagli ex-partigiani:

Nel marzo 1967 a Cuneo venne organizzata una conferenza dal titolo Guerra

partigiana dall'Italia al Vietnam: era stato invitato a parlarne Giorgio Bocca, ex

partigiano e all'epoca corrispondente de «il Giorno», il quale tra il disappunto degli

159 Collotti Pischel, Nel '68: quando l'Oriente era rosso, cit., p. 75. 160 Martellini, All'ombra delle rivoluzioni altrui, cit., p. 22. 161 Ivi, p. 24.

organizzatori, aveva sottolineato con forza le differenze tra la Resistenza italiana e quella dei vietcong, più che evidenziarne le affinità162