Pirelli un «autentico rivoluzionario»
2. L'apice del terzomondismo: il Vietnam
2.1 Giangiacomo Feltrinelli, un editore terzomondista
La partecipazione di Feltrinelli al Vietnamkongreß di Berlino, che poteva apparentemente sembrare fuori luogo, si poneva invece al culmine di una militanza terzomondista che aveva abbondantemente varcato i confini nazionali da diverso tempo. L'editore milanese stava infatti dando un deciso contributo alla divulgazione dei temi terzomondisti nella stagione della contestazione. Già nel 1955, all'indomani della Conferenza Afroasiatica di Bandung, aveva pubblicato l'autobiografia di Nehru ed aveva sostenuto la causa algerina con la pubblicazione di diversi volumi (alcuni dei quali vietati in Francia) che ne trattavano le principali questioni132.
Nel panorama editoriale italiano del secondo dopoguerra questi ebbe un ruolo importante non solo nella divulgazione del pensiero anticoloniale, bensì anche nella promozione di un programma editoriale esplicitamente terzomondista. È vero che la notorietà politica di Feltrinelli […] fu dovuta soprattutto alla sua decisione di passare, sul finire degli anni Sessanta, dall'impegno culturale all'azione politica diretta. Il suo contributo alla divulgazione del pensiero terzomondista in Italia fu tuttavia altrettanto rilevante. […] [È] innegabile che Feltrinelli ebbe la capacità, e a volte anche la spregiudicatezza, di introdurre in Italia scrittori, pensatori e intellettuali difficilmente classificabili entro gli schematismi rigidi e dicotomizzanti
131 Scalpelli, Senza precedenti a Berlino Ovest la manifestazione per il Vietnam, «l'Unità», cit., p. 12.
132 Cfr. C. e F. Jeanson, Algeria fuorilegge, Milano, Feltrinelli 1956; A. Franza (a cura di), La rivoluzione algerina, ivi, 1959; H. Keramane, La pacificazione. Libro nero di sei anni di guerra in Algeria, ivi, 1960; D. Darbois-P. Vigneau, Gli algerini in guerra, ivi, 1961; F. Jeanson, Problemi e prospettive della rivoluzione algerina, ivi, 1962.
a cui anche gli editori più illuminati faticavano a sottrarsi – si pensi alla pubblicazione degli scritti di Mehdi Ben Barka, esponente di spicco dell'anticolonialismo marocchino, di testi di Kwame Nkrumah […]133.
Nel corso degli anni Sessanta l'editore milanese aveva infatti anche stabilito legami personali con diverse figure di spicco del terzomondismo mondiale. Nel 1962 si era recato ad Accra, in Ghana, per partecipare, come editore, alla conferenza sul disarmo nucleare e aveva conosciuto Nkrumah. Ancora prima, come accennato, aveva dato un ingente sostegno alla causa algerina sia intellettualmente che concretamente. Ma è soprattutto a partire dal 1964, quando iniziò a recarsi periodicamente a Cuba – dove era stato per la prima volta nel 1959 pochi mesi dopo la vittoria della rivoluzione – instaurando rapidamente un intimo rapporto d'amicizia con Fidel Castro134, che
Feltrinelli sviluppò sempre più concretamente la sua attitudine terzomondista. I viaggi nell'isola caraibica avevano inizialmente lo scopo di portare avanti il progetto editoriale di un volume di “memorie” del “leader maximo” che però, nonostante gli sforzi dell'editore e dei suoi collaboratori, non vide mai la luce. Rimase però particolarmente affascinato dalla figura di Castro e dall'esperimento rivoluzionario caraibico. Nella primavera del 1967, in uno di questi viaggi a Cuba, Feltrinelli ebbe anche la fortuna di imbattersi nel fotografo cubano Alberto Korda che gli fece dono del negativo di una foto del comandante Ernesto Che Guevara scattata sette anni prima135. Pochi mesi dopo,
non appena L'Avana ammise pubblicamente la morte di Guevara in Bolivia, nell'ottobre 1967, quella foto diventò immediatamente un simbolo per i giovani italiani e in generale per tutto il movimento del Sessantotto. Feltrinelli infatti in occasione della manifestazione che si svolse a Milano per la morte del Che fece stampare il negativo della foto di Korda su centomila manifesti con la scritta «Il Che vive». Poco dopo «mise in commercio il manifesto con l'immagine e ne vendette, si disse, più di un milione di copie in tutto il mondo»136 facendone molto rapidamente un'icona mondiale137. Si deve
133 Tolomelli, L'Italia dei movimenti, cit., pp. 81-82.
134 Cfr. A. Grandi, Giangiacomo Feltrinelli. La dinastia, il rivoluzionario, Milano, Baldini Castoldi Dalai 2012. Celeberrime sono le foto di Giangiacomo che gioca a pallacanestro con Fidel Castro scattate a L'Avana dalla fotografa e all'epoca moglie Inge Schönthal.
135 Korda scattò quella foto nel marzo 1960 durante la cerimonia funebre per le vittime di un attentato su una nave carica di armi ed esplosivi comprati da Cuba e attraccata nel porto dell'Avana, la Coubre. L'esplosione aveva fatta molti morti e feriti. Korda fotografò diversi personaggi in quell'occasione presenti alla cerimonia, oltre al Che, tra cui Sartre e Simone de Beauvoir. Cfr. Grandi, Giangiacomo Feltrinelli, cit., pp. 301-302.
136 Ivi, p. 302.
137 L'immagine divenne inoltre un enorme «murales» nella Veglia di Omaggio all'Avana alla fine del 1967. Fu inserita fra le cento immagini più influenti del mondo dalla rivista «Time». Cfr.
sempre a Feltrinelli, al suo speciale rapporto con Fidel Castro e con la rivoluzione cubana, e al suo coinvolgimento nella causa del Terzo Mondo se i lettori italiani poterono trovare in tutte le librerie già nel luglio 1968, in anteprima mondiale, il «Diario del Che in Bolivia». Dopo che il governo cubano riuscì ad ottenere l'agenda sequestrata a Guevara in Bolivia al momento della sua cattura, Castro convocò Feltrinelli all'Avana per fargli tradurre personalmente la prima bozza del diario e pubblicarlo quindi in anteprima mondiale138. Un'operazione editoriale fra le più riuscite
della storia della casa editrice Feltrinelli, a cui contribuì probabilmente anche l'effetto scenico dell'immagine scattata da Korda posta in copertina assieme all'indicazione che gli utili della vendita del volume sarebbero stati «devoluti interamente ai movimenti rivoluzionari dell'America Latina»139. D'altra parte Giangiacomo Feltrinelli non aveva
mai fatto segreto delle sue simpatie terzomondiste che spesso andavano anche al di là della semplice solidarietà verbale. Qualche mese prima, per esempio, nell'estate del 1967, si era personalmente recato in Bolivia con l'intento di seguire il processo a Regis Débray, catturato dalle autorità boliviane mentre tentava di instaurare un contatto con Guevara e la sua colonna di guerriglieri. In Bolivia Feltrinelli fu arrestato e interrogato dalle autorità boliviane ed espulso dal paese dopo alcuni giorni di detenzione140. Vi si
era recato su esplicito invito dei cubani dopo che lui stesso si era dichiarato disponibile a impegnarsi in prima persona. È necessario sottolineare che il grande contributo di Feltrinelli al terzomondismo continuò ad arrivare senza dubbio dalla sua attività editoriale e non tanto dal suo coinvolgimento personale e in prospettiva rivoluzionaria, «che lungi dall'essere sorto all'improvviso, […] fu, in realtà, come un progressivo muoversi all'interno di un imbuto, finendo per restare imbottigliato nell'ultimo tratto, senza quasi possibilità di uscita»141.
Uno dei principali contributi fu infatti la pubblicazione e la diffusione dell'edizione italiana della rivista «Tricontinentale» che, con un giudizio eccessivamente severo, Tutino ha successivamente definito la sola cosa concreta lasciata dalla Prima Conferenza di Solidarietà dei Popoli dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina organizzata a Cuba nel gennaio 1966142. La conferenza – che secondo Tutino «era nata
138 Cfr.Grandi, Giangiacomo Feltrinelli, cit., p. 340;
139 Cfr. Ibidem; e C. Feltrinelli, Senior Service, Milano, Feltrinelli 2010, p. 316.
140 Anche l'editore François Maspero si era recato in Bolivia pochi mesi prima e aveva tentato di presentarsi alle autorità boliviane come garante e datore di lavoro di Debray ottenendo lo stesso risultato di Feltrinelli: interrogato ed espulso dal paese. Cfr. Tutino, Da Kennedy a Moro, cit., p. 34.
141 Grandi, Giangiacomo Feltrinelli, cit., pp. 378-379. 142 Cfr. Tutino, Da Kennedy a Moro, cit., p. 33.
col piombo nelle ali»143 perché laCIA, prima ancora che si riunisse, «era riuscita a
demolire alcuni dei suoi pilastri, dal regime di Sukarno in Indonesia alle posizioni di Ben Bella in Algeria; aveva liquidato fisicamente Mehdi Ben Barka» e infine i «contrasti fra cinesi e sovietici avevano superato la buona volontà di Cuba e del Vietnam, che cercavano di mediare»144 – aveva riunito tutti i movimenti di liberazione
di Africa, Asia e America Latina con lo scopo di consolidarne il rapporto e coordinare l'attività antimperialista attraverso l'Organizzazione di Solidarietà dei Popoli di Asia Africa e America Latina (OSPAAAL) che sarebbe dovuta scaturire da quell'incontro.
La Conferenza Tricontinentale ottenne ampia risonanza in occidente soprattutto grazie al messaggio a distanza lanciato da Che Guevara. Sulle pagine della rivista, edita a L'Avana, che si presentava come «organo teorico della Segreteria esecutiva dell'Organizzazione di Solidarietà dei Popoli d'Asia, Africa e America Latina» l'intervento di Guevara – dal titolo emblematico «Mensaje a los pueblos del mundo a través de la Tricontinentale. Crear dos, tres... muchos Vietnam, es la consigna» e pubblicato nell'aprile 1967 – che esortava i popoli oppressi a muovere guerra contro l'imperialismo, guidato dagli Stati Uniti, con unità e attraverso la lotta armata, aveva una valenza particolarmente radicale. Senza mezzi termini il comandante Guevara evocava uno scontro mortale e mondiale con il nemico imperialista.
In definitiva – notava Guevara – bisogna considerare che l'imperialismo è un sistema mondiale, ultima tappa del capitalismo, e che bisogna batterlo in un grande scontro mondiale. Lo scopo strategico di questa lotta deve essere la distruzione dell'imperialismo. La parte che tocca a noi sfruttati e sottosviluppati del mondo, è quella di eliminare le basi di sostentamento dell'imperialismo […]. Non possiamo predire il futuro, ma non dobbiamo mai cedere alla tentazione di essere gli alfieri di un popolo che, pur anelando alla propria libertà, rifiuta la lotta che questa implica e aspetta la libertà come un'elemosina […] E le lotte non saranno semplici combattimenti di strada, dove si gettano pietre contro i gas lacrimogeni, né scioperi generali pacifici; e non sarà nemmeno la lotta di un popolo infuriato che in due o tre giorni distrugge l'apparato repressivo delle oligarchie governanti; sarà una lotta lunga, cruenta, il cui fronte sarà nei rifugi dei guerriglieri, nelle città, nelle case dei combattenti, dove la repressione cercherà facili vittime tra i familiari, nella popolazione contadina massacrata, nelle città e nei villaggi distrutti dal
143 Ibidem.
bombardamento nemico145.
Guevara oltre ad evocare uno scontro frontale con l'imperialismo aveva tentato di tradurre nella pratica quello che la teoria del foco formulava sulla carta. Il suo tentativo di scatenare su vasta scala una guerriglia nella giungla boliviana al fine di rovesciare un regime profondamente asservito agli interessi degli Stati Uniti e conclusosi con il sacrificio personale colpì molto i militanti italiani ed europei che nell'ottobre 1967, come si è visto, erano già ampiamente impegnati in una vasta mobilitazione, secondo forme e metodi variegati, contro il conflitto in Vietnam.
Il tentativo cubano – che si presentava come l'unico modello di rivoluzione accettabile anche e soprattutto per chi era rimasto deluso dall'esperienza sovietica – di coordinare le lotte antimperialiste dei movimenti di liberazione dei tre “continenti”, l'accresciuta tensione in Europa anche a causa del colpo di stato greco, l'appello di Guevara che «dopo l’impresa angolana e la tragica morte in Bolivia, […] si [sarebbe trasformato] in un simbolo globale del Terzo mondo» furono tutti fattori che contribuirono a una «sostanziale accettazione della guerriglia rivoluzionaria nel momento in cui essa si stava diffondendo in molte aree del Terzo Mondo, dall'Estremo Oriente all'Africa, all'America Latina»146. Progressivamente si innescò, a partire dalla
metà degli anni Sessanta, una radicalizzazione del discorso terzomondista che coincise con la sua massificazione e in un certo senso anche con il suo “farsi mercato”147.
Feltrinelli, giocò un ruolo fondamentale in questo processo. Profondamente convinto che anche in Italia si stesse correndo il pericolo di un colpo di stato simile a quello greco – peraltro le rivelazioni de «l'Espresso» sul «Piano Solo» del Generale Giovanni De Lorenzo tendevano a dare ragione all'editore – Feltrinelli proponeva la pubblicazione dell'«organo teorico» della Tricontinentale, i cui i toni e contenuti erano particolarmente radicali, senza nessun tipo di introduzione esplicativa che rendesse conto delle varie situazioni in cui i testi erano prodotti o di cui si facevano portavoce. Tolomelli ha messo bene in luce questa scelta editoriale:
La versione italiana della rivista, […] riproponeva, traducendoli, testi e
145 E. Guevara, Creare due, tre, molti Vietnam, Milano, Baldini Castoldi 1996, pp. 18-20. 146 A. Martellini, All'ombra delle altrui rivoluzioni, cit., p. 22.
147 Sulla questione dell'intreccio fra contestazione, immaginario rivoluzionario e mercato vedasi ivi, in particolare il paragrafo Mercato e rivoluzione, pp. 68-75.
documenti provenienti da situazioni di conflitto che però erano privati dei relativi contesti di elaborazione. Si trattava dunque di testi che calavano in maniera non mediata i lettori dei paesi occidentali, i questo caso italiani, in realtà e situazioni lontane, come se vi si trovassero direttamente coinvolti. Significative e al contempo stupefacenti risultano le immagini di armi, e spesso anche le informazioni e le indicazioni tecniche ad uso bellico che la rivista proponeva, come se il pubblico italiano stesse vivendo nelle medesime situazioni di conflitto delle popolazioni di cui si riportavano alcuni scritti148.
Nello stesso periodo in cui usciva «Tricontinentale», che come abbiamo visto si avvalse per qualche tempo anche della collaborazione di Savino D'Amico, Feltrinelli «patrocinò personalmente, sotto la sigla Edizioni della libreria, anche una piccola collana di lavori militanti, finalizzata a mobilitare le coscienze intorno al tema delle rivoluzioni terzomondiste»149. Non a caso quella fu la collana con cui avrebbe visto la
luce anche il Dossier sulle colonie portoghesi di Liberazione e Sviluppo150. Come
Tolomelli ha giustamente sottolineato, le «posizioni erano certamente differenziate e la rivista «Tricontinentale» non era la voce del terzomondismo in Italia»151.