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2.3. Dipendenza dal mondo come questione di senso

2.3.2. Cecità e apertura di senso

Nel tentativo di capire in che modo il mondo possa attraversare un soggetto pulsionale dal vissuto intenzionale cieco, in quanto del tutto privo di ogni sorta di intenzione rappresentativa, sembra utile ripartire ancora una volta da un esempio. Immaginiamo che un uomo lasci inavvertitamente aperta la finestra del proprio studio e che esso sia talmente assorto nella lettura da non rendersi conto della fredda aria autunnale che sta così lasciando entrare all’interno della stanza. Ad un certo punto, notiamo che egli infila le mani all’interno delle tasche dei propri pantaloni. Interrompendo questa visione, chiediamo all’uomo cosa lo abbia spinto a compiere questo stesso movimento. Secondo Husserl sono due le opzioni di risposta che possiamo ragionevolmente aspettarci dal nostro sbadato interlocutore. La prima: “perché le mani erano infreddolite”. Oppure, “non so bene perché”, “non ci ho badato”284. Solo in quest’ultimo caso è fenomenologicamente possibile parlare di un movimento corporeo involontario, ovvero la forma più tipica di prassi in cui, come ricorda Bernet, per Husserl si esprime un’intenzionalità di tipo pulsionale285. Qui, infatti, ciò che manca all’azione non è tanto una

direzione, ma la rappresentazione anche solo implicita di questa stessa direzione: manca, in altre parole, un’intenzione rappresentativa che accompagni in qualche modo l’azione. Ciò significa che,

animale [Tier] può avere originariamente esperienza del mondo esterno» (Idem, Husserliana, vol. XIV, op. cit., p. 333 [traduzione mia]).

283 Pugliese, Il movente dell’esperienza, op. cit., p. 96. 284 Husserl, Idee…, II, op. cit., p. 261.

141 come illustra più precisamente Lee286, mentre nel primo caso la sensazione di freddo esercita un’affezione sull’io-centro – esercita, cioè, sull’ego uno stimolo cosciente – il quale, da parte sua, risponde con una rappresentazione delle tasche come luogo in cui poter scaldare le mani e, perciò, come direzione oggettuale dell’azione, nel caso del movimento spontaneo delle mani, il soggetto rimane assorto nella lettura: l’aria fredda che entra dalla finestra non esercita alcuno stimolo [Zug] affettivo sull’ego che possa mettere quest’ultimo nelle condizioni di esercitare un’intenzione rappresentativa verso la direzione oggettuale dell’azione soggettiva.

Se, dunque, l’apertura pulsionale al mondo non si accompagna ad alcuna intenzione di rappresentazione, ciò accade perché nella sfera istintivo-pulsionale non si ritrova uno stimolo affettivo tale da indurre l’ego ad attivarla: perché, in termini fenomenologici più rigorosi, la pulsione afferisce a un livello della vita di coscienza che precede quella dinamica affezione- volgimento che consente il sorgere dell’intenzione di rappresentazione. Qui, come Husserl riconosce fin dalle Lezioni sulla sintesi passiva,

[i] dati sensibili (e quindi i dati in generale) indirizzano verso l’io-polo dei raggi dotati di forza affettiva che non sono tuttavia sufficientemente forti per raggiungerlo e non si trasformano quindi in uno stimolo ridestante per la soggettività.287

Se, dunque, nell’apertura della pulsione al mondo esterno non si ritrova una vera e propria affezione, ciò non accade perché il mondo non esercita alcuna stimolazione affettiva sul soggetto, ma perché questa stessa stimolazione non ha forza sufficiente per aver presa su di esso. Nel movimento spontaneo del soggetto che nasconde le proprie mani dal freddo, il mondo esterno esercita una stimolazione sul soggetto, benché quest’ultimo non badi a essa288: benché, cioè, l’ego- polo

dell’intenzionalità rappresentativa non sia raggiunto dalla sensazione di raffreddamento e continui a essere totalmente assorbito dalla lettura del testo. Sebbene, allora, il “referente” oggettuale dell’intenzionalità pulsionale non sia in grado di esercitare un’affezione vera e propria sul soggetto egoico e sulla sua intenzionalità rappresentativa, l’originario riferimento pulsionale al mondo esterno rappresenta «in ogni caso – come Husserl scrive esplicitamente – un fenomeno affettivo»289. Da

questo punto di vista, allora, l’apertura originaria al mondo rivela, come nota anche Lee, un certo carattere affettivo, per quanto sui generis290. Più precisamente, essa si mostra in qualità di un’apertura

286 Lee, Edmund Husserls Phänomenologie der Instinkte, op. cit., p. 116.

287 Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, op. cit., pp. 205- 206. Su questo punto si veda anche: Idem, Husserliana, vol.

XXXIX, op. cit., p. 483.

288 Questo legame tra cecità dell’intenzionalità pulsionale e mancanza di attenzione da parte del soggetto è sottolineata

anche in Bower, «Husserl's theory of insticts as a theory of affection», op. cit., p. 138.

289 Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, op. cit., p. 229.

142 pre-affettiva [voraffektive] 291: vale a dire, di un’apertura in cui, pur essendo presente un riferimento a un determinato oggetto (o stato di cose) quest’ultimo non è sufficientemente forte da motivare il volgersi da parte dell’intenzione rappresentativa del soggetto egoico verso di esso.

Fenomenologicamente, dunque, si rileva una certa eterogeneità tra la sfera del vissuto pulsionale e la sfera del vissuto egoico. L’analisi genetica dell’animalità conduce così a mettere in luce una situazione apparentemente paradossale292: una situazione in cui la pulsione si mostra come un fenomeno soggettivo privo di qualsiasi coinvolgimento del soggetto egoico. In termini fenomenologici più rigorosi, l’analisi genetica che si estende fino all’intenzionalità pulsionale, come scrive Husserl,

ci conduce alla struttura egoica [Ichstruktur] e al suo sostrato fondativo permanente del flusso non egoico [des ichlosen Strömens], il quale riconduce attraverso una conseguente domanda a ritroso [Rückfrage] a ciò che presuppone e rende possibile anche l’attività sedimentata, vale a dire alla sfera pre-egoica radicale [auf das radikal Vor-ichliche]293

Alle spalle dell’attività costituente dell’ego cogito della coscienza rappresentativa, dunque, si rinviene ancora una struttura soggettiva, quella che Husserl chiama “pre-io” [Vor-Ich]: una sorta di “preforma del soggetto”, come lo definisce Montavont294, geneticamente anteriore all’ego che svolge

l’attività di costituzione della coscienza dossico- rappresentativa. In quanto «base di fondo [Untergrund] della soggettività [egoica] [N.d.A.]»295, per riprendere un’espressione che Husserl usa

nelle pagine finali del secondo libro di Idee, a differenza di quanto ipotizza Lee296, il pre-io non può

essere considerato come un momento interno al soggetto egoico. Tutto al contrario, come nota Yamaguchi, nella misura in cui proprio il pre-io si trova geneticamente alle spalle dell’ego cogito, la caratterizzazione egoica di questo strato della vita soggettiva deve essere giudicata insostenibile nella

291 In linea con queste osservazioni, troviamo il seguente brano del secondo libro di Idee nel quale si legge: «Di fronte

all’io attivo sta quello passivo, e l’io, quando è attivo, è sempre anche passivo, una passività che può essere sia dell’ordine dell’affezione sia di quello della ricettività […] Soggettivo nel senso originario è anche l’io “passivo” (in un secondo senso), l’io delle “tendenze”, che subisce certi stimoli da parte delle cose e delle manifestazioni, che viene attratto e che cede a questa attrazione» (Husserl, Idee…, II, op. cit., pp. 217- 218). Qui l’autore distingue differenti connotazioni della sfera soggettiva in corrispondenza di diversi gradi di costituzione. Notiamo che il livello passivo della soggettività, quello che si riferisce al grado costitutivo dell’affezione, ha sotto di sé un ulteriore livello, quello delle tendenze, e, dunque delle intenzioni pulsionali in generale.

292 Husserl stesso nei suoi manoscritti di ricerca, notando probabilmente questa paradossalità, si chiede: «Ist es dann hier

schon ein ichloses Streben, das zur Verwirklichung stetig führt, stetig neues Streben weckt etc.? Aber wie steht es mit dieser Konstruktion? Ist nicht alles Streben schon ichlich?» (Husserl, Husserliana: Materialen, vol. VIII, op. cit., p. 351).

293 Husserl, Husserliana, vol. XV, op. cit., p. 598 [traduzione mia].

294 Montavont, De la passivité dans la phénoménologie de Husserl, op. cit., p. 251 [traduzione mia]. 295 Husserl, Idee..., II, op. cit., p. 278.

143 prospettiva fenomenologica297: la sfera del Vor-Ich si presenta come una sfera che non è riconducibile alla sfera dell’ego.

Più precisamente, a riguardo del pre-ego, nel secondo libro di Idee si legge:

Certo, il corpo vivo ha certe particolari virtù rispetto alle altre cose: è “soggettivo” in un senso ben distinto, cioè in quanto latore di campi sensibili […], in quanto latore del centro e delle direzioni fondamentali dell’orientazione spaziale, […] ma ciò indica semplicemente come questo strato non rientri nell’ambito di ciò che è propriamente egologico.298

Sfera soggettiva priva del carattere egoico è, dunque, il Leib (e non l’ego cogito) a presentare una continuità con quella sfera soggettiva pre-egoica che è il Vor-Ich come, scrive Husserl, «polo [soggettivo] [N.d.A.] degli istinti originari»299: come, detto altrimenti, principio di unità – e, in questo senso, commenta Montavont, principio di soggettività300 – dell’ampio panorama dei vissuti pulsionali che non possono essere ricompresi all’interno della sfera egoica della soggettività. Questa continuità tra Leib e pre-io suggerisce, pertanto, che «il corpo vivo – afferma Lee – rappresenta il momento “noetico” del fluire passivo della hyle istintiva originaria»301: che, detto altrimenti, la sfera pre-egoica

in cui si svolge il riferimento pulsionale al mondo esterno insiste sul corpo vivo del soggetto. Da questo punto di vista, Husserl non sembra essere distante dai presupposti delle teorie ambientaliste della sostenibilità. La continuità tra Leib e Vor-Ich suggerisce, infatti, che non sia il soggetto egoico ma la corporeità vivente a portare su di sé l’apertura pulsionale al mondo esterno302:

vale a dire, a mostrarsi dipendente dal mondo esterno per la propria costituzione. Se ciò pare collocare

297 Yamaguchi, «Triebintentionalitaet als uraffektive passive Synthesis in der genetischen Phaenomenologie», op. cit., p.

230- 231.

298 Husserl, Idee..., II, op. cit., pp. 216- 217.

299 «Pol von ursprünglichen Instinkten» (Ms E III 9, Bl. 18a) [traduzione mia]. In questa prospettiva diventa più evidente

la ragione dell’accostamento proposto da Montavont tra Vor-Ich e io animale (Montavont, De la passivité dans la

phénoménologie de Husserl, op. cit., p. 270). Così compreso, infatti, il pre-io non può che sovrapporsi all’io-degli-istinti

come centro di irraggiamento [Ausstrahlungszentrum] dell’intenzionalità pulsionale “cieca” in quanto disancorata dall’intenzione di carattere rappresentativo.

300 Montavont, De la passivité dans la phénoménologie de Husserl, op. cit., p. 270.

301 Lee, Edmund Husserls Phänomenologie der Instinkte, op. cit., p. 117 [traduzione mia]. Sulla correlazione tra contenuti

hyletici originari e corpo vivo si veda anche: L. Landgrebe, Der Weg der Phänomenologie. Das Problem der

ursprünglichen Erfahrung, Gütersloher Verl., Mohn 1963, p. 120; U. Claesges, Edmund Husserls Theorie der Raumkonstitution, M. Nijhoff, Den Haag 1964, pp. 131-135. Questa insistenza del vissuto pulsionale a livello del corpo

vivo dovrebbe consentire di spiegare un tratto del tutto peculiare della teoria husserliana delle pulsioni, che è racchiuso nelle seguenti parole dell’autore: «wir das Problem der Verschiedenartigkeit der Interessen nicht in Rechnung gezogen haben, die Fragen des Gemüts und die Fragen der doppelten Habitualität - der erworbenen und der <Habitualität der> ursprünglichen Instinkte» (Husserl, Husserliana, vol. XXXIX, op. cit., p. 592 ; cfr. Idem, Husserliana, vol. XV, op. cit, p. 609). Ogni soggetto presenta, dunque, un patrimonio genetico [Erbmasse] di abitualità istintive innate che possono essere ereditate dalle generazioni passate nella misura in cui insistono sul livello carnale. L’ereditarietà delle acquisizioni pulsionali delle precedenti generazioni avverrebbe, pertanto, alla stregua dell’ereditarietà delle altre qualità bio-psichiche del corpo vivo. Su questo punto: Lee, Edmund Husserls Phänomenologie der Instinkte, op. cit., pp. 166- 168.

302 Ulteriore conferma si trova nel seguente passaggio testuale, in cui Husserl dichiara: «tutte le affezioni delle cose esterne

e dello stesso Leibkörper sono riferite al mio corpo vivo, come ciò “su cui” io sono affetto e tutte le mie reazioni attive, tutte le mie azioni [Handlungen] hanno la forma di eventi [Geschehnissen], che hanno il loro luogo originario nel corpo vivo» (Husserl, Husserliana, vol. XV, op. cit., p. 293 [traduzione mia]).

144 Husserl in una posizione di prossimità teorica con quanti affermano una dipendenza dal mondo esterno come dipendenza dal contesto biofisico della vita della specie, non bisogna, tuttavia, dimenticare, come nota Yamaguchi che la sfera pre-egoica non corrisponde affatto a una sfera priva di attività intenzionale303. Il vissuto soggettivo che essa racchiude è, infatti, il vissuto di una pulsione che, come abbiamo ricordato più volte sopra, Husserl concepisce immediatamente come intenzionalità pulsionale [Triebintentionalität]: vale a dire, come un momento che si inserisce a pieno titolo e con un ruolo geneticamente originario nella vita di coscienza. Ciò permette di precisare la distinzione tra Ich e Vor-Ich come una distinzione non tra due diverse nozioni di soggettività – quella corporea e quella cogitativo-intenzionale – quanto piuttosto, come evidenziano Giorello e Sinigalia, tra due diversi momenti di una stesso soggetto cosciente304: di una stessa vita di coscienza internamente stratificata. In tal senso, lo scopo di questa distinzione non è tanto quello di separare il soggetto egoico delle intenzioni di rappresentazione dalla dimensione corporea dei vissuti pulsionali, quanto piuttosto, proseguono gli autori, quello di rendere conto dell’esistenza di una sfera di coscienza che prescinde dall’attività egoica di costituzione dossico-rappresentativa305.

Questa sfera pre-egoica di coscienza insiste, appunto, sul corpo vivo, ma si tratta di un’afferenza che non deve essere scambiata per un’identificazione. Come ricorda Montavont306, infatti, Husserl rifiuta l’idea di quella che Merleau-Ponty poi chiamerà “intenzionalità del corpo”307: rifiuta, vale a

dire, l’idea di un’attività intenzionale trasferita tale quale al corpo proprio. Quella insistenza, infatti, per Husserl non indica nient’altro che questo: la sfera pre-egoica in cui si svolge il riferimento pulsionale al mondo esterno deve essere intesa nella forma di quella che Montavont chiama “carnalità

303 Yamaguchi, «Triebintentionalitaet als uraffektive passive Synthesis in der genetischen Phaenomenologie», op. cit., pp.

223-224.

304 Giorello, Sinigallia, «L’istinto dell’intenzionalità», op. cit., p. 51. L’inclusione genetica nel soggetto di un momento

passivo originario, permettendo di vedere come il soggetto sia sempre al contempo attivo e passivo, permette anche di riconsiderare i rapporti tradizionali tra attività e passività. Come coglie, infatti, Merleau-Ponty, attraverso la sfera soggettiva della passività originaria «l’intenzionalità cessa di essere ciò che essa era a partire da Kant: attualismo puro, cessa d’essere una proprietà della coscienza, delle sue “attitudini” e dei suoi atti, per diventare vita intenzionale» (M. Merleau-Ponty, Le visible et l'invisible; suivi de notes de travail, Gallimard, Parigi 1964 [traduzione mia]): per essere ricondotta, detto altrimenti, a una tensione costante e costruttiva tra intenzionalità d’atto nella forma del cogito e intenzioni passive latenti.

305 Ibid.

306 Montavont, De la passivité dans la phénoménologie de Husserl, op. cit., p. 100. Anche Kelker sottolinea la divergenza

tra Merleau-Ponty e Husserl nel fatto che quest’ultimo si rifiuti di trasferire l’attività della coscienza al corpo, aprendo la strada a un soggetto della sintesi passiva come corpo che si vive nel modo impersonale del “si” anonimo (A. Kelker, «Merleau-Ponty et le problème de l’intentionnalité corporelle. Un débat non résolu avec Husserl», in Maurice Merleau-

Ponty: Le psychique et le corporel, Aubier, Parigi 1988). Per un approfondimento sul significato che Husserl attribuisce

alla nozione di anonimato si rimanda all’ultimo capitolo del presente lavoro. In ogni caso, Taipale e Zahavi hanno recentemente cercato di mostrare come anche per il pensatore francese l’ammissione di una dimensione di anonimato non coincida con un superamento della prospettiva in prima persona tipica della fenomenologia (Cfr. J. Taipale, D. Zahavi, «Nordic perspectives on phenomenology: an introduction», Continental Philosophy Review, 48 (2015), pp. 103- 106, p. 104).

145 soggettiva” 308, vale a dire di una sfera di coscienza così intrecciata con il corpo vivo del soggetto da

confondersi con esso – da poter essere descritta solo nei termini di una coscienza incarnata309. Pur non potendo essere, secondo Husserl, inequivocabilmente considerati sinonimi310, dunque, il corpo vivo e la coscienza rappresentano fenomenologicamente un’unità originaria e indissolubile.

In questo modo, l’apertura pulsionale al mondo esterno, pur insistendo sulla dimensione corporea del soggetto, non è un’apertura che ci dice di una mera dipendenza organico-materiale da esso. Come Husserl riconosce già nel primo libro di Idee, infatti, «avere senso [...] è il carattere fondamentale di ogni coscienza»311. Il riferimento pulsionale al mondo esterno, in quanto riferimento di una coscienza incarnata, deve manifestare, dunque, una certa “intenzione di senso”, per riprendere un’espressione di Montavont312: deve, in altre parole, custodire in se stesso una certa connotazione di senso. Si tratta di un’intuizione che Husserl conferma con le seguenti parole:

Il processo vitale è un processo dell’essere costantemente sottoposti a pulsioni [Getriebenseins] […] un processo del cedere a tendenze cieche, dell’arrendersi o dell’abbandonarsi all’impulso […] di valori spontanei […]. In questo processo vitale faccio una molteplicità di “esperienze pratiche”; e ogni sviluppo di questa esperienza mi apre nuovi scopi pratici, mi apre nuovi e nuovi tipi di oggettualità [Sachlichkeiten], di oggetti [Gegenstände], di rapporti [Verhältnisse] ecc. che […] soddisfano le mie pulsioni, non solo, essi mi mostrerebbero anche delle pienezze di valore [Wertfülle]313.

Sul corpo vivo insiste, dunque, un’esperienza pulsionale che, in quanto esperienza cosciente, si riferisce a oggetti (o stati di cose) dotati di un senso e di un valore intenzionali. Ciò significa, come mette in luce Pugliese, che, pur essendo estranea all’attività della costituzione della coscienza dossico-rappresentativa, anche l’intenzionalità pulsionale svolge una propria funzione costitutiva314 per mezzo della quale il mondo appare all’Animal come una serie di rimandi non neutrali: per mezzo della quale, in altre parole, si definisce un peculiare senso oggettuale. Esso, infatti, a differenza del senso oggettuale che si costituisce nell’intenzionalità dossico- rappresentativa, esercita uno stimolo

308 Montavont, De la passivité dans la phénoménologie de Husserl, op. cit., p. 254 [traduzione mia].

309 Taipale sottolinea come Husserl tenda a riferirsi a questo intreccio indissolubile tra coscienza e corpo vivo ricorrendo

al concetto di Innenleiblichkeit, distinta ma essenzialmente legata a una Aussenleiblichkeit (Husserl, Husserliana, vol. XIV, op. cit., pp. 327-329; 336-337). Su questa distinzione: J. Taipale, «The Bodily Feeling of Existence in Phenomenology and Psychoanalysis», in Heinämaa, Hartim and Miettinen (eds.), Phenomenology and the

Transcendental, op. cit., pp. 218-234, p. 221.

310 Taipale, «The Bodily Feeling of Existence», op. cit., p. 222. 311 Husserl, Idee…, I, op. cit., p. 229.

312 Montavont, De la passivité dans la phénoménologie de Husserl, op. cit., p. 29. Analogamente De Palma, il quale

scrive: «Anders als Husserl aufgrund des Schemas Inhalt/Auffassung vermutet, ist die Hyle auf keiner Stufe formlos […]. Eine formlose Urhyle ist eine unphänomenologische Substruktion» (De Palma, «Der Ursprung des Akts», op. cit., p. 207).

313 Husserl, Husserliana, vol. XLII, op. cit., pp. 87- 88 [traduzione mia]. Sempre in questo senso, qualche pagina prima

si legge: «Indem aber [in dem Triebintentiontalität] [N.d.A.] das Sachliche hervortritt, ist es je nach dem ein in sich Wertes“ oder „in sich Unwertes“ oder ein Gleichgültiges» (Ivi, p. 86).

146 cosciente «la cui forza attrattiva [Reizkraft] – puntualizza Husserl – è pari a zero»315: il cui impulso affettivo non è forte al punto tale da emergere [abheben] all’attenzione cosciente del soggetto egoico. Come Husserl aveva illustrato una decina di anni prima all’interno delle Lezioni sulla sintesi passiva, dove la forza affettiva si indebolisce, «si impoverisce il senso oggettuale, che perde differenze interne […]. La fine è una totale assenza di differenze, derivante dalla totale assenza di forza affettiva»316. Il

senso oggettuale che si costituisce nella sfera pre-egoica e pre-affettiva dell’intenzionalità pulsionale, pertanto, è un senso i cui contenuti particolari si confondono e si presentano alla coscienza in maniera completamente inarticolata e indistinta. Husserl ne parla nei termini della « “notte” di ciò che non è cosciente, di ciò che è per me come ciò-che-vale-per-me nel suo contenuto di senso oppure come di ciò che è per me come costituito e ciononostante non autenticamente valido per me – in entrambi i casi in maniera inconsapevole»317: nei termini, cioè, di un “intero di senso indifferenziato”, come scrive Roberto Walton318, che, nonostante non emerga [abheben] all’attenzione del soggetto, si

mostra essere in grado di fornire delle proprie (oscure) coordinate di senso. In questo modo, l’apertura originaria della pulsione al mondo esterno, pur insistendo nella sfera del corpo proprio rivela tutt’altro che una mera dipendenza organica dal mondo stesso. Essa, piuttosto, si mostra come un’originaria apertura di senso. Il soggetto si trova così a essere attraversato da un senso oggettuale oscuro e indistinto: un senso non disposto dall’ego cogito e dalla sua coscienza rappresentativa.

315 Husserl, Husserliana: Materialen, vol. VIII, op. cit., p. 191 [traduzione mia]. L’importanza di interpretare la differenza